Categorie
Storia e Critica

Progetto Kalhesa

Nel 1995 Giancarlo De Carlo pubblica, con lo pseudonimo Ism Gimdalcha, il romanzo Progetto Kalhesa. Kalhesa Palermo. De Carlo a Palermo chiamato da Giuseppe Samon per il progetto di risanamento del suo centro storico. Palermo una citt ancora ferita dalla guerra e dalla speculazione degli anni 60 e 70. Di seguito riproponiamo la preziosa recensione che Massimo Pica Ciamarra scrisse in occasione della prima edizione del libro (a cui ne seguita unaltra nel 2014 – Edizioni di Storia e Studi Sociali).

Quando si discetta sulle metodologie di progetto, sulle premesse e sequenze delle sue fasi, si inseguono modelli perfetti, definizioni precise, distinzioni di compiti e ruoli. Si sa, il ragionamento teorico complesso, insegue semplificazioni, le nega, intreccia rimandi. A chi ambisce avvicinarsi alla “scienza delle progettazioni” da tempo consiglio tre volumi Edizioni Seat – si, proprio la casa editrice degli elenchi telefonici distribuiti capillarmente ogni inizio di autunno – pubblicati anni addietro in edizione troppo ristretta e pressoch sconosciuta nella collana “Comunicare l’Architettura” diretta da Bruno Zevi con Carmine Benincasa: “Venti monumenti”; “Venti complessi edilizi”, “Venti spazi aperti”. Ogni opera dispone di bibliografia e cronologia essenziale; viene letta nei suoi “perch”; definita nel tema – con antecedenti, premesse e conseguenze; esaminata nelle questioni nodali che pone; documentata con schemi di principio ed immagini significative; correlata al linguaggio dell’epoca. L’esame dei 20 + 20 + 20 casi oltremodo stimolante: introduce nel mistero della creazione architettonica, nella complessit del progetto, agli esercizi della “scienza delle progettazioni”. Quindi si affianca molto bene alle dissertazioni sul metodo: ne corrode gli indispensabili schematismi.
A volte suggerisco anche “Il tempio di Apollo a Bassae” di Giancarlo De Carlo (“Spazio e Societ” n.19/1982). Ed oggi la lettura di un romanzo, straordinario sotto il profilo didattico perch rende edotti di un mondo di cose, del ruolo del contesto – in ogni senso – in cui nasce e si sviluppa un progetto. Accanto agli introvabili volumi “Comunicare l’Architettura” – che in milleduecento pagine di grande formato, colte e decodificanti, esaminano le ragioni della forma di 60 significative opere anche contemporanee – studiamo “Il progetto Kalhesa”, duecento pagine di piccola dimensione e prive di immagini, se non in copertina: sul fronte la pianta di una pulcherrima citt ideale, sul retro la camuffata fotografia di un autore dai baffi posticci.
Sul manoscritto di Ism Gimdalcha, diario 1357 – 1361, recuperato dalla casa editrice Marsilio e pubblicato con il titolo “Il progetto Kalhesa” e l’articolata introduzione di Roger Bodenham (personaggio a dir poco sconosciuto) si intrecciano ipotesi diverse, una delle quali molto accreditata. Tanto che ormai gioco di societ per addetti ai lavori decodificare i reali personaggi che si celano nei 44 pseudonimi e nei 22 toponimi utilizzati nel racconto, scritto con arguzia ed indubbia eleganza. Il testo in realt il diario di uno dei quattro architetti chiamati a consulto per elaborare il Piano di una grande citt del sud. E dal diario (oggi si direbbe “secretato”) emerge una motivata posizione culturale, ricca di stimoli e di considerazioni originali, con la ricostruzione minuziosa dell’intero iter che accompagna un’esperienza di progetto: modi e ragioni che motivano la cosiddetta volont politica di affrontare il tema; quanto condiziona e presiede la scelta degli architetti. Poi i loro incontri con l’Amministrazione pubblica, i distinti ruoli al suo interno; gli interessi che emergono; le diverse posizioni dei progettisti, intrighi, baruffe, slealt e disonest grandi e piccine, fino all’inconsistente conclusione del progetto e della vicenda.
Il racconto si presta a molte letture. Lo si pu leggere come romanzo fantastico, come rebus carico di indovinelli – sempre pi divertenti man mano che si individuano i personaggi reali oscurati dagli appropriati pseudonimi; come resoconto di una lunga esperienza; come spaccato di una societ in una certa epoca; come lezione di moralit e comportamento; ma anche per gli insegnamenti disciplinari che offre.
Non mancano giudizi sull’insegnamento dell’architettura, sull’Accademia e su suoi esponenti che “hanno contribuito molto a confondere le idee ed a distorcere l’identit della scuola”. Indubbiamente il racconto, per dirla alla Quenau, un grande “esercizio di stile”: traduce, in linguaggio sagace di piacevole lettura, quanto circonda il progetto del Piano per il “centro remoto” di Kalhesa, bellissima citt del sud. Anche la “Favola delle api, ovvero vizi privati pubblici benefici” di Bernard de Mandeville, nel descrivere la vita di un operoso alveare, formula diretti riscontri con la vera e coeva societ umana del XVII secolo. Ma mentre la “Favola delle api” sembra l’ironico elogio di morali immoralismi, “Il progetto Kalhesa” non cerca analogie: con la forma dimostrativa inconfutabile per eccellenza – l’umorismo – descrive analiticamente fatti concreti. Appare (ed ) drammaticamente vero. Ci sono faccendieri, politici, corrotti. C’ l’Organika (senza il suo consenso “nulla avrebbe potuto essere fatto”: quindi anche in questo caso il tutto si risolve in un nulla di fatto); ci sono i comportamenti tradizionali che tornano sempre a galla, caratteristici di un luogo dove, come qui ed altrove (ma non dovunque), “il dire diventa tutto, ed il fare un deplorevole incidente”.
Ma al di l di congetture, differenti letture e supposizioni, pur se datato in ogni punto (in quanto sequenza di pagine di un diario) e riconoscibile nello spazio (descrive i dati geografici di Kalhesa, visibile e non metaforica come “le citt invisibili”), il racconto sembra essere senza tempo e senza luogo. Sembra purtroppo raccontare di un Piano che si fatto, si sta facendo o si far, ma anche che si fa finta di fare. Racconta di meriti usurpati. Delinea personaggi immaginari ma esistiti, tremendamente reali, e – questo sconcerta – con immediati riscontri in quanto ci circonda, mentre ingenui continuiamo a credere che debbano dileguarsi.
Per chi vuole approfondire davvero le questioni de “la cultura del progetto”, la lettura di questo testo apocrifo sembra essenziale.

image_pdfSalva in PDF

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *