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Il sapere della forma: Christopher Alexander

È passato esattamente un mese dal 17 marzo 2022 quando un altro dei padri del nostro mondo ci ha lasciato. Christopher Wolfgang John Alexander, classe 1936 è stato uno dei più influenti teorici del pensiero progettuale contemporaneo. Sarebbe riduttivo – se non impossibile – commnetare il lungo elenco di opere sulla relazione tra architettura e spazio pubblico prodotte da Alexander come progettista, studioso e docente dei fenomeni urbani. Ma ad Alexander dobbiamo anche la teorizzazione di uno strumento con il quale pensiamo, progettiamo e costruiamo il nostro mondo: il diagramma, vero seme generatore di tutta la sua ricerca teorica. (1)

In questo breve scritto, vorrei suggerire come il diagramma sia uno strumento per la produzione di un sapere riflessivo che usa una efficace categoria di interpretazione della forma. Si tratta di uno strumento a doppio ingresso. Da un lato il diagramma è uno strumento di rappresentazione per studiare la forma della realtà  quale fatto concreto, che consente di avanzare ipotesi sull’origine della forma. Dall’altra è uno strumento per studiare la reatà come fatto ipotetico, ovvero come essa possa essere trasformata attraverso il progetto. In entrambi i casi è una  rappresentazione schematica che imprigiona l’incertezza ed edifica realtà ipotetiche, ovverosia è uno strumento ontologico della forma. 


Christopher Alexander, Hierarchy of constructive diagrams for an indian village, 1964

Così nel ‘71, nella prefazione all’edizione economica di Note sulla sintesi della forma, a sette anni di distanza dalla prima , Alexander ribadisce l’idea che sta alla base del suo libro: appunto il diagramma (2). Ciò che descrive è una pratica progettuale, il processo di determinazione della forma come risoluzione di un problema spaziale che si presenta nel momento in cui non è dato di comprendere la totale complessità delle forze che operano nella realtà: forze economiche, normative, strutturali, sociali, culturali, ambientali – per nominarne alcune. Il progetto permette di conoscere e di esplorare il “campo delle forze” attraverso la risoluzione delle stesse, nella forma. Il progetto quindi è uno strumento di conoscenza: il processo attraverso il quale il progettista esplora, descrive, ordina, rappresenta ed edifica, l’ordine delle relazioni tra le cose. La forma (che è costruzione arbitraria, soggettiva, auspicabilmente razionale e possibilmente poetica dell’ordine spaziale) è l’oggetto di questo sapere. Essa è, nell’accezione di Alexander, dispositivo: una risoluzione spaziale delle forze che interagiscono nel contesto. Il diagramma, è la sua rappresentazione. 

Nel descrivere questo processo, Alexander si sofferma su altri due strumenti che assieme al diagramma sono oggi ampliamente utilizzati nel lessico comune delle pratiche progettuali contemporanee: il concept e il programma. Concept, programma e diagramma costruttivo, inteso come la fusione di diagramma funzionale e formale seguono, secondo Alexander, un procedere che definisce diversi gradi di conquista della realtà e di autodeterminazione dell’incertezza attraverso il progetto. Il concept (3) è un’idea, espressa come metafora, similitudine o analogia che definisce il campo delle possibilità del progetto. Una concezione molto simile a quella di metafora generativa (4) con il quale Donald Schön, descrive il processo euristico proprio delle pratiche riflessive. Il programma è l’insieme dei requisiti funzionali, inteso in senso performativo, che permettono di declinare il concept in un sistema di relazioni coerenti e subordinate. Concept e programma permettono di arrivare al diagramma che rappresenta la specificazione concreta e schematica della risoluzione spaziale di tali forze nella forma.


Donato Bramante (1444-1514) studi per San Pietro matita rossa su carta bianca imbrunita quadrettatura a matita rossa 692 x 474 mm Firenze Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi inv. 20 A recto.

Ma il concetto di forma di Alexander è speculare a quello che, secondo Deleuze, è il principio generale dell’opera di Foucault. Scrive Deleuze: «Il principio generale di Foucault è il seguente: ogni forma è un composto di rapporti di forze. Date delle forze, ci si domanderà quindi innanzitutto con quali forze del fuori esse entrino in rapporto, e in seguito quali forze ne derivino. (5)» Data una forma allora, è possibile ricostruire le forze che la hanno generata, ovvero deprogettarla

Deleuze le chiama “forze del fuori” (6), Alexander le chiama forze che appartengono al “contesto”. Si tratta dello stesso percorso che, a seconda del senso nel quale lo si percorre, produce due saperi diversi. Il primo è quello dell’architetto, o in generale del progetto: il processo euristico che indaga il contesto, o le forze del fuori – per dirla con Deleuze – attraverso la definizione materiale della forma. Il secondo, inverso, speculare, ma analogo, è quello del cartografo. Il metodo che Deleuze attribuisce a Foucault (7) il quale non arriva mai ad una definizione della parola “dispositivo” (8), ma la utilizza come categoria di interpretazione della forma costruita attraverso cui si “forma” la società: ovvero, non si riferisce solo alla forma tangibile di un oggetto spaziale o architettonico – il panopticon per esempio – ma per analogia anche alla forma che si applica ad una idea di società, il panopsismo.

In modo analogo per Alexander la Ville Savoye non è solo una casa, ma è una idea di abitare del Novecento (9). Ecco allora che la forma si deprogetta, se ne traggono i diagrammi, si arriva al concept. Si traccia, per dirla con Deleuze, la carta dei dispositivi (3) con il quale si interroga il sapere della forma che rivela i valori e le forze che la sottendono e che la generano.


Jeremy Bentham, progetto di prigione panottica disegnata da Willey Reveley, 1791.

Per meglio spiegare la specularità di queste due pratiche, quella dell’architetto e quella del cartografo, potremmo utilizzare la concezione di forma di D’Arcy Thompson che Alexander cita nominalmente nelle prime pagine di Notes on the Syntheis of Form: […] «ogni forma di materia, sia essa viva o morta, e i cambiamenti di forma che appaiono nei suoi moti e nella sua crescita, possono sempre venir descritti come l’effetto dell’azione di una forza. In breve: la forma di un oggetto è un diagramma di forze, almeno nel senso che da essa noi possiamo giudicare o dedurre quali forze agiscano o abbiano agito su di esso. In questo senso ristretto e particolare, essa è, nel caso di un solido, un diagramma delle forze che gli sono state applicate quando quella forma si è prodotta e, insieme, di quelle altre forze che gli permettono di conservarla.» (11)

L’architetto e il cartografo allora condividono uno strumento: il diagramma. Per i primi, il diagramma conduce alla forma, risolve il presente proiettandolo nel futuro, trasfromandolo. Per i secondi invece porta al di fuori di essa, permette di risalire quelle linee di forza che generano la forma del dispositivo: meglio, studiando la forma, ricavandone i diagrammi, è possibile per il cartografo esplorare il contesto attraverso le forze che la hanno generata operando una archeologia del sapere spaziale e progettuale che ha prodotto le forme costruite, il loro programma e dalla forma, ricostruire il concept, ovvero l’idea di mondo e l’ordine di valori che essa rappresenta e che sottindende.

Il diagramma dunque è contemporaneamente strumento di costruzione e di de-costruzione delle forze che compongono la forma. Esso è strumento di comprensione della realtà e al contempo uno strumento di trasfromazione della stessa. La forma è come un archivio da decifrare, racchiude il sapere del tempo che la ha generata, il diagramma permette di interrogarla, deprogettandola, ovvero ripercorrendo al contrario il procedere suggerito da Alexander, praticando il mestiere di cartografo che Deleuze attribuisce a Foucault. 

Nicolò Macchiavelli,  battaglia a due corna, da “Dell’Arte della Guerra”, in Tutte le opere, Sansoni, Firenze, 1971 V. in Ellis Farneworth V

Da grande architetto, la pratica teorica di Chistopher Alexander oscilla tra queste due importanti sfere epistemologiche della forma. Quelle di chi studia le linee di forza che forgiano la relazione tra le persone e le cose, e chi invece le costruisce.

Antonio Scarponi

Note

1 C. ALEXANDER, Notes on the synthesis of form, Harvard University Press, Cambridge, Massachusetts, and London, England, 1964. In particolare si veda l’introduzione alla edizione economica pubblicata nel 1971 dove rivendica la centralità del diagramma anche se poi in studi e pubblicazioni successive vi si riferisce con l’accezione di pattern.

2 Ibid.

3 Sull’ idea di concept di Christopher Alexander si veda, op. cit., pp. 62-70.

4 D. SCHÖN, The Reflexive Practitioner, Basic Books, New York, 1983; trad. it., Il Professionista Riflessivo, Edizioni Dedalo, Bari, 1993; p. 200.

5 G. DELEUZE, Foucault, Les Editìons de Minuit, Parigi, 1986; trad. it., Foucault, Cronopio, Napoli, 2002, p. 163.

7 G. DELEUZE, Foucault, op cit. pp. 39-65.
8 Cfr. G. AGAMBEN, Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma 2006, p.6-7.

Sul concetto di dispositivo si è anche soffermato anche G. DELEUZE: Qu’est-ce qu’un dispositif?, Éditions du Seuil, Parigi, 1989; trad.it, Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, Napoli, 2007.

9 C. ALEXANDER, OP. CIT. P.91

10 G. DELEUZE: Qu’est-ce qu’un dispositif?, Éditions du Seuil, Parigi, 1989; trad.it, Che cos’è un dispositivo?, Cronopio, Napoli, 2007; p. 17.

11 D’ARCY THOMPSON, On Growth and Form. An Abridged Edition edited by J.T. Bonner, trad. it., Crescita e

Forma. La geometria della natura. Edizione ridotta a cura di John Tyler Bonner, Bollati e Boringhieri, Torino 2006, p. 15.

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