“Il mio libro indaga la quotidianità. Gli architetti del passato, soprattutto nel ‘900, si sono occupati molto di quotidianità per questo motivo mi piaceva l’idea di parlare di tutte le cose che mi accadono. De Finetti scriveva sull’Ambrosiano le cose che scrivo io su Affari e sul Corriere. Prima di essere un professore e responsabile di un grande studio di architettura sono anche un cittadino che vive come tutti lo schifo dell’happy hour”.
L’architetto Maurizio De Caro, presenta ad Affari, il suo ultimo libro Secondo necessità. E sul rapporto tra politica e cittadini dice: “E’ la città che deve insegnare alla politica e non viceversa. Le persone che vivono in una città rappresentano un viatico molto importante per la politica che dovrà amministrarle”.
Perché ha scritto Secondo necessità?
“Perché ho recuperato una condizione indispensabile nell’azione intellettuale che è quella dell’indagine sulla quotidianità”.
Ovvero?
“Gli architetti del passato, soprattutto nel 900, si sono occupati molto di quotidianità per cui mi piaceva l’idea di parlare di tutte le cose che mi accadono. De Finetti scriveva sull’Ambrosiano le cose che scrivo io su Affari e sul Corriere. Prima di essere un professore e responsabile di un grande studio di architettura sono anche un cittadino che vive come tutti lo schifo dell’happy hours”.
Dunque un libro ironico…
“Mi permetterei di aggiungere un’ironia intelligente senza scadere nei temi cari ai Vanzina. Rileggendo le cose che ho scritto tutte insieme sono molto più interessanti rispetto a una lettura separata”.
Perché?
“Perché c’è un percorso. In questo testo sono pubblicate riflessioni che ho scritto in meno di un anno e questo dimostra un impegno civile molto forte”.
Il libro prefigura il destino delle grandi città sotto il profilo sociale architettonico, e umano. Quale destino è riservato a Milano?
“Già se avesse un destino sarebbe fondamentale perché implicherebbe qualcosa che può accadere e che evolve verso una finalità di crescita e di affermazione di un grande processo. Credo che Milano abbia molte contraddizioni: ha tante cose belle e altrettante brutte. Vorrei scorporare però il tema della città rispetto a quello politico”.
In che modo?
“La città vive ed evolve a prescindere dalla politica che l’amministra. La città è fatta di cittadini, di memorie di relazioni e di interrelazioni. La sommatoria di queste cose producono energia. E’ la città che deve insegnare alla politica e non viceversa. Le persone che vivono in una città rappresentano un viatico molto importante per la politica che dovrà amministrarle”.
Parliamo dell’attuale amministrazione. A suo avviso sta preparando un buon futuro per Milano?
“L’amministrazione è come un frigorifero in cui si trova di tutto. Sta a noi capire quello che possiamo prendere. Nel nostro Paese abbiamo una vanità fondamentale”,
Quale?
“Tutti gli italiani pensano di poter migliorare il futuro del loro Paese andandosi a sostituire ai grandi personaggi che governano l’Italia e le città. Una volta l’ambizione era quella di fare il ct della nazionale oggi è quella di fare il Presidente del consiglio”.
E per quanto riguarda il suo rapporto con l’attuale amministrazione…
“Faccio un mestiere che mi porta ad avere relazioni con i grandi imprenditori e con i tecnici della pianificazione. Per quanto mi riguarda, il mio rapporto con questi soggetti è buono e interessante. Ci sono cose che mi riguardano e che concernono l’amministrazione che possono essere interessanti”.
Daniele Riosa
(La redazione – 26/6/2007)