Finisce l’anno con le urla di Vittorio Sgarbi: «…l’inverosimile, incredibile, intervento di allargamento del palazzo, in perfetto contrasto con i principi basilari di tutela del patrimonio mondiale dell’umanità dichiarati dall’Unesco. I barbari, a Ferrara, non li ferma neppure l’Unesco».
Oggetto della schizofrenia il progetto dei nuovi lavori per il Palazzo dei Diamanti di Ferrara affidato allo studio Labics di Roma dopo un regolare concorso.
Del progetto vorrei parlare dopo.
Prima intendo esporre le varie tesi che sostengono, da un lato, una petizione in atto per impedirne la realizzazione; dall’altro le risposte di chi il progetto l’ha voluto e le ragioni che lo sostengono.
Dico subito che le argomentazioni di Sgarbi non vanno oltre le solite generiche accuse di chi non vorrebbe la perfezione ‘deturpata’.
«L’intervento soffoca il rapporto dell’edificio con lo spazio aperto della città. Assume lo stesso assurdo significato che avrebbe aggiungere un canto alla Divina Commedia o all’Orlando Furioso».
Nessun appunto né tecnico, né scientifico, né logistico ma solo una banale indignazione, come succede per le baruffe inventate apposta per sollevare lo sdegno popolare, in particolare quello che appartiene a persone poco preparate e ignare dei fatti. Un’operazione creata ad arte, come si legge nelle parole del sindaco Tiziano Tagliani riportate in seguito, funzionale alle elezioni comunali di maggio. Un’esca buttata nel mare della superficialità dove sguazza la moltitudine degli intellettuali da passeggio e da talk show, pronti a bersi qualsiasi intruglio passatista che li faccia cacare democraticamente come tutti gli altri, ma senza la puzza.
Il progetto, come dirò in seguito, risolve con intelligenza un banale ma importante problema di fruibilità del museo, con dimensioni contenute e rispettose. Quindi è del tutto evidente che si tratti di una vigliacca speculazione politica da attuarsi con l’aiuto mediatico di quelli che gli intellettuali più alla moda definiscono analfabeti funzionali. Poiché di questo si tratta.
Che differenza passa, infatti, tra sostenere che i vaccini procurano l’autismo e il dire che un corridoio di vetro e acciaio (poiché alla fine questo è) rovina definitivamente un capolavoro? Se basta così poco a comprometterlo, che capolavoro sarà mai agli occhi di costoro?
Che grado di cultura scientifica mirata possiedono tutti i personaggi qui sotto citati per aderire ad un appello privo di un qualsiasi riferimento critico competente?
Questi sono i personaggi coinvolti. Lascio a voi il giudizio.
(Tratto da Il Resto del Carlino)
«Da Massimo D’Alema a Tahar Ben Jelloun, dall’ex ministro dei Beni Culturali Massimo Bray a Maurizio Costanzo, da Pupi Avati a Philippe Daverio, dagli scrittori Claudio Magris, Pietro Citati, Raffaele La Capria, sino agli attori Monica Guerritore, Giancarlo Giannini e Michele Placido: oltre 200 intellettuali e artisti firmano l’appello per impedire «che il più importante edificio dell’Addizione Erculea venga aggredito, nella sua perfezione, da un progetto del costo di 3 milioni e mezzo di euro».
«L’elenco dei firmatari è tonante: ci sono architetti celebri (Mario Botta, Pierluigi Cervellati, Pier Luigi Cerri), alcuni dei quali hanno lavorato anche a Ferrara; registi di fama internazionale come Amos Gitai – che sta valutando di girare un film proprio sul Rinascimento estense – star della musica come Albano e Mogol. E i politici: oltre a D’Alema, i sindaci di Palermo e Firenze Leoluca Orlando e Dario Nardella, il presidente dell’Anci Enzo Bianco e il deputato Pd Giuseppe Fugaroli. Non manca il patron di Eataly Oscar Farinetti, anche lui tra i contrari che nel polo espositivo venga realizzata, tra l’altro, una moderna caffetteria».
C’è da chiedersi che conoscenza abbiano costoro del progetto e con che competenza pensano di poterlo giudicare. Ma soprattutto c’è da chiedersi se lo hanno almeno osservato; oppure se anche loro, critici verso lo squallore del linguaggio social che imperversa su ogni argomento, non si sentano coinvolti negli stessi disturbi intestinali degli internauti.
So di essere particolarmente duro, ma questo paese non può rimanere immobile e sottomesso alla retorica passatista della conservazione acritica. Un paese che sta morendo di stupidità deve poter contare almeno sull’intelligenza degli intellettuali che lo abitano, non sulla loro pancia. Dov’erano costoro mentre il paese sprofondava nell’ignoranza e nello strapaese? Cos’hanno fatto per uscire dal fango dell’odio, dal razzismo fascista? Cos’hanno fatto oltre ad aprire le gambe al primo cinico cialtrone che si mostra solidale con le frustrazioni culturali più popolari.
Intellettuali da banco, sappiate che l’architettura è stata ed è una cosa molto seria.
E lo è al pari e forse più della storia, dell’archeologia e della letteratura, perché sta sotto gli occhi di tutti, anche di quelli che non leggono un libro in tutta la loro vita.
L’architettura è il solo mezzo per sedurre implicitamente il celebrato ’popolo’ innalzandolo e mantenendolo ad un livello di civiltà decente. Disprezzarla e ridurla a capriccio per onanisti vanagloriosi produce un grandissimo danno alla cultura del paese e al suo futuro.
Che tra i detrattori figurino anche i nomi di noti architetti, questo non inficia il mio ragionamento. Che reazionari come Botta, Cervellati e Cerri rappresentino l’eccezione che conferma la bontà della mia tesi, trova ulteriore dimostrazione nel fatto che è la loro architettura a rappresentare eccezione rispetto a quella che definiamo essere un’architettura degna di considerazione.
Ma ritorniamo alle vere motivazioni per cui è nata la polemica.
Dice Sgarbi, rivolto alla direttrice del museo col suo solito garbo: «Quando vinceremo le elezioni, la licenzierò e l’intervento sarà bloccato».
Così risponde il sindaco di Ferrara Tiziano Tagliani:
«Caro Vittorio, sei un vigliacco!».
«Io accetto, tutto o quasi nella polemica politica: una cosa solo giudico inaccettabile, l’attacco personale a chi non fa politica, ma solo, e bene, il proprio lavoro, guadagnando al mese quello che Vittorio spende dal parrucchiere, e che certo non ha i suoi mezzi per replicargli».
«Attaccare la Pacelli, che i direttori dei musei di tutto il mondo trattano con rispetto e ammirazione per la sua professionalità, tanto che più d’uno, per questa ragione, mi ha chiesto di poter collaborare con Ferrara Arte, è un gesto vile. Io peraltro so bene che a Vittorio del progetto dei Diamanti non interessa nulla, me lo ha detto di persona. Ma qualcuno gli ha chiesto di farne un tema della campagna elettorale, e lui da uomo ‘mediatico’ cavalca quella che è una grande bufala».
Così risponde Maria Luisa Pacelli, direttrice di Palazzo dei Diamanti, accusata da Sgarbi:
«È una vera sfortuna per questa città e per la sua comunità che l’attività espositiva di Ferrara Arte al Palazzo dei Diamanti e ilprogetto di rilancio del palazzo stesso siano entrati violentemente nella propaganda elettorale. Una realtà museale unica nel panorama italiano, che vanta professionalità di livello e risultati internazionalmente riconosciuti, viene oggi messa in discussione non con un confronto onesto e civile, sempre utile e benvenuto, ma con i modi e i toni della bagarre politica che, per loro natura, sono ottime armi di distruzione, che magari portano all’affermazione di chi le ha impugnate, ma che lasciano dietro di loro solo rovine. In questo scenario, ciò che mi auguro è che i cittadini ferraresi abbiano gli anticorpi e la lucidità necessari per non farsi ingannare, ovvero per non farsi portare via qualcosa di valore che appartiene a loro».
(Tratto da Il Resto del Carlino)
Sul progetto in sé voglio esprimere poche semplici considerazioni.
Sempre con le parole del sindaco Tagliani:
«Nessuno vuol ‘completare’ il palazzo rinascimentale, ma semplicemente sostituire il corridoio esterno, fatto di legno e stoffa ed esposto a vento e pioggia – prosegue il sindaco – con un percorso in vetro assolutamente rimovibile, e che non tocca neppure il palazzo. Del resto la galleria dei Diamanti, famosa in tutto il mondo, è l’unica nella quale ci si mette cappello e giacca a vento a metà della visita delle mostre».
Dalle sue parole si deduce quale fosse il programma che ha determinato il concorso. Si trattava di dare soluzione ad un inconveniente, grave, nella percorrenza del museo. La scelta è stata quella di costruire un elemento che non avesse nessuna intenzione di competere con l’edificio principale, ma che ne aumentasse la funzionalità, inserendo uno spazio nuovo e trasparente per non occludere la vista dall’interno del museo verso l’esterno.
Un progetto essenziale ed elegante, senza una particolare enfasi, regolare e ritmato, che non dovrebbe irritare più di tanto i tiranni dell’ordine geometrico. Personalmente avrei gradito molto più coraggio, ma posso capire la cautela con cui il progetto è stato concepito.
Esprimo quindi la mia solidarietà piena allo studio Labics e a tutti gli attori del progetto che potranno contare sulla solidarietà anche del nostro giornale.