Nella Russia Stalinista era però impossibile sottrarsi alle regole e chi le disattendeva o veniva internato nei campi di lavoro o si doveva autoeliminare come scelse di fare Wladimir Majkovskij. Per attuare i famosi piani quinquennali occorreva risparmiare tempo e denaro e il quattro novembre del ”55 veniva diffuso il rapporto Kruscev-Bulganin sulla eliminazione del superfluo nella progettazione e nella costruzione il cui scopo era quello di sollecitare lo studio di progetti tipo che consentissero di sfruttare appieno quanto l’attrezzatura industriale russa poteva dare nel campo della costruzione prefabbricata. Con questo documento si decretava la morte definitiva di qualsiasi ambizione creativa.
In Italia, a liberazione avvenuta, i professionisti affrontarono subito il problema della ricostruzione e il dibattito trovò un concreto punto di sbocco nella prima Triennale del dopoguerra. L’undici maggio del “45 il Comitato di Liberazione Nazionale per l’Alta Italia nominava l’architetto Piero Bottoni Commissario Unico per la Triennale. Bottoni memore della sistematica distruzione di quanto realizzato in via sperimentale per le varie mostre, decideva di promuovere una iniziativa dove la sperimentazione potesse verificare, in una sede permanente, la reale bontà delle soluzioni adottate. Nel “46 realizzava quindi il quartiere sperimentale Q.T.8, all’ombra della collina che si andava innalzando con le macerie dei cantieri della Milano in ricostruzione.
La Triennale della rinascita era dedicata a: La ricostruzione come problema sociale. Nei settori espositivi venivano sviluppati i molteplici temi al fine di condizionarne l’attuazione, con l’enunciazione di concrete prescrizioni progettuali e l’uso di nuove tecnologie. Di contro gli architetti, nei loro convegni nazionali ed internazionali, chiedevano che la ricostruzione del Paese avvenisse secondo piani programmati per imbrigliare lo sviluppo rozzo ed incontrollato dell’edificato.
Con la ripresa economica si era dato inizio ad un processo di trasformazione del Paese che causava effetti distorcenti sugli insediamenti residenziali a seguito dell’ esodo dalla campagna verso le città e dall’industria verso il terziario; del massiccio processo migratorio dai paesi del sud alle città del nord; dello spopolamento della montagna ed infine della trasmigrazione dai piccoli comuni periferici ai più grandi centri abitati. Solo con Piani Regolatori si sarebbe potuto far fronte alle emergenze prodotte da questa mobilità, e frenare l’aumento del costo dei terreni e del costruito.
Nel decennio “51/”61 la popolazione italiana era aumentata di 3 milioni di unità, passando da 47.516.000 cittadini a 50.464.000. Nello stesso decennio anche la popolazione dei capoluoghi era cresciuta di circa tre milioni, passando dai 13.378.000 ai 16.073.000; a conferma che l’ incremento demografico della popolazione italiana si era praticamente riversato nei centri maggiori.
La carenza di abitazioni si faceva sentire sempre di più anche se dalle 786 stanze, ogni mille abitanti, del “51, si era passati alle 963 del “61. Ma le famose medie statistiche non tenevano conto delle stanze disabitate, delle vecchie dimore abbandonate in montagna, in collina e nel sud; delle troppe abitazioni fatiscenti prive dei servizi indispensabili al vivere civile che caratterizzavano i centri storici delle città, persino quelli più grandi del progredito nord.
Sviluppo demografico nei grandi centri e carenza di abitazioni favorivano il costante incremento dei prezzi delle aree fabbricabili e con l’aumento continuo incontrollato del loro costo diveniva sempre più difficile dotare di una residenza le famiglie degli operai che dal sud si trasferivano nelle industrie del nord.
Se gli architetti moltiplicavano i dibattiti su questi temi non altrettanto preoccupati, e interessati al problema, apparivano i politici della coalizione governativa. Eppure la legge urbanistica del “42 risultava del tutto inadeguata alle necessità del momento, anche perché il suo Regolamento di Attuazione non era mai stato ratificato. La situazione di emergenza, dovuta alla guerra in corso e poi alle urgenze della ricostruzione, aveva reso impraticabile la sua approvazione. Il testo di Legge appariva poi inattuale, alla luce delle modifiche apportate all’ordinamento costituzionale ed amministrativo del nostro Paese, quali la delega, della gestione del territorio, agli istituendi governi regionali.
Occorreva pertanto elaborare un nuovo testo di legge a difesa anche delle bellezze naturali. I vincoli inseriti nel Piano Regolatore, al momento, divenivano obbligatori solo dopo il lunghissimo iter romano di approvazione del Piano. Nel “52 vennero introdotte le Misure di salvaguardia, ma le amministrazioni comunali non erano tenute ad adottarle .
Nel “57 gli urbanisti decidevano di porre al centro del dibattito del VI° Convegno di Lucca la difesa del patrimonio monumentale e paesistico. Tra i molteplici temi emergeva quello relativo allo snellimento delle procedure per l’imposizione dei vincoli per impedire la messa in atto di artifici che ne vanificassero il risultato. I politici non erano interessati a questi dibattiti perché non gradiscono l’esistenza di regole precise; a loro piacciono i disegni di legge interpretabili che consentano l’abuso del giudizio discrezionale.
Il Ministro dei Lavori Pubblici Togni che si trovava, per motivi di campagna elettorale, a pochi chilometri da Lucca, non si faceva vivo al Convegno ma inviava messaggi ricattatori del tipo: gli urbanisti la smettano di criticare l’ operato del Governo o verrà creato un nuovo Istituto di Urbanistica. Radio fante faceva poi circolare i nominativi di professionisti di chiara fama disposti a collaborare con il nuovo Istituto. L’imprenditoria, in appoggio al Ministro, lavorava ai fianchi i professionisti, offrendo incarichi prestigiosi. L’Immobiliare affidava ai più noti architetti il progetto degli spazi di rappresentanza dell’Hotel Hilton in costruzione sul Monte Mario in zona vincolata.
L’Immobiliare era il portavoce degli interessi dei potentati economici d’Italia, dal Vaticano alla FIAT. Nel “57, denunciava un utile netto di quasi tre miliardi ed era proprietaria, nella sola città di Roma, di oltre otto milioni di metri quadri di terreno. A Milano, con i falsi ruderi di piazza Missori, lasciava un segno indelebile dell’asservimento dei pubblici amministratori al suo potere. Al posto di questi pochi reperti esisteva la chiesa valdese di S.Giovanni in Conca scampata alle bombe, ma demolita per consentire all’Immobiliare di costruire un grande palazzo residenziale con annessa sala cinematografica ed albergo. Naturalmente è toccato all’amministrazione pubblica attivarsi per individuare l’area ove consentire ai Valdesi di riedificare la loro chiesa.
Con il bastone di Togni e la carota de l’Immobiliare i professionisti si fecero domare senza troppi ripensamenti. L’On. Adriano Olivetti, Presidente dell’INU , dava il suo appoggio al Governo e l’onorevole Togni decideva di partecipare al VII° Convegno di Bologna accompagnato da un imponente nugolo di funzionari che si rivelarono come i veri arbitri del dibattito. Dopo ogni relazione critica sulle singole realtà territoriali interloquivano, per fatto personale, con interventi, uguali sino alla monotonia, che vertevano su quattro argomenti fondamentali:
1- l’oratore che ci ha preceduto non è ben informato;
2- il mio onorevole ministro conosce a menadito la questione e si può quindi nutrire fiducia che essa verrà risolta quanto prima;
3- l’altro giorno il ministro ha presentato la proposta di un disegno di legge che regolamenta questo problema. Inutile quindi discutere su un tema oramai superato;
4- gli stranieri non hanno nulla da insegnarci, anzi ci danno atto quotidianamente del nostro comportamento d’avanguardia chiedendo informazioni dettagliate su quanto viene realizzato dal mio onorevole ministro.
Con questa rete di interventi retorici Togni riusciva ad imbrigliare qualsiasi velleità critica confermando l’inutilità dei dibattiti congressuali quando gli Istituti di cultura non hanno spessore e i fatti non corrispondono alle parole; e di fatti negativi ne maturavano molti, forse troppi:
Piacentini, maestro dell’architettura di Regime, veniva nominato membro della Commissione di studio del P. R. G. di Roma e della Commissione urbanistica comunale; la legge sulla classificazione e sistemazione delle strade di uso pubblico non prevedeva i vincoli di rispetto; non impediva quindi di edificare lungo il ciglio stradale e di immettere strade secondarie su quelle provinciali e statali;
l’autostrada del sole veniva attuata, in assenza di un progetto che ne prevedesse il tracciato definitivo, in spregio alle previsioni dei P. R.G., con effetto negativo sull’economia dei Comuni che li avevano adottati;
l’Appia antica veniva devastata dalla edificazione di ville e villini mentre quanto rimaneva dei ruderi abbattuti veniva utilizzato come materiale da costruzione; a Monte Mario il piazzale panoramico previsto dal Piano Regolatore veniva ridimensionato e quindi cancellato per lasciare posto ai centomila metri cubi dell’albergo Hilton;
le prefetture eliminavano con sempre maggiore frequenza, la previsione di spesa per il P. R. G. anche nei comuni che avrebbero dovuto adottarlo per obblighi di legge.
Continua
(Alberto Scarzella Mazzocchi – 28/9/2004)
Categorie