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Dei traditori e dei traditi. In morte di Paolo Portoghesi

La mattina del 30 maggio del 2023 è scomparso nella sua casa sul tufo di Calcata l’architetto, studioso e professore Paolo Portoghesi.

Ho pensato molto a lui oggi e cerco ora di mettere in fila i pensieri. Il titolo è la prima necessità. Il tradimento è uno dei “topos” di noi umani, sin dalle primissime scene delle scritture. Ricordate Caino e Abele, ricordate Romolo e Remo, e Iago e Otello e cosi via. Una delle ultime apparizioni televisive di Bruno Zevi fu a un Maurizio Costanzo show. Era “Solo contro tutti”. Zevi era sul palco con alle spalle sornione Costanzo e in platea una schiera di invitati. Tra loro ricordo Renato Nicolini, forse Bonito Oliva, certamente Paolo Portoghesi. Ricordo l’invettiva di Zevi : “Traditore! Traditore tu mi hai tradito” gli inveì, come solo chi ha amato può dire con così tanta rabbia. Come ricorderete, Bruno Zevi recensì il libro del ragazzo Portoghesi su Guarino Guarini. A occhio croce aveva un 25 anni (sempre mi feci il calcolo dell’età in cui si pubblica il primo libro). Una bella recensione. Anni dopo il sodalizio si rafforzò, il giovane architetto aveva un approccio originale e molto significativo verso il “recupero della storia”. Costruiva opere mosse, piene di curve che pochi in Italia avevano praticato nell’ambito della nuova architettura moderna. Innanzitutto Ridolfi, naturalmente, cui Zevi voleva bene e con cui aveva lavorato molto ai tempi del Manuale dell’architetto. Il giovane Portoghesi faceva piccole case intelligenti, curiose, particolari. Poi cominciò a elaborare una teoria del campo, come se le onde elettromagnetiche creassero l’insieme di deformazioni in cui l’architettura si innestava coinvolgendo l’altro da sé. Era un ragionamento che da una parte guardava al barocco, dall’altra forse conosceva le sperimentazioni parametriche che Moretti, altro inventore di curve, pubblicava su “Spazio”. Insomma Zevi nel primi anni sessanta, all’apice del suo successo come urbanista, architetto, autore, uomo di cultura e ancora altro, finalmente in procinto di tornare a Roma come cattedratico, stringe una amicizia strettissima con Paolo. Lo considera il suo fratello più piccolo, condividono ore e ore di lavoro. In particolare Paolo Portoghesi dirige l’allestimento della mostra su Michelangelo architetto (una mostra d’arte, più che di filologia in cui si crea un Michelangelo “pop”. Zevi accettò lo sfottò come un premio). Insieme lavorano pagina per pagina a un enorme volume su Michelangelo architetto che ha saggi autorevoli. Ricordo quello di Argan. Zevi e Portoghesi se lo inventano di sana pianta il loro Michelangelo. Nella nostra conferenza a New York dello scorso mese, Peter Eisenman almeno cinque volte ha usato questo verbo. Noi architetti ci inventiamo Palladio, Bramante, Michelangelo,Terragni. E ognuno se lo reinventa, e guai se non fosse così.

Il libro è stupefacentemente bello. Zevi regala a Paolo un onore. Non solo firma lui ragazzo trentenne, un volume con Zevi, ma addirittura il nome di Portoghesi appare in copertina prima del suo. Paolo Portoghesi e Bruno Zevi.

Portoghesi diventa giovanissimo ordinario di Storia, non ricordo ora se nella tornata stessa dell’outisder Tafuri, in cui il presidente Zevi preferì l’assitente di Quaroni, che pochissimo di Storia aveva scritto (e per merito dello stesso Portoghesi) a Leonardo Benevolo.

I due amici pianificano un nuovo grande libro: questa volta su Francesco Borromini. Tra l’altro Portoghesi è un fotografo di grande capacità e talento e fotografa su fotografa, si arrampica ovunque.

Qui si entra nel pettegolezzo e lo lascio ad altri. La versione ufficiale è che i due si scontrano ferocemente in pubblico in occasione di un grande convegno su Borromini. Per Zevi, Borromini è un eretico che stravolge i canoni dell’architettura rinascimentale per creare il nuovo. Il momento della distruzione, come si sa, è decisivo per la nascita del nuovo. Lo avevano fatto tutti i grandi, mica solo Picasso. Basti pensare a Leonardo, a Michelangelo, a Caravaggio. Per Portoghesi invece Borromini fa tesoro del linguaggio classico, il suo è un lavoro dall’interno. Un Borromini che non è eretico rivoluzionario, martire, disperato suicida, ma una sorta di riformista, una specie di Craxi.

Su questo punto e su molto altro naturalmente avviene lo scontro feroce e da allora Zevi vive la figura del tradimento di Paolo.

Perché Portoghesi tradisce l’amico-maestro? Per tante ragioni come sempre. Ma certamente nel tradimento, l’anelito alla libertà dalla stretta del patto di amore e di amicizia è fondamentale. Portoghesi liberato spicca il volo, incasella da solo uno splendido libro su Borromini, poi uno spettacolare, sempre con le sue foto, su Roma del Rinascimento e poi come se non bastasse uno sul momento incredibile della “Roma Barocca”. Uno più bello dell’altro.

E poi fonda una rivista “Controspazio” in cui molti suoi ex alunni a Roma sono redattori: Cellini, D’amato, Anselmi, Purini, caporedattore Nicolini. La rivista è contro la Casabella radicale contro l’Architettura, snobba la Domus di Ponti. In pagine mal stampate entra una nuova genealogia, Ridolfi naturalmente, il futurismo, Mazzoni e i progetti della Tendenza e quella dei romani nuovi di Grau e affini.

È in questo scenario che entra in scena il vostro studente che oggi celebra un compleanno. Ignaro di tutto quello che vi ho raccontato sin qui, naturalmente. Ma come non amare quei libri di Portoghesi che il nostro Sandro Benedetti ci segnalava? Come non leggerli con passione e andare con lui per le strade di Roma a scoprire Della Porta, Rainaldi, Specchi e non solo Borromini e l’amatissimo, da Paolo, Bernini?

Nel 1978 nella mostra Roma interrotta ai Mercati traianei si vedono progetti di tutti i colori. C’è chi ricicla i propri progetti in un collage di fuori scala, chi disegna il territorio della pianta del Nolli con campiture alla Buren, chi mette a Piazza Navona un enorme falansterio. Portoghesi, con la bellissima e talentosa moglie Giovanna, crea un progetto meraviglioso. Intaglia in tanti strati di sughero l’andamento delle forre alto laziali dove poi sceglierà di vivere. Poi, da questi andamenti orografici deriva tracciati urbani che si inseriscono nel suo quadrante di Nolli e vi disegna le architetture (non troppo riuscite, per la verità). Ma il progetto rimane così bello, così forte che anche a distanza di molti anni mi battevo di tanto in tanto con Zevi per rivendicarne il valore.

Il fatto è che se c’è un architetto della “critica operativa” (che era il nome che Zevi dette al suo Istituto a Valle Giulia) questo era proprio Paolo Portoghesi. Con tutti gli enormi rischi del caso. C’è poco da fare e poco serve teorizzare che si deve praticare un “linguaggio moderno”. Ma se devo imparare dalla storia, la strada va dritta dritta alla Strada Novissima, il massimo successo internazionale di Paolo Portoghesi. Che si inventa una declinazione italiana del PoMO. Per Jencks che lo aveva creato in architettura, il postmodern vuol dire libertà, contaminazione, ibridazione e va dal populismo di Erskine ai metabolisti. Per Portoghesi invece è memoria, memoria storica e diciamolo pure, critica operativa. Quella che fanno i Graves, quella che fanno gli Stern, quella che fanno i Venturi: gli americani a Roma che vanno in pellegrinaggio dal loro Brasini al Buon Pastore. E poi Portoghesi crea una cornice concettuale e poetica per Aldo Rossi. Il cantore della Mosca di Stalin diventa cosi il campione mondiale della nuova memoria.

Quanto più Portoghesi aumenta di prestigio, innumerevoli le sue Biennali anche come Presidente, tanto più diventa amico di Craxi e socialista vincente, tante più opere brutte crea. Palchi retori per il partito, orribili centri civici come quello nel povero paese di Poggio Reale, concorsi che sembrano torte nuziali. La bellissima sua chiesa dei campi magnetici di Salerno che aveva costruito trentenne, sembra un lontano ricordo. Non so se la Moschea sia uno scempio come sosteneva Zevi. Ma un capolavoro non è. Guardate per capire come Jean Nouvel interpreta l’Islam e guardate il tronfio Paolo.

L’ultimo articolo di Zevi sull’Espresso è ancora dedicato a Portoghesi ed è la demolizione della sua mostra su Borromini a Palazzo delle Esposizioni, eh sì, proprio quel luogo che li aveva vista compagni di lavoro su Michelangelo.

Preoccupato di non tradire a mia volta il filo di rispetto che mi legava a Zevi, nonostante la mia ammirazione per tanti aspetti della sua personalità (colto, ammaliante, bello, fortunato, potente eccetera) mi tenni sempre lontano da Portoghesi. Solo una dozzina di anni dopo quel giorno in cui lo vidi omaggiare l’antico maestro nel suo letto di morte a Via Nomentana 150, lo invitai al mio seminario dottorale. Volevo parlare del suo progetto di Roma interrotta che naturalmente avevo pubblicato in un mio libro. Ho l’audio dell’incontro, era il 12 ottobre del 2012. È inedito e non lo voglio sentire. Fatelo se volete.

Una cosa è certa: dei maestri di quella generazione sono scomparsi ormai quasi tutti. Argan, Tafuri, Zevi ora anche Portoghesi. Ma non siamo soli. Senza di loro guardiamo lo stesso alla nostra Roma. Anzi è con loro che la leggiamo ancora. E ho il libro ultimo di Paolo sul comodino. “amoR”. La città dell’amore e del tradimento.

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3 risposte su “Dei traditori e dei traditi. In morte di Paolo Portoghesi”

Bravo Nino, come al solito carnale, ma sempre acuto. Mi hai riportato a quando, anche noi studenti, seguivamo, ammirati e un poco stralunati, la presentazione al prof. Marino del suo progetto di composizione, e poi insieme a Tafuri il suo progressivo affermarsi…Grazie

Ciao Nino
L’ultima volta che ci siamo parlati con Portoghesi è perché era venuto sul mio terrazzino a fotografare da qui la sua nuova costruzione, galleria, un segno interessante fra gli altri tetti che ho messo in un reel su FB il giorno che è morto. Quando gli ho mostrato SIGNAart app in funzione e abbiamo camminato dentro all’opera SIGNA-THE TIME che coinvolge la sua casa e il giardino, oltre alla mia e altre rilevanze archeologiche della zona, si è sconvolto, stupito come chi ha appena perso il treno.

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