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Linguaggio Architettura

Sul linguaggio & linguaggi e… 1968 e poi oltre

Questo termine mi irrita… soprattutto ritagliato sull’architettura…
A Firenze ancora studente c’erano già due scuole di pensiero sul “LINGUAGGIO”… una quella di Umberto Eco e l’opposta di Giovanni Klaus Koenig… poi a seguito nacquero le “tangenziali” di Gamberini,e di Marcolli… intorno sempre a quegli anni, ed ero sempre studente, fioriva la prossemica da una parte e dall’altra la sociologia urbana…
Già allora si sentiva una necessità di teoria… e proprio in quegli anni ci fu la grande vendemmia, tutte le scuole in primis Venezia, poi Milano e Roma e poi ancora le altre uscivano con collane, libercoli, giornali etc…
L’idea era di sistemare, ordinare, dare senso anche all’accademia..e poi fu così…(anche per contenere i grandi numeri).
Ricordo volentieri il Bruno Zevi che sbucava alle feste del “maggio fiorentino” affascinando con racconti che stordivano intere platee…
riusciva a trasmettere quella passione di studiare e leggere le forme, lo spazio, di comprendere la storia come potenziale fucina creativa…
Anche Zevi come tutti inciamparono nello strutturalismo, nella semantica e semeiotica… ma non personalmente…la sua rivista ospitava articoli/saggi del genere…
L’evento, o gli eventi che determinarono con chiarezza le posizioni sono a poca distanza con la nascita dell’Architettura Radical tra le pagine di Casabella e per reazione la consacrazione della tendenza con la XV Triennale del ’73…e di lì l’assetto universitario…
In quel periodo, anche se con distanza, il più vicino a Zevi si trovava Giancarlo De Carlo conducendo una battaglia sui formalismi, sui montaggi “linguistici” da manuale…e contro le Accademie…
Rileggere oggi l’Architettura e in parallelo Spazio & Società, alcuni articoli e/o editoriali, si possono ritrovare degli interessanti rimandi e/o intrecci, intese…a distanza…
Ma di li a poco il postmodern irrompeva con il riciclaggio del linguaggio, colonne, capitelli, paraste, finestre, timpani…messi li a caso…
Per parlare di o sul linguaggio, o di un linguaggio…si dà per scontato che una lingua (medium d’intesa comune) esista…ma se per strada… già dal raffinato Gadda, poi Pasolini sino a Sanguineti (grande latinista e “dantista”) nello scrivere si perdono , virgole, punti, pause, partiture…
e questo accadde anche nel pentagramma musicale … così nel fare edifici… inseguire figure dove il senso della continuità si scontrava con le tecniche, i materiali, l’evoluzione del cantiere…
Abbiamo una data importante da poter far riferimento 1959 (che contiene la fine del CIAM la nascita del TEAMX la spinta ultima dell’INACASA il BOOM economico… ) e da quella data l’evoluzione del modernismo ha intrapreso strade complesse…
Ricordiamo a seguito le riflessioni di Giorgio Grassi in “Lingua morta” o le ricerche affannose monografiche di Pier Luigi Nicolin…che in realtà danno un chiaro ed illuminato quadro del disfacimento della lingua…una sua naturale decostruzione…
Ho letto attentamente il testo di Brandi, sulla linguistica e di conseguenza ho subito scritto …” che lo ricordo ai tempi mitici degli ARCHIZOOM e della rubrica su Note Radical… ma questa è la stessa zuppa di ieri (visto che l’articolo e del ’73)…che allora divertiva… le vicende si sono un pò più complicate la complessità tra caso & caos non mette al palo l’architettura…ma ne fa vedere risvolti notevolmente diversi, cerco di spiegarlo in modo semplice… le questioni o problemi sono tra stanzialità & ubiquità, tra bisogno & desiderio (il desiderio diventa anche bisogno se non si ha un bisogno reale), tra superamento del linguaggio & comunicazione, tra Architettura con la A & design, tra mode & allinearsi alle mode, tra strippamenti & fame, tra zone di pace & zone di guerra, non confondiamo la moda del moderno con l’impegno sociale e viceversa… nel movimento moderno c’erano modaioli & impegnati… Quell’epoca che Branzi realizza nella sua visione …era un tempo fermo…oggi è meglio parlare di cronologie…già Carlo Doglio nel “Futuro dell’utopia”, intorno agli anni settanta, già poneva “il passo del contadino e il jet che gli passava sopra”…pensiamo a quante maglie si sono sovrapposte nella comunicazione…ed è proprio vero che il “medium è il messaggio”?!!!
Allora caro Branzi l’architettura, già come l’avevate un po’ vista Voi, ha un’altra dimensione… una dimensione dei sensi, della memoria, esteriore & interiore ma ormai non più occidentale! Questo è un altro punto!
Il ragionamento si sposta attorno al pianeta terra, nella sua configurazione nelle sue modificazioni di suolo… perciò città che vuol dire…così territorio … non solo è al palo teoria e disciplina dell’architettura, ma la pianificazione, l’urbanistica …
Basta guardare una immagine dal satellite sulle densità europee scorgere il continuo nucleo urbano …ormai un’unica città o urbanità o metropoli o città relazionata…il resto… il
nero…l’incognito…neanche più la campagna… che dire? CHE FARE? IL NON LUOGO l’altro, il fuori orario…dove non puoi permetterti di entrare con il moderno tecnologico…semplicemente perchè non c’è autostrada per trasporti pesanti ne tantomeno altro…
Il lungo discorso di Branzi ha un tempo una sua cronologia…ormai appartiene ad un fuso orario rallentato… l’incalzare delle dinamiche sfuggono ad un ruolo di disegno di progetto passa alto…se non scegliere tempi e spazi di “riserva”.
Il ritmo del tempo ha superato lo “spazio” ne comprime le dimensioni & le dilata… lo spazio sempre più è “RELATIVO”, “FRATTALE” & “COMPLESSO”…per stratificazione, aggiunta & superfettatizione…(pensiamo alla città diffusa) L’altrove, l’inesplorato il misterioso è la “foresta” ….ancora da normalizzare…
Ci troviamo in sostanza di fronte ad un mondo veramente nuovo dove per “fare” …nuovi strumenti e metodi devono essere ancora messi a punto…”.
Credo che oggi sia difficile teorizzare un mondo “albertiano” o d’altro…
La centralità si è sostituita a dinamiche che persino la città stessa subisce… cambiando baricentro o baricentri a secondo di nuovi servizi o strutture ricettive che s’inseriscono vorticosamente…questa struttura (la città compatta)pur fissa …nella dinamica dell’uso si configura sempre in aspetti diversi ed in immaginari mutanti…
Se per un “uomo” del medio evo o del rinascimento l’immagine della città (nelle limitate immagini che aveva a disposizione di visionare nella sua vita) poteva riferirsi ad una icona o un dipinto o ancora alla percezione reale del paesaggio (punto fisso) su cui si costruiva l’immagine di riferimento, penso ad Urbino, Venezia, Genova…oggi è
come vedere attraverso un caleidoscopio…frammenti di carta, cartografie,ritagli, di foto, di film, di video, di canzoni, di immagini digitali satellitari… iconografie… fumetti… @
Già Lecurb svolazzava su aerei vedendo Algeri, Rio…
“La storia del gusto” di Galvano Della Volpe segnalava lo spostamento del pensiero estetico e della sua critica…(a seguito Dorfles, Formaggio… Cacciari).
Le fenomelogie diventano il terreno di discussione, dall’ “Attualità del Bello” alla “Verità e metodo” esplorazioni di Han Georg Gadamer (dopo Heidegger)che aprirono il senso dell’ermeneutica del progetto…o dalla “fenomenologia dell’esperienza estetica” di Mikel Dufrenne a “il gioco come simbolo del mondo” di Eugen Fink accanto a la “profezia di una società estetica” del Filiberto Menna…oltre a “senso e sensibilia” di Austin… generano quel tessuto di superamento dei concetti della percezione…allora credo che lo sforzo di Bruno Zevi attento ed attivo intellettuale era spinto in quel senso di inserirsi nel dibattito…e più che (“il linguaggio moderno dell’architettura”) diviene importante
il contributo dato al “Trattato di Estetica” di Dufrenne & Formaggio che nel secondo volume in ventun pagine.
Dove a mio parere è contenuto il grandissimo lavoro di Zevi.
Sulle fenomelogie superando lo strutturalismo e sposando i generi di Derrida la “moda” (e purtroppo alcune scuole tanto per fare new) trascurando i fondamenti dirompenti del destrutturazione… hanno fondato lo “style” decostruttivista…anche se  si sbatte a dimostrare Claudio Roseti in “La decostruzione e il decostruttivismo  – pensiero e forma
dell’architettura” rimane una banda di formalisti…senza racconto, senza contenuto…se non un gioco giocato dentro la disciplina per autocompiacimento… o meglio
ancora credendo che il nuovo linguaggio parlasse il rinnovamento sociale… quello che accadde a Ghibellina…dove solo l’arte ha senso di esistere nel luogo del silenzio della disperazione…
Per questo mi irrito, alle soglie inoltrate del duemila, sentire ancora parlare o sottolineare il LINGUAGGIO…come già da tempo comunicare vuol dire fare “un poema a fumetti”, intervenire nel paesaggio urbano con giganteschi manifesti (Benetton/Tuscani)…sino alle nuove spazialità…
Un nuovo libro si affaccia…”il Tao del Web”che contiene alcuni saggi… Di Rocco Antonucci su “il Tao del Web ­soglie d’interazione 0/1”, Omar Calabrese con “Stay tune! Ovvero:la conversazione per interconnessione, Ruggero Pierantoni con “Di come la ‘Gestalt’ sfuggì alla Rete, uno studio sull’eclissi delle “forme” e Ugo Volli “le spazialità di
Internet…un bel saggio in quattro puntante che si legge bene…e guarda caso tutti compagni di strada ed alcuni veri amici… Orietta Pedemonte apre e centra il nodo dell’argomentare…”tanti microprogetti, apparentemente slegati tra loro, determinano un unico grande sistema efficiente e razionale…una sconfinata iperbiblioteca destinata a
crescere in teoria all’infinito, senza alcun limite. Col tempo le maglie della rete diventano sempre più fitte, pertanto ogni branca del sapere via via finisce sul web…” inoltre sempre la curatrice continuando nell’introduzione sottolinea…”E’ molto probabile che presto o tardi anche questo libro lasci una traccia sul web, forse verranno riportate
delle parti, degli estratti, delle citazioni”  e visto che mi è stato rifilato ancora fresco di stampa …perché non accontentare e render vero questa previsione …
Quello che mi interessa segnalare e che ho trovato interessante è questo sguardo orientato in quattro punti cardinali, così segnando un punto quasi d’origine o spalle contro spalle, una croce d’osservazione…lasciando ai lettori la possibilità di affrontare altre diverse rotte.
Più o meno ormai un PC o MAC è oggetto domestico, come la TV il FRIGO la LAVASTOVIGLIE e LAVATRICE…è entrato in punta di piedi prima negli uffici, poi nelle case con tutte le periferiche, cavi, aggiunte…prima monitor e poi schermi piatti…poi ancora i notebook, i palmari etc la rivoluzione informatica oltre alla rete passa anche dalla modificazione dell’uso dello spazio e dal design dell’involucro dei pezzi tecnologici operanti…modificando anche i comportamenti antropologici  e/o prossemici…
La stanzialità si dilata oltremodo, si può essere nel deserto o in pieno oceano ma attraverso la rete satellitare ci si può connettere scaricando la posta, lavorare in rete e comunicare con la webcam vedendo l’interlocutore come da un ufficio di New York o di casa propria .
Dalle pagine emerge il mondo magico del nuovo, dell’esigenza di trovare le continuità con la storia… Certamente ha influito nel comunicare, creando linguaggi sempre più criptici …questa globalizzazione  del comunicare di immagini, scritti, suoni, voci, films…favorisce dimensioni delle webzine, dei siti con i rispettivi link, dei luoghi virtuali del comunicare in un gioco “mascherato” come aggancia Omar Calabrese nel suo saggio…ed ancora il segno 0/1, il pixel, il non luogo…labirinti & scatole cinesi come sottolinea Ugo Volli…trasmissioni in tempo reale e “cronologie” …dove fusi orari si sovrappongono s’intersecano in una sovrastruttura tra reale e virtuale…pensiamo alle “Parole” degli A12, ai contributi per un museo virtuale di “simple tech” in espansione…
Questo genere favorisce certamente il “progetto del design” del non luogo, dell’atopia… promuovendo un’idea di architettura sempre più effimera, dinamica e mutevole…
Con questo per chi vuole avere una visione rapida della storia della scena può visitare, per le numerose illustrazioni “lo spazio scenico” di Allardyce Nicoll e “l’evoluzione dello spazio scenico” del  Franco Mancini o ancora “il disegno dello spazio scenico” di Alessandra Pagliano ma poi mancano le ultime parti…del grande mutamento
di cui si parlava prima.
Guy Debord in pieno situazionismo con lucida intuizione attraverso la “società dello spettacolo” in 165 pagine aveva tracciato un avvenire complesso dove finzione e recitazione si mescolava sempre più al quotidiano…ed ancora prima Gorge Orwell con “1984” in modo preveggente raffigurava …il gioco de“Il Grande Fratello” spazio scenico… dei nuovi gladiatori …od ancora il mondo speculare di Morelly .
Quello che si avvicendava in quegli anni era che i “media” instauravano quel segnale che Marshall Mc Luhan ribadiva con la parola d’ordine “il medium è il messaggio”…il teatro nato nel suo rituale come strumento d’incontro e di comunicazione veniva posto a margine rispetto a mezzi più coinvolgenti come la radio, il cinema e la TV…questi ultimi due campi aprirono orizzonti per la scenografia con tecniche e metodi tutto nuovi…
Tra i più attenti Svoboda (la mostra)attraverso il laboratorio della “Lanterna Magica” metteva a punto una serie d’invenzioni illuminotecniche dando così a rinnovate spazialità come ci ha rilasciato tra immagini e sue parole… “Per lo stile della messa in scena odierna noi cerchiamo lo spazio, il quale, con una capacità veloce di cambiamento, permetterebbe di sottolineare il senso e le possibilità dell’espressione della messa in scena in corso dell’azione drammatica.
Tale spazio è capace di trasformarsi con l’andamento della messa in scena, con la musica, con l’evoluzione della sua linea significativa e drammatica. Può essere modellato dalla luce, dal colore, allargarsi con immagini della luce (proiettate).
Si tratta dello spazio che si trasforma dinamicamente e progredisce nel tempo contemporaneamente con le immagini sceniche create con l’attività degli attori. “
“L’arte non deve rappresentare le cose visibili, ma quelle invisibili. Ciò significa che deve tradurre il mondo secondo nuove leggi dell’immagine. Invece dell’albero, del ruscello e della rosa ci interessa piuttosto la manifestazione della loro crescita, dello scorrere e del fiorire.” suggerisce l’illusione, non fa finta di essere qualcosa di ciò che in realtà non è… Questo modo di raffigurare di creare nuove emozioni e coinvolgimenti …lo si può ritrovare in parte raccolto nel fresco libro di Anna Barbara “storie di architetture attraverso i sensi”  che utilizza una grafica tipica di quegli anni  tra Terry Jons, Gianni Emilio Simonetti dell’Arcana, e Casabella di Mendini
abbraccio questa visione per introdurre il concetto di sogno…dove i frammenti galleggiano in una ovattata luce o aura…
Ti ricordi…i Bolidisti  e il gruppo King Kong (Stefano Giovannoni e Guido Venturini)  come in Bye Bye Mister Hyde per Pitti Uomo sono stati, forse, i primi ad aprire il concetto di allestimento in messa in scena…
Se diamo una rapida sbirciata all’arte del novecento dai Futuristi … sino ai performen  (da Beuys a Vanessa) – 3k ­ Dalla Body Art  all’Happening, Enviroment… da Cage /
ad Acconci… troviamo il teatro che si distanzia dal linguaggio di far teatro, ovvero
il laboratorio… Ritorniamo a Firenze…ti ricordi… dei “Magazzini Criminali” della sperimentazione di una nuova scena, ti ricordi del teatro da stanza… del “New Dolce Stil nuovo” dali Ufo ai 9999, i tuoi Archizoom e Libidiarch… Le proiezioni notturne su Ponte Vecchio, le permanenze in Piazza della Signoria con giganti forme spugnose…le appropriazioni di Ugo La Pietra… Contemporaneamente a Genova il Teatro della Tosse usciva in strada, l’Archivolto inventava contaminazioni tra fumetti, musica e …
a Milano il Circoteatro… sino alla messa in scena del romanzo  da parte di Barrico tra  TV e il Piccolo…
L’idea del coinvolgimento di ribaltare il senso del teatro , sentiero poetico battuto da tutti, ma maestro ne rimane il Ronconi  che le ha provate tutte …. ribaltando la platea in scena…mescolando spettatori e attori… generando più scene in diverse stanze… utilizzando da giardini rinascimentali a capannoni industriali…
Ma siamo ancora in quella dimensione dove la rappresentazione del soggetto passa dalla “recitazione” e la scena  ne è fusa perché il Regista ne è manipolatore e la scena è servente… E’ con Bob Wilson che si ribalta, in teatro,  il soggetto oggetto… un po’ come accadde in pittura attraverso la metafisica di far passare l’idea “natura morta”…le bottiglie di Morandi… infatti Bob con le “nature di sedie”…piccole, giganti, di tela, carta, ferro legno, d’erba, volanti, di specchio…racconta l’oggetto racconta…la trama sono le relazioni di scenografia…sequenze come , foto, immagini che scorrono come quadri, composti in un ritmo che dà frequenza… di luci, colori, fondi  che come voragini ci suggeriscono la vertigine del secolo…  fumi, odori…trapassati la lame laser come nei concerti Rock… non a caso Wilson ha presentato in scena oggetti di design per la triennale…e ha messo in scena la collezione Armani al museo Solomon R. Guggenheim di New York…
In ultimo il superamento della scenografie è nell’oblio del fantastico sublime… percorrere uno spazio catartico … alcuni artisti hanno lavorato nella dimensione del virtuale da Bill Viola  allo Studio Azzurro
Questi ultimi sia per il “teatro-danza” ma per “spazi emozionali” iper attivi aprono orizzonti straordinari dove l’immagine produce relazione con nostri movimenti…spazi
modificabili… spazi di recitazione dove tutto diviene spettacolo compreso lo spettatore.
Se osserviamo attentamente le ultime Triennali  e Biennali… ma anche Kassel Documenta il tutto è un Flipper, un grande video gioco… della rappresentazione del rappresentato. Già ne “il corso del coltello” dell’85 Oldenburg con Celant mettevano in scena a Venezia “il teatro dell’arte nella finzione”… Tra le ricerche che modificano il fare dell’opera della finzione si possono rincorrere nella scena-virtuale Miccichè ma anche i videoclip sono eccezionali luoghi per perdersi.

(Brunetto De Batté – 15/2/2003)

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