Perché la collettività è sempre più indifferente alle brutture edilizie? Quanto uno spazio armonioso e ben progettato può influire sulla vita delle persone? Come generare la domanda di un’architettura di qualità? Come promuovere, sin nei più piccoli, la sensibilità verso spazi urbani adeguati? Queste alcune questioni su cui riflettere, nella convinzione della necessità di un’urgente opera educativa riguardo lo spazio costruito già nella scuola dell’obbligo.
In un passato ormai remoto, prima che la disciplina dell’architettura si formalizzasse come sapere specialistico, il fare costruttivo era un sapere pratico legato alla tradizione e quindi alla comunità.
“Le case anonime erano costruite con sensibilità verso il luogo, verso i materiali e con spirito pratico; il risultato era così una notevole e appropriata bellezza”, sosteneva Steen Eiler Rasmussen, in Architettura come esperienza.
Oggi, nella società dei saperi specialistici, le case e gli spazi urbani sono spesso privi di qualità, senza che neanche ve ne sia consapevolezza. I cittadini si muovono ed esperiscono spazi poco qualificati, e lo fanno, il più delle volte, in una condizione di distrazione.
Eppure è nello spazio domestico e urbano che muoviamo i primi passi, che impariamo a conoscere il mondo e ad apprendere attraverso i sensi. La qualità dello spazio non può non influire sulla qualità del nostro processo di apprendimento, la qualità dello spazio non può non influire sulla formazione del nostro essere. Forse esiste anche in questo caso un effetto “specchio” che, attivando neuroni riflessivi, comporta una risposta nociva a spazi nocivi e viceversa.
Già negli anni settanta Colin Ward – filosofo e pedagogista che si occupava di urbanistica e politiche sociali – esplorava le possibilità e i metodi per utilizzare l’ambiente urbano e le attrezzature fornite dalle città come risorsa educativa, alternativa agli spazi scolastici. L’educazione per Colin Ward è sempre “educazione ambientale” intesa in una duplice valenza: si educa all’ambiente urbano quale alternativa allo spazio dell’aula, ma si educa anche all’osservazione e alla riflessione sulle caratteristiche dello stesso ambiente urbano. Dunque, nello spazio e per lo spazio.
La novità e l’assoluta attualità del pensiero di Ward stanno nel fatto di considerare i bambini, il loro modo di vivere la città e le modalità di appropriazione e uso dello spazio, come momenti formativi che li rendono consapevoli dei processi decisionali e della estensione dei loro diritti.
Dagli anni settanta ad oggi: all’interno del programma “Architecture & Children”, lo UIA (International Union of Architects) ha redatto nel 2019 la Carta dell’educazione per una ambiente costruito per bambini e giovani. Il dato più rilevante e condivisibile di tale documento, risiede nel fatto che si stabilisce la necessità di inserire l’educazione allo spazio nel curriculum scolastico tradizionale, per avere effetti a lungo termine sulla comprensione da parte della società dello spazio costruito. Si sottolinea nel documento, infatti, l’importanza di connettere saperi e professionalità attinenti al mondo dell’architettura, dell’insegnamento scolastico quanto universitario attraverso il coinvolgimento dei governi statali e locali, degli enti professionali, delle università e degli istituti di cultura.
E proprio in tale direzione va Sou, la Scuola di architettura per bambini nata nel 2017 nell’ambito di Farm Cultural Park a Favara (AG). Nata su iniziativa privata, la scuola cerca di mettere a sistema e connettere le energie della comunità, le competenze specifiche e i saperi accademici. “I motivi che ci hanno portati a pensare e programmare le attività della scuola sono legati alla necessità di consentire ai bambini di poter avere un’alternativa educativa alle attività scolastiche tradizionalmente intese, per poter vivere consapevolmente la loro città, per immaginare la città del futuro e prendere parte attivamente ai cambiamenti urbani.” Queste le parole dell’architetto Francesco Lipari, direttore della scuola SOU nell’anno accademico 2017/18, ed ideatore del programma “Building Better Citizens”.
“Dall’esigenza di portare l’esperienza di SOU fuori dal perimetro dei sette cortili di Farm Cultural Park di Favara è poi nato SOUx: una associazione culturale no profit che, dal 2020, ha creato una rete nazionale di più di venti scuole di architettura per bambini che utilizzano le strategie didattiche messe a punto a SOU di Favara”, ci racconta Silvia Forese responsabile del progetto.
Saper leggere lo spazio e le sue caratteristiche significa avere la capacità di avanzare pretese di qualità dello spazio urbano. L’educazione allo spazio costruito è, evidentemente, un’operazione politica, che rende i piccoli cittadini parte attiva dei cambiamenti attuali e futuri.
Sempre in Sicilia da ricordare l’iniziativa della fondazione Presti che a Librino, nella città nuova presso l’aeroporto, coinvolge centinaia di bambini rella realizzazione di formelle in terracotta per trasformare l’anonimo viadotto di entrata in una “Porta della bellezza”. Gli abitanti e le loro famiglie si riconoscono nell’opera, la difendono, la fanno propria e ne sono fieri. Si tratta di due fronti per l’impressionante dimensione di un chilometro ciascuno.
Le necessità educative rivolte anche ai bambini in età scolare sono state rilevate da tempo dall’ufficio educazione del Maxxi di Roma, che dal 2019 e a cadenza biennale, organizza “Leggere lo spazio”, un convegno internazionale dedicato all’educazione allo spazio costruito. si tratta di ricognizione e di un confronto delle buone pratiche nazionali ed estere in questo campo.
L’esperienza più interessante riportata nell’ultima edizione del convegno, tenutosi il 23 febbraio scorso, è probabilmente quella di Arhitektuurikool of Tallinn, scuola di architettura per bambini estoni nata 13 anni fa.
“Nella scuola non insegniamo come si diventa architetti, giochiamo con questa idea cercando di imparare a crescere insieme all’architettura, perché nessuno può fuggire dall’architettura. Cerchiamo di lavorare sulla consapevolezza corporea: proprio come non ci si può disfare dello spazio non ci si può disfare del nostro corpo”, racconta Katrin Koov, architetta e docente della scuola.
Un’educazione allo spazio costruito, raacconta questa esperienza, può avvenire mediante un lavoro sui sensi: la percezione è legata all’abitudine, le persone tendono ad osservare soltanto ciò che hanno già esperito, ciò di cui hanno già conoscenza. E conoscere lo spazio urbano e domestico vuol dire prima “sentirlo” veramente e poi comprenderne strutture e valori (o disvalori)
L’educazione allo spazio può essere intesa, quindi, come educazione fenomenologica, attraverso il lavoro sul rapporto tra corpo e spazio, perché l’architettura alla fine è veramente un evento “relazionale”: una mediazione dialettica tra artefatto, esperienza umana – intesa nella sua globalità percettiva – spazio e luogo. È necessario quindi un “allenamento” polisensoriale che contempli una consapevolezza non soltanto visiva, ma anche tattile e sonora. Un’esperienza corporea completa, perché, come sostiene Jauhani Pallasmaa “non c’è corpo separato dal suo domicilio nello spazio”. E si impara, come voleva Ward, con l’esperienza del corpo tutto.