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Storia e Critica

Attualità e simmetria in Terragni

Giuseppe Terragni, se ci fosse un’altra vita dopo la morte, e se lo cercaste e lo voleste incontrare, lo trovereste sicuramente nell’Olimpo degli architetti della storia.
Esiste, infatti, una grande letteratura che ne ha indagato meriti e limiti, dovendo però tutti i critici concordare unanimemente sull’enorme talento di questo grande architetto. Eccelsi capolavori, come la casa del fascio di Como o l’asilo sant’Elia, lo hanno consacrato tra i più grandi scrittori di architetture del novecento.
Al di là, quindi, di tanti meriti sul piano delle concezioni spaziali e stilistiche, l’aspetto che più mi attrae è la sua scrittura, vale a dire l’unico lato del suo genio che può insegnare anche ai posteri come affrontare esecutivamente e nel dettaglio le questioni che l’architettura deve risolvere, in ogni epoca, oltre i concetti, le idee e gli stili. Per fare questa analisi ho scelto il progetto forse più sofferto e combattuto, controverso ma più innovativo, secondo me, dell’autore: il Novocomun.
Questo edificio, un bastimento urbano lungo 63 metri e profondo 25, con un impianto planimetrico simmetrico e apparentemente rigido, severo e monumentale, è quello che più d’ogni altro, secondo me, si dà all’analisi della scrittura di Terragni. Una scrittura volutamente e ostinatamente ricercata, che ha saputo tradurre un possibile ingombrante catafalco in una solare macchina per vivere danzante. Una scrittura ricercata capace di trasformare un banale e statico parallelepipedo in architettura viva e dinamica. Dicevo di un progetto sofferto, fin dal suo esordio.  Per poter realizzare i suoi propositi innovativi Terragni fu costretto a barare con le autorità che avrebbero dovuto rilasciarne il benestare per la costruzione.
Così ce lo racconta il MAARC MUSEO VIRTUALE ASTRATTISMO E ARCHITETTURA RAZIONALISTA COMO

(prospetto del progetto presentato alla commissione per l’approvazione)

“Il gesto rivoluzionario, esplosivo, e compiuto illegalmente, di presentare un progetto su carta di impronta classicista con la ripresa dell’architettura preesistente ma di realizzarne un altro completamente opposto di impronta avanguardista, avvia un lungo periodo di critica e scandalo. Sotto le impalcature si materializza l’edificio che venne definito “Il Transatlantico”, per l’insolita forma navale (Coppa, 38). Anche nel Film Architettura rimossa, Gli architetti e Mussolini, di Elda Guidinetti e Andres Pfaeffli (Ventura Film TSI arte, 1993) il Novocomum e la vicenda che lo aveva visto protagonista degli scandali, veniva così descritta: Terragni “Aveva consegnato un progetto fasullo in stile ottocentesco, una casa di appartamenti analoga a quella già esistente di impianto tradizionale. Tolti i ponteggi scoppiò lo scandalo, Terragni aveva spogliato l’edificio delle decorazioni, lo aveva trasformato in un incastro di volumi insoliti e gli aveva dato colore”. “La Commissione edilizia, sentendosi scavalcata dalla sicurezza di un giovane architetto, decise di aprire un’inchiesta per stabilire se il Novocomum poteva rappresentare “un elemento di deturpazione” (Zevi, 24; Coppa, 38) con l’eventuale ipotesi di fare dei lavori per il suo miglioramento: la Commissione d’ornato, composta dagli architetti Piero Portaluppi, Giovanni Greppi e dal comm. Luigi Perrone, che aveva il compito di giudicare l’opera, “assolve” il progetto (Rassegna 11, 17).
La polemica raggiunge anche le più importanti riviste di architettura dell’epoca: “La Casa Bella” diretta da Giuseppe Pagano, “Natura”, “La Technique des Travaux” (dura verso l’ottusa politica di retroguardia italiana) e “Domus” diretta da Giò Ponti, difesero l’architettura di Terragni in quanto primo esempio di architettura razionale (Coppa, 38; Marcianò, 33).
E sarà lo stesso Pagano a descrivere il Novocomum come immagine della nuova architettura razionale, come la casa che desta scalpore ma che diventerà di lì a poco il modello della casa del domani per tutti (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 318).
Anche Giò Ponti, nell’articolo Una modernissima costruzione a Como (Domus, aprile 1930), definisce l’edificio come “[…] edificio” che “si dimostra un’ottima machine à habiter, in esso che pur è una comune casa d’affitto, si vive bene, si respira bene, si assorbono meglio i raggi solari, si godono panorami inusitatamente ampi, si prova la sensazione inebriante e quasi irreale di una comunione con la natura alla quale le case comuni ci hanno da tempo disavvezzati” (Fosso, Mantero, 82)”.

Ho voluto riproporre questa vicenda perché sono sicuro che la stessa abbia avuto un ruolo importante nella costruzione del linguaggio con cui è stato redatto il progetto. Sono sicuro, infatti, che dovendo tradire i luoghi comuni e le risposte attese, per Terragni sia stato necessario l’abbandono di ogni prudenza e di ogni soggezione rispetto ai vincoli tradizionali del contesto. Il tradimento, infatti, o lo si fa per intero, completamente e imprudentemente, perché per costruire nuovi valori bisogna abbatter quelli vecchi, oppure non si fa.
Nel tradimento non esiste mediazione possibile.
Il linguaggio liberato va comunque costruito e, non avendo riferimenti certi, ci si affida al talento.
In Terragni di talento ce n’è da vendere. Sulle sue qualità e vicende, come persona e come architetto, il libro di Antonino Saggio Giuseppe Terragni. Vita e opere (Laterza) esaurisce in maniera preziosa la critica intorno ad un autore su cui hanno scritto le più belle menti contemporanee. Per mostrare il valore del testo di Saggio voglio ricordare uno scritto di Paolo G.L. Ferrara del 2004 su questo giornale che invito a leggere: Terragni: la tormentata bellezza dell’esprit nouveau: ” Ha ragione Francesco Tentori quando, nella eccellente presentazione del libro di Antonino Saggio […] evidenzia quanto chi fa il critico di architettura, pur se giustamente orientato a leggerla secondo una preparazione che ne indirizza “…l’interesse su sacrosanti problemi storici, cronologici, filologici, culturali, poetici e polemici”, sia però portato a mettere in secondo piano “…l’argomento di fondo, che dovrebbe essere la costruzione architettonica e la sua progettazione…”.
In sintesi, pur se in buona fede, secondo Tentori il critico “trascura” la materia prima di ciò che legge, ovvero lo “spazio architettonico della costruzione”, e con esso anche quello della città e del paesaggio.
Nel libro di Saggio, sempre secondo Tentori, si va invece a fondo della costruzione architettonica e della sua progettazione, e tanto vero è ciò che, forse, le parole di Zevi a commento dello scritto (“…dopo i convegni, le commemorazioni, i numerosi saggi critici degli ultimi decenni sembrava che su Giuseppe Terragni non ci fosse più nulla da dire. Invece la monografia di Saggio riapre il tema…”) scaturiscono proprio dalla consapevolezza che la lettura di Saggio scardina il semplice atto conoscitivo dell’opera di Terragni, oramai (siamo nel 1994) quasi ibernata nella storia dei suoi tempi, identificata nei sillogismi a cui l’era fascista diede adito e che presero corpo nella tragedia della seconda guerra mondiale, stritolandovi lo stesso Terragni.” (Paolo G.L. Ferrara) [continua a leggere…]

Nella critica specifica a Novocomun è possibile trovare una breve sintesi argomentata, sempre sul sito del MAARC MUSEO VIRTUALE ASTRATTISMO E ARCHITETTURA RAZIONALISTA COMO – Edificio ad appartamenti Novocomun

(l’impianto planimetrico simmetrico)

“Diverse sono le soluzioni che si sono susseguite nello studio volumetrico dell’edificio: una delle prime ipotesi di cui si conosce un’assonometria dall’alto, definita su base eclettica e di cui resta traccia nella simmetria e nello zoccolo, è caratterizzata dalla presenza di un corpo semicilindrico (in riferimento all’architettura di Mendelssohn) che interrompe l’orizzontalità del parallelepipedo, e si estende sulla terrazza per sottolinearne la tridimensionalità; una seconda soluzione ritrovata tra i suoi disegni invece toglie l’elemento cilindrico per innestarlo agli angoli scavati del parallelepipedo di 63,50 m (Zevi, 26).
L’edificio si presenta come un grande parallelepipedo ad elevata densità tipico dell’edilizia intensiva (200 locali, 8 alloggi per piano – Rassegna 11, 16): la soluzione adottata nella realizzazione del progetto avviene tramite l’accostamento di cinque parallelepipedi che vengono lavorati, scavati, sottratti sovrapponendosi e incastrandosi; un corpo principale è parallelo al lago, altri due sono posto ortogonalmente andando ad unirsi all’edificio esistente di Caranchini e altri due minori sono disposti all’interno della corte. Gli angoli del parallelepipedo che affaccia sul lago sono scavati definendo un grande cilindro che all’ultimo piano scompare per ridefinire la sagoma dell’edificio, con riferimento ad angoli di palazzi rinascimentali (Coppa, 39; Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 319). “Nel Novocomum la composizione dell’angolo è insieme continuità del classico e sintonia con la nuova espressione dell’architettura costruttivista, che definisce una monumentalità, a riferimento quasi di due colonne classiche incastrate negli angoli dell’edificio” (Novati, Pezzola, 158).
Il cilindro è vetrato di sezione ovoidale. La disposizione del Novocomum riprende schemi consueti che vengono accentuati ed esasperati. Le intersezioni volumetriche sono sottolineate dalla diverse cromie (Coppa, 39). Guido Canella definisce l’opera di Terragni come “la propensione a una visione titanica dell’architettura, attraverso sospensioni e sbalzi ciclopici ” (Novati, Pezzola, 158).
Luigi Cavadini, in Architettura Razionalista nel territorio comasco (2004) scrive: “L’edificio si manifesta con un “peso” non indifferente; il disegno dei balconi e l’annullamento degli angoli, ottenuto mediante la sovrapposizione di volumi cilindrici e cubici, consentono di alleggerire la struttura. Questa l’immediata novità che è espressione, scrive Kenneth Frampton, del “caratteristico interesse del razionalismo per lo slittamento espressivo delle masse”. Tale novità è ben leggibile nella soluzione degli angoli dell’edificio dove, invece del classico rinforzo statico, si presenta (per l’altezza di quattro piani) una successione di cilindrico in vetro sopra i quali sporge la massa definita, ma aerea, del quinto piano. Rapportandosi alle più avanzate ricerche europee contemporanee, Terragni propone un nuovo concetto di “volume” che gli consente di intaccare gli spigoli, per sottolineare con assoluta libertà di senso della profondità e dello spazio. Da rilevare il gioco architettonico tra pieni e vuoti (e tra i vuoti sono da annoverare le trasparenze vetrate), tra superfici piatte e superfici curve; da non trascurare, d’altra parte, dal punto di vista tecnico-storico, la ricerca dei materiali e le novità tecnologiche così come l’uso felice dei colori, in funzione architettonica. Terragni usa il noisette, per le superfici verticali della facciata, l’arancio per gli sbalzi e le rientranze, l’azzurro per le linee parallele delle balaustre in ferro” (Cavadini, 44-45).
L’intenso gioco di luce e ombra è sottolineato dai colori che, come diversi gradi di luminosità vengono applicati alle superfici: il noisette, per la facciata principale verso il lago, il giallo per quella rivolta nella corte (a esaltare la luminosità), l’arancione in tutti gli sbalzi e rientranze e nei telai dei serramenti, (nelle zone di ombre) e l’azzurro per le balaustre dei balconi (Ciucci, Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, 320-321).
L’ingresso, sull’asse della facciata parallela al lago, avviene da viale Sinigaglia con una gradinata che porta al piano rialzato e alla portineria laterale.
Dalla disposizione degli spazi in copertura emerge una forte ricerca di rapporto diretto con il contesto: la trabeazione in copertura sulla facciata parallela al lago tende a conquistare con la massima profondità prospettica il lago e la città, così come la visione a 180° del paesaggio dagli angoli arrotondati; il tema della visione sopraelevata della città ritornerà in altri progetti come per il Quartiere Cortesella. Cavadini scrive: “La facciata del Novocomum ha perso i colori originari già negli anni cinquanta, con l’applicazione di tesserine di marmo sulle facciate. Il vincolo posto nel novembre 1986 dalla Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici sull’edificio, che ha invitato al recupero dei colori dell’edificio, ha riportato ai colori originali gli spazi comuni e ha contribuito a ricondurre la facciata a una situazione molto simile a quella iniziale” (Cavadini, 45).
Oggi l’edificio, a parte la facciata rivestita con tesserine in marmo, dopo il recente restauro è stato riportata ai colori originali (Coppa, 39).

(Tratto da http://www.maarc.it/opera/edificio-ad-appartamenti-novocomum)

(Il Novocomun prima del restauro)

Dopo questa lunga digressione introduttiva, che quando si incontrano personaggi di questo livello diventa indispensabile, vorrei arrivare al punto che più m’interessa, ovvero l’analisi del linguaggio che l’autore ha utilizzato in questo progetto. Ho scelto questa fotografia, che risale credo alla fine degli anni cinquanta, perché l’usura del tempo ha contribuito a rendere interessante la composizione spaziale dell’edificio.
Se il disegno della pianta riproduce uno schema simmetrico e adeguato alla collocazione degli appartamenti, è solo negli alzati e nella loro distribuzione secondo il prospetto più lungo che tutto l’edificio abbandona uno statico monumentalismo, che si sarebbe potuto ottenere banalmente per estrusione della pianta, per trovare la sua leggerezza e dinamicità. Se partiamo, infatti, dall’osservare il piano terreno, questo si presenta come una zoccolatura ritmata da aperture regolari e simmetriche, con l’ingresso posto in drastica posizione centrale. La razionalità dell’impianto, se si osserva solo il piano terreno, appare in tutta la sua rigidità militare.
Ma appena si sale d’un piano, incontriamo un altro edificio, in tutto e per tutto autonomo rispetto alla parte sottostante. Le grandi finestre sviluppate in larghezza non seguono i ritmi verticali di quelle sottostanti, i piombi delle finestre scartano rispetto a quelle inferiori e superiori, rivendicando una valenza propria e indifferente rispetto un disegno unitario. Gli angoli si arrotondano per cercare continuità con il resto del quartiere. Va ricordato che questo fronte è rivolto al lago, che costituisce l’affaccio privilegiato di tutta la città.
Il secondo e terzo piano sono un terzo fabbricato, soprapposto ai precedenti. Qui l’edificio arretra il suo fronte per far spazio a un lungo ballatoio rivolto al lago Lario. Qui trovano spazio gli appartamenti. Le finestrature, nei due piani, riprendono un ritmo proprio funzionale all’abitare e non ad un disegno unitario di facciata. Il progetto a questo punto è aperto: si possono chiudere e spostare una o più finestre, ma l’esito sinfonico non cambia. Gli angoli dell’edificio qui non sono arrotondati per raccordare il contesto urbano, ma sono addirittura svuotati, inesistenti.
Ma quale magia può rendere visibile lo svuotamento? Il quarto piano, un ulteriore nuovo edificio, che pone un limite al vuoto in altezza, che senza il quale non sarebbe percepibile con tanta intensità. Quarto piano che ha la funzione di affacciare gli appartamenti più alti e prestigiosi verso il lago, sfruttando al massimo la superficie abitabile chiusa. Questo fascione abitato pone un limite visivo in altezza, senza necessità di cornicioni o di altri elementi architettonici terminali. L’edificio finisce con una sovrapposizione geniale, con un elemento titanico riconquistato alla dimensione umana col taglio delle finestre d’angolo.
La forza linguistica di Terragni, e la sua grande attualità, sta quindi nella sua capacità di dire tante cose diverse nella stessa proposizione, incrociando simultaneamente temi diversi, aprendo e chiudendo parentesi e riferimenti, mettendo insieme momenti lirici ad altri popolari, come sanno fare solo i grandi scrittori e musicisti. Rispetto la simmetria, Terragni non la subisce. Egli è in grado di accettarla ma la combatte e la trasforma privandola della sua dote principale: la monumentalità; egli sa che il suo limite, parlo della simmetria, sta nell’incapacità di convivere con altri elementi spazialmente autonomi, pretendendo per sé tutta l’attenzione.
Tante voci e tanti strumenti, quindi, per una sinfonia raffinata, ma anche autenticamente popolare e libera, lontana anni luce dai vincoli geometrici e metafisici del neo-razionalismo milanese, condizionato e servo d’un disegno castrante nella sua astrazione.

Bibliografia:
•CAVADINI, Luigi, Architettura Razionalista nel territorio comasco, Provincia di Como, 2004
• CIUCCI, Giorgio (a cura di), Giuseppe Terragni: opera completa, (con Triennale di Milano, Centro studi G. Terragni, Centro internazionale di studi di architettura Andrea Palladio), Milano: Electa, 1996
• FOSSO, Mario, MANTERO, Enrico, Giuseppe Terragni 1904-1943, Como: Cesare Nani, 1982
• MARCIANÒ, Ada Francesca, Giuseppe Terragni opera completa 1925-1943, Roma: Officina, 1987
• NOVATI, Alberto, PEZZOLA, Aurelio, Il mutevole permanere dell’antico: Giuseppe Terragni e gli architetti del Razionalismo Comasco, con testi di TORRICELLI Angelo et al., cura dei testi e bibliografia MONTORFANO Giancarlo, prefazione di PONTIGGIA Elena, Boves: Araba Fenice, 2012
• Antonino SAGGIO, Giuseppe Terragni. Vita e opere (Edizioni Laterza; 1^ ediz. 1995; 2^ ediz. 2004)
• Paolo G.L. FERRARA, Terragni: la tormentata bellezza dell’esprit nouveau (su antiTHeSi.info 24/11/2004) http://www.antithesi.info/0newf/leggitxt.asp?ID=403
• ZEVI, Bruno (a cura di), Giuseppe Terragni, Bologna: Zanichelli, 1980

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