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Sotto la superficie: l’arte di Bill Viola

Guardando le immagini rallentate proposte nei video di Bill Viola, viene da pensare alla riflessione di Italo Calvino sulla leggerezza come qualità imprescindibile della letteratura del nuovo millennio. Non vi è alcun legame diretto tra i due autori e tra le ascendenze letterarie dichiarate di Viola (la mistica cristiana, sufi e buddista, la poesia di San Giovanni della Croce); tuttavia, se immaginiamo la scena decameroniana citata da Calvino come esempio di leggerezza – Guido Cavalcanti che si sottrae ai suoi persecutori con una battuta salace e un salto che lo fa allontanare dalle loro vista – non possiamo fare a meno di pensare ad una delle sequenze rallentate di Viola e a quanto abbiano in comune con quel guizzo improvviso. La scommessa è coglierlo, non lasciarselo scappare perché è in quell’attimo tra un prima e un dopo che tutto si compie e l’arte, in questo caso grazie allo slow motion, riesce a catturare, realizzando il medesimo effetto della lettura (la ripetizione). Quando Viola afferma, “la verità delle cose è sotto la superficie”, fa riferimento alla necessità di uno sguardo artificiale che ci consenta di compiere un’accelerazione razionale; di qui l’acqua come allegoria del flusso di elettroni che danno vita alle nostre sinapsi e in mezzo ai quali si produce un vuoto che non è astrazione, ma spazio effettivamente esistente tra gli oggetti fisici. Quegli spazi vuoti contengono l’autentica dimensione del nostro essere, noi esistiamo solo in quei vuoti, afferma Viola in un’intervista

Icons of light, il titolo della mostra romana aperta fino al 26 giugno, giunge dopo le altre e più complete retrospettive dedicate nel 2008, al Palazzo delle Esposizioni e nel 2017 a Firenze, Palazzo Strozzi. Comprende 10 lavori compresi tra il 1977 (Reflecting pool) e il 2014 (la serie Martyrs), selezionati e allestiti, come sempre per le mostre di Viola, da sua moglie, Kira Perov. Nonostante l’esiguità dei lavori esposti e l’assenza di novità, l’opera di Viola ha in sé una forza tale da bypassare la componente  commerciale dell’operazione. Convincente, invece, il titolo della mostra che allude al carattere iconico, sacrale dell’immagine; i racconti visivi di Viola propongono dei personaggi che in taluni casi (come appunto in Martyrs) raggiungono l’”illuminazione” e ascendono, avvolti nella luce, ad uno stato superiore, in altri sperimentano un’ulteriore consapevolezza di sé (Unspoken). 

Unspoken 2021

In ogni caso, compiono un percorso che l’artista si assume il compito di raccontare nel segno di una poetica lontana dalle due costanti (gioco e provocazione) di tanta produzione artistica contemporanea. Né il dialogo costante con l’arte del Rinascimento – Andrea Di Bartolo, Masolino, Donatello, Botticelli, Paolo Uccello, Giulio Romano, Pontormo – ha nulla a che fare con la ricerca dell’effetto; è la trasposizione sul piano linguistico di quell’idea di connessione, di passaggio  tra dimensioni temporali che è elemento fondante il lavoro di Bill Viola.

Nei video i personaggi non sono quasi mai inseriti entro uno spazio umanizzato. Per esempio in un ciclo di cinque “affreschi digitali” dal titolo Going Forth By Day (in cui un flusso di persone di diverse età e senza alcun legame fra di loro) attraversano una pineta dirette verso una meta che non ci è dato conoscere. Un viaggio nel tempo lungo mondi e tempi diversi, ispirato al ciclo delle Storie di Nastagio degli Onesti che Botticelli dipinse ispirandosi alla novella boccaccesca al centro della quale vi è un cavaliere che nell’oltretomba ripete all’infinito l’uccisione di una giovane donna colpevole di averlo fatto soffrire. Osservando l’opera, immaginiamo che i viaggiatori entrino in connessione con un altrove, portando con sé tutto quello che hanno vissuto nel passato. L’arte adempie così a funzione di ponte tra due mondi, consentendo una relazione tra dimensioni spazio temporali. Non è un caso che Viola individui nell’esperienza della morte della madre uno dei passaggi decisivi del suo percorso artistico, giungendo ad un’utilizzazione senza pudori del proprio vissuto: l’immagine registrata preserva un legame intimo con la persona scomparsa. 

Il tema dei diversi livelli temporali ritorna anche in The Reflecting Pool in cui un uomo si accosta ad una piscina provenendo da un bosco e, dopo aver indugiato sul bordo, lo vediamo tuffarsi ma rimanere in sospensione nel vuoto in conseguenza del blocco dell’immagine, nel frattempo continua a muoversi la superficie dell’acqua su cui si riflette la luce; successivamente, la figura riappare, esce dalla vasca e si dirige di nuovo verso il bosco. È la dimensione di artificialità, prodotta dal parziale blocco della sequenza, che astrae per un certo tempo la figura umana dallo spazio e consente alla percezione l’esperienza del vuoto cara alla mistica zen. 

Viola è artista alieno tanto da ingenue celebrazioni del “naturale”, quanto da trite paranoie tecnofobiche. Il suo lavoro va letto come un’esplorazione su ciò che vogliamo essere e vogliamo diventare, sulle potenzialità percettive del nostro qui e ora; ogni istante della vita va illuminato come deposito di una sacralità da preservare, come ricorda l’allegoria della sospensione. Lavorando sulle dimensioni temporali, l’arte di Viola ha una dimensione narrativa che tende a creare le condizioni di un racconto interiore fondato sulla ripetizione. Il medesimo evento, sottoposto a visioni successive, si sussegue in modo sempre diversi conseguenza della stimolazione percettiva di chi vi assiste, come se solo dallo sguardo rallentato e ripetuto possa emergere l’illuminazione. Si è richiamato, legittimamente, in sede critica il concetto di trasformazione che l’allegoria dell’acqua suggerisce, ma è altrettanto pregnante quello di emersione nel senso di sottrazione del velo di oscurità dal nostro sguardo. Così in Observance, il video in cui una fila di persone si avvicinano per vedere qualcuno e poi si ritraggono sgomenti: è il racconto di un’esperienza di svelamento che porta a scoprire qualcosa di sé.

Observance, 2002

In The Raft (2004), una delle opere più famose di Viola, qui non esposta ma visibile integralmente in rete,  video della durata di dieci minuti, 19 persone di diversa provenienza etnica, ma riconoscibili come abitanti di una metropoli dei nostri giorni, si muovono impercettibilmente su una scena vuota, attendendo; entra nell’inquadratura un uomo di mezza età con un libro in mano che si fa largo nella fila e attira per un attimo lo sguardo di due donne che gli stanno accanto, dopo torna alla lettura del suo libro. Mentre due donne si salutano, dopo 4 minuti e 28 secondi due getti d’acqua irrompono dai due lati della scena, qualcuno cade a terra travolto, altri rimangono in piedi. L’acqua invade l’inquadratura che continua a scorrere lentamente in senso orizzontale. Progressivamente, il getto si riduce fino ad esaurirsi. Tutto si calma, due donne si abbracciano, le altre persone si guardano attonite. Il rallentamento enfatizza tanto il rumore dell’acqua che le diverse gradazioni della luce, dai colori nitidi dell’inizio, al blu prevalente delle sequenze successive. The Raft racconta il prima e il dopo di un disastro da cui i protagonisti escono salvi, ma stravolti. Consapevoli forse di avere sperimentato la dimensione della fragilità e della compassione, ora finalmente si toccano l’uno l’altro, un contatto sembrava essere escluso dalla loro postura all’inizio del video. Resistendo alla morte, hanno compiuto il loro percorso di rinascita. 

The Raft, 2004

La serie Martyrs (earth, air, fire, water) − qui collocata su due coppie di pannelli posti frontalmente, stretti e lunghi similmente ai polittici dell’arte sacra −  propone quattro martiri entro uno spazio completamente spoglio. L’azione vuole sottolineare la dimensione interiore del sacrificio, piuttosto che il punto di vista dello spettatore; è il caso della crocifissione capovolta che richiama il martirio di Pietro. Inondato d’acqua e tirato verso l’alto, Pietro compie la sua ascensione; il martire legato ad una sedia progressivamente è coperto dalle fiamme, ma riesce miracolosamente a sconfiggerle. Le fiamme si esauriscono, l’uomo può ascendere, avvolto finalmente dalla luce. 

L’importanza del lavoro di Viola consiste nella risposta ai due problemi con i quali l’arte contemporanea si confronta: l’iper produzione di immagini generata dalla rete con il carattere euforico e ansiogeno che la fruizione visiva tende ad assumere da una parte, e  il confronto con le tecniche di riproduzione analogica o digitale contemporanea del reale In Bill Viola la sfida è raccolta integralmente ribaltando i termini del confronto: se la visione tipica del post moderno è tutta dall’esterno, come se il punto di vista dettato dalla macchina non esistesse che in questa dimensione, l’arte di Viola propone uno sguardo verso l’interno, sul non materializzabile dell’esperienza umana. Lì risiede la sua necessità.   

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