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Storia e Critica

Sognate città & città sognate

Antonio Tabucchi (2) raccogliendo le citazioni & frammenti di Fernando Pessoa ci regala questa farfalla “chi volesse riassumere in una parola la principale caratteristica dell’arte moderna, la troverebbe perfettamente nella parola sogno. L’arte moderna è arte di sogno” bene ed allora inseguiamo questo volo come traccia del dipanarsi del discorso.
Se ogni storia dell’architettura segna l’avvio del moderno tra illuministi (Etienne Louis Boullée, in Architettura,saggio sull’arte) e William Morris
( Art, Wealth and Riches) ritroviamo il grande sogno che si protrae per tutto il contemporaneo .
E’ proprio con “Notizie da nessun luogo” (3) sino ai “non lughi” (4) o “altri spazi” che si estende il visionario mondo dell’immaginario, città sognate, città disegnate, città ideate, aspirate, attese, cercate, descritte, modellate, sperimentate, proposte, progettate, teorizzate, fumettate, filmate, scolpite, cantate…
Il modernismo (che verrà preceduto poi dal termine movimento) è pervaso da modelli diversi tra utopie & distopie, comunità & società, movimenti & manifesti, trattati & dottrine, tutto mosso in una ricerca continua tra ritrovare la New Polis ed il vivere insieme in un prossimo futuroventuro.
E’ per questo, un po’ per tracciare una costellazione di frammenti ed un riassunto visivo, che ho organizzato una doppia proiezione musicante ad introduzione del convegno.
Da una parte scorrono le copertine dei testi, trattati, saggi, romanzi, fumetti, teorizzazioni … attorno al tema senza ordine una sorta di caleidoscopio (tutto schiacciato sul presente) che si compone parallelamente a figure, immagini di “città sognate” tutto accompagnato da brani musicali che nell’ordine a sequenza scandivano lo spazio sonoro nel crescendo del tempo o meglio del tempo alle molteplici cronometrie e/o cronospaziologie.
Questo è il luogo del sogno dei sogni, ed appartiene a tutti, il luogo delle idee, lo spazio dove ogni immaginario rifiorisce e libra come in un farfallario ogni volta che lo si attraversa, senza voler niente ma avere in se tutti i sogni del mondo.
Non vi sono nostalgie ne rimorsi nel visitare questo luogo, è il mondo delle teorie, il mondo delle idee, dei modelli e tra questi vi si trovano anche macchine infernali ed infernanti. frammenti e rottami contrapposti a giardini dell’eden.
Esiste una ricca bibliografia a riguardo che segnamo qui a note (5), ed è da suggerire (per studi approfonditi) la biblioteca specializzata di Pierre Versins in Svizzera , che raccoglie ogni documentazione sulle declinazioni del tema.
Visioni, sogni di città dai fumetti con Little Nemo & Valentina /Crepax, e futurologie spaziali con Gordon & Barbarella tanto per accennare un argomento (territori di Ferruccio Giromini) e subito per scivolare dal cartoon al cinema con il Pieneta Proibito & Blude Runner e/o Matrix oppure mettiamoci da Dog Ville a The Truman Show (orizzonti di Aldo Viganò). Fumetti e cinema sono una ricca sorgente immaginifica, che in realtà traspone dalla letteratura, fatti, circostanze e dimensioni del definire sogni e città, sono gli strumenti del comunicare che fissano in modo diretto le immagini nell’immaginario, sono la vera vsoglia del sogno ad occhi aperti.
Ma Il disegno/progetto e la letteratura hanno il peso maggiore come i trattati teorici e sociofilosofici…
della letteratura sono interessanti i contenitori enciclopedici come:
l’ Almanacco Bompiani di “Utopia rivisitata” (5) & “il Manuale dei luoghi fantastici “(7); e successivi saggi per l’architettura e la città che si correlano in “Il futuro dell’utopia” di PLGiordani (8) con un suo seguito in “l’utopia nell’architettura del ‘900” di S. Santuccio (9).In questa prospettiva non vanno trascurate le ricognizioni dalla storia dell’urbanistica di Choay & Benevolo (10) alle visioni di new city con Rowe (collage city(che raccoglie un po’ tutte le posizioni anche storicistiche da Leon Krier a Marco Romano) (11)& Koolhaas (smlxl) (12)… affincate dalle ricognizioni storiche attraverso la sociologia elaborate da Elia (13) sino alle ricerche contestuali di Gazzola & Ilardi (14).
Ma nella miriade di racconti e innumerevoli romanzi tra i più noti val la pena di citare “la città sognata di Calvino e la città vissuta di Pennac o di Benni.come afferma Luigi Ciorciolini (15) “Uno scarto che è, in buona sostanza, l’esserci col corpo. Le città invisibili assumono i colori delle tele impressioniste, sfumano la loro fisicità nei particolari che solo l’occhio di un viaggiatore esperto può notare, particolari che diventano l’essenza stessa della città, tra il deserto e la metropoli. Città leggere perché sono racconto, quindi cariche di un patos “al passato”, rappresentano l’esperienza che può, perché conclusa nel momento in cui le si lascia, essere detta nella sua compiutezza. Rappresentano una prova generale di come sarebbe vivere in quel luogo, come se nelle sue parole, l’immaginario Marco Polo di Calvino, offrisse quello che nella vita di un uomo non si offre mai, ma la renderebbe leggera: il distacco. Il sapere già quali azioni sono equivalenti, il sapere già che il peso dell’eterno ritorno è un fardello che fa parte del gioco, non ne è lo spauracchio. Felice Kundera! E accanto a quelle che sono le città oniriche di Calvino, tutte segni, sensazioni, immagini, c’è la Belleville chiassosa di Pennac, che pullula di vite parallele, divergenti o convergenti, indifferenti, vite che si toccano ed emanano odori e puzze, che respirano affannosamente, che urlano e si muovono incrociando ritmi e desideri. Così, la città si colora di mercati e scantinati, di crimini e notti d’amore, i suoi luoghi diventano, prima di tutto, architettura di personaggi che li popolano. Non c’è più una città progettata, ma solo una città costruita, giorno per giorno, con le ossa dei suoi abitanti, con i mattoni che ognuno ha impilato per allargare il suo angolo di mondo, con le tende colorate che sventolano le une sulle altre. Belleville confonde le razze e le culture, trascina via con le scope dei netturbini i rimasugli di notte, i rimasugli di sogni – quei sogni in cui le città diventano miraggi di simboli e colori – e offre il disordine organizzato della società. In certe strade non entrare, in certi locali non fermarti, da dove vuoi che venga quello che cerchi? scegli il continente e annusa per le vie di Belleville dov’è. L’importante è la mappa, i percorsi che hai in testa, quelli che ogni abitante esperto conosce nel suo spazio abitativo. E soprattutto, cerca di capire presto chi sei, da dove vieni e dove puoi andare. Non è Parigi, a Parigi si “scende” dalla collinetta di Belleville, è una città nella città, come sempre più spesso accade nelle grandi metropoli, che, persa quella patina di provincialità, si espandono fagocitando ghetti. Gli occhi di Marco Polo cosa avrebbero visto di Belleville? Forse il sovrapporsi di alfabeti sulle vetrine dei negozi o le merci di forme e odori sconosciuti, o le case cadenti affastellate le une sulle altre? O il mercato? Che cosa avrebbe scelto di sognare, Calvino, pensando a Belleville? L’unica verità è che la città con la sua ingombrante presenza, non esiste se non nella mente degli uomini perché è lì che viene immaginata, sentita, significata ed è lì che si connota come centro di scambio, assumendo le tinte che il sole, la pietra e le percezioni gli attribuiscono. Dalla città condannata dai rappers alla città progettata dagli urbanisti, lo spazio si propone come manipolabile ma si rivela poi come già deciso. Dalla storia, dal clima, dalla terra, dagli altri uomini che lo abitano. Il paesaggio, oggetto di desideri e frustrazioni decide degli umori, dei caratteri, dei grandi eventi storici e dei piccoli drammi quotidiani. Decide anche che il Lupetto di Benni deve cercarsi un “quisipuò” per giocare a pallone in mezzo a un mondo di “proprioquà” urlati dalle finestre al primo rimbalzo della palla, nella periferia vuota, ingombra di palazzi tutti uguali. Squallidi nel presagio del loro crollo, del disintegrarsi della civiltà che difende lo spazio privato con la violenza contro l’irruzione della vita reale. E contro i ragazzi che rubano arance per le loro fidanzate. Una città di piccoli personaggi che si stagliano come eroi di una tragedia greca, davanti alle manifestazioni in cemento armato del potere e dell’indifferenza, che costruiscono sotto terra, nelle stradine ai margini dello spazio urbano e dello spazio sociale, le loro personalissime città, mappate con nomi di abitanti che sono il distillato di un’idea e arrabattano la loro vita tra gli eroismi e le miserie della metropoli.”
Quindi, in qualche misura, anche qui una città sognata perché costruita con particolari che diventano significanti solo nel dispiegarsi di una storia personale, particolari, che, come nelle visioni di Calvino, connotano uno spazio, confondendo il confine tra il sognato e il reale.” Innumerevoli straordinarie immagini scorrono come figure nella memoria dei tempi dalle sette meraviglie entrate nel sogno della leggenda all’ architettura radicale (16) tra monumenti continui ed istant city, questo immaginario disegnato è sempre lo latente al progetto e ogni qial volta stuzzica la città fisica nella sua trasformazione. Ma in punto è importante da definire l’immagine e l’immaginario di una città reale… Credo che “Le città invisibili”(17) di Italo Calvino sia un libro da consigliare agli studenti di architettura, come libro di testo in parallelo a “Come si fa una tesi di laurea” (18) di Umberto Eco. Due libri strumentali, ma il primo più che mai un vero manuale di lettura della città, il secondo un vero breviario per comporre con metodo capitoli, bibliografie etc. Calvino ha sempre provato a parlare di spazio, come nelle Cosmicomiche dove argomenta la forma dello spazio o il racconto “senza colori” che introduce alla visione monocroma (un po’ tipica quasi di tutte le scuole d’architettura), e dalle collezioni di sabbia o il parallelo Palomar sino ad arrivare alle Lezioni americane, il percorso si fa sottile e raffinato, astrae sempre temi di architettura, offrendo un prezioso settaccio dove far passare Eisenman, Holl, Ito, Piano, Foster… diventa una rilettura spoglia dai giochi di posizione stilistica o di categoria. Qui sta il punto: rileggere anche il Novecento non più per categorie di movimento ma per grandi temi riconducibili a letture possibili di chi usa e consuma lo spazio, fuori dagli specialismi. Infatti le dinamiche del “consumo e/o d’uso” sono insiemi che movimentano in modi esponenziali fruizioni e spostamenti mettendo a dura prova il senso dell’architettura e della città. Sotto questo profilo ritorna un senso complesso dei tempi come cronologie o meglio cronometrie, le dinamiche in un punto dello spazio possono essere correlate a più dimensioni temporali in interscambi di tempo, qui sta la modernità. La dimensione e lo spazio hanno sempre avuto una relazione a parametri come la fatica, un tempo misurabile in forza lavoro, al concetto di spostamento unico per tutti (giornate a cavallo) e questo cadenzava spazio tempo, o meglio ancora, come rincorreva ancora (in tempi “moderni”) il Giedion nel volume Spazio tempo architettura (19). Dimensioni del tempo oggi che si dilatano in bolle di sapone e s’infrangono dopo l’uso, questo spazio veramente contemporaneo e relativo produce dinamiche dove è quasi impossibile fermarne lo stato, o sospenderlo, questo fluido errante di flussi, di scambi, di comunicazioni, di immagini… come un torrente, segue naturali scoscesi piani drenanti in turbinii metamorfici. Forse qui sta l’interesse osservativo di chi ha organizzato la Biennale [l’ultima Mostra di Architettura della Biennale di Venezia, “Metamorph”, ndr] in chiara lettura metamorfica, o quelli sono i primi segnali di eventi (già conosciuti) prossimi in divenire?! Comunque si pongono cronologie come ed oltre ne Il castello dei destini incrociati. A questo, e dopo il panagirico, volevo introdurre due libri nuovi chiave da leggere contemporaneamente e così poter rileggere Le città invisibili che introducevo prima. I libri in questione “Percorsi anomali” (20) di Giuseppe Zuccarino e Taala (21) di Marco Ercolani. Il primo è in riferimento alle peculiarità del lavoro degli autori esaminati: Bataille, Caillois, Klossowski e Michaux. Ognuno di essi infatti è caratterizzato da una visione fortemente personale della scrittura e dell’esistenza in genere, visione che lo conduce spesso a formulare teorie e a realizzare opere insolite e contrastanti rispetto a quelle consuete. Se qualcosa li accomuna davvero in profondità, è proprio l’irregolarità del loro modo di pensare. Sia che affrontino temi di per sé scottanti o sgradevoli, come quelli dell’erotismo perverso, della follia o della morte, sia che propongano idee inusuali in ambiti che parrebbero rassicuranti o definiti da tempo (come quelli relativi al rapporto tra natura e cultura, arte antica e arte moderna, linguaggio verbale e linguaggio non verbale), essi riescono ogni volta a spingersi in una direzione personalissima, magari opinabile ma di sicuro esente dal vizio della gregarietà. A ciò si aggiunge una diversa provocazione, quella che investe la forma stessa delle opere, nelle quali si ritrovano i più insospettati incroci fra prosa e poesia, racconto e saggio, letteratura e filosofia, finzione ironica e discorso serio. Questo lavoro raffinato di Zuccarino mi ha riportato a quei registri del lavorare nel già costruito, patrimonio ormai di scuole italiane con sfumature lievi da Genova a Palermo, ma non solo mi ha riportato a un gioco sapiente già tracciato da Queneau in “Esercizi di stile” (22), un saper lavorare con diversi registri di linguaggio sullo stesso oggetto. Il secondo libro tratta di una città, forse aggiuntiva a quelle invisibili di Calvino, e come dice l’autore “sono tentato dal descrivere Taala come si descriverebbe una città mirabile, enigmatica o terrorizzante. Insomma, costruirti il romanzo della città, perché tu possa leggerlo. Ma Taala non era così. Chi si aspetta un’oasi romantica vide dei palazzi d’acciaio: chi avrebbe voluto una città d’acciaio affondò in una palude. Insomma Taala deluse tutti. Per un certo periodo di tempo, ci sentimmo quasi irrisi da lei: il suo opporsi ai nostri desideri ci sembrò il pensiero diabolico che ci opponeva per non essere posseduta. Poi cominciammo a capirla. E allora divenne il bello amarla, provare un senso di stupore e di rispetto, di felice meraviglia… ecco cos’era Taala: una città sventrata, una trincea con nubi di polvere e di fumo, i sacchi di sabbia nelle strade, gli schermi che si gonfiano nell’aria, secondo il vento… Taala è proprio così: una città incerta di sé che tutti possono plasmare, come un vaso di cera…”. Un racconto che rimanda si a Calvino ma apre immaginari delle periferie, delle mutazioni figurative secondo Kroll, o la Beirut secondo De Carlo dove la partecipazione gioca il ruolo del vaso di cera e non solo architettura per architetti.
Non confondiamo i sogni formali con i sogni sociali che nascondono i veri bisogni, molta architettura d’oggi è uno spettacolo di stars di effimero d’immagine sviluppata con sperpero di denaro comune, l’architettettura ha perso ironicamente la funzione, come se ogni senso di vita si sia dissolto nell’affermazione della rappresentazione, così come avviene nella “casa del grande fratello” dove il sogno è il divenire celebre nella metropoli della comunicazione non facendo nulla di nulla. Ben diversi sono i sogni e le aspirazioni di chi ci provava a recuperare una condizione contadina o artigianale in epoca industriale attraverso le comunità, sia qui in Europa che nel Nuovo Mondo. Ogni sogno comunque, rispetto all’epoca pre-moderna, aveva ed ha bisogno di un “proprio tempo” un tempo relativo, una sospensione di tempo.
Già prima introducevo al ragionamento tempo e spazio che prende struttura ed articolazione secondo Antonino Saggio in un suo ultimo contributo in Arch’it/webzine declina:
[1] IL TEMPO È LA PRIMA DIMENSIONE DELLO SPAZIO
[2] LO SPAZIO È UN INTERVALLO PERCORRIBILE
[3] PUNTO È CIÒ CHE NON HA SPAZIO, NÉ TEMPO
[4] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO INFERIORE È CONTENUTO DA UNO SUPERIORE
[5] DA UN SISTEMA INFERIORE SI HA PROIEZIONE DI UNO DI LIVELLO SUPERIORE
[6] OGNI SISTEMA DI RIFERIMENTO È VALIDO AL SUO INTERNO E HA UNO SPAZIO E UN TEMPO AUTONOMO
Ma per cercare di capire veramente che cosa è uno spazio a quattro dimensioni dobbiamo aggiungere ora una settima formulazione:
[7] IN OGNI SISTEMA DI LIVELLO SUPERIORE COESISTONO INFINTI SISTEMI DI RIFERIMENTO DI LIVELLO INFERIORE.


”Ora, domandiamoci, questo spazio a quattro dimensioni come è fatto? Che cosa succede al suo interno? Naturalmente funzionano tutti i punti descritti anche se ampliati di una caratteristica fondamentale che è condensata proprio nella settima formulazione: dentro uno spazio a quattro dimensioni coesistono più sistemi di riferimento a tre! Così se in uno spazio a tre dimensioni coesistono infintiti piani, nello spazio a quattro coesistono infiniti cubi! Ciascuno può avere orientamento diverso di assi, e naturalmente non è detto che siano cubici, ma possono essere ovali spiraliformi, sferici (dato che la conformazione cubica o meglio ipercubica è solo scelta per semplicità). Ciascuno di questi sistemi di riferimento (tra l’altro non necessariamente con assi tra loro perpendicolari) può descrivere mondi diversi dal punto di vista di spazio e di tempo come abbiamo visto anche nei casi precedenti. Inoltre i diversi mondi possono muoversi velocissimamente l’uno sull’altro generando i fenomeni, solo apparentemente paradossali, della relatività einsteniana”.
Nisargadatta Maha propone un’altra ancora dimensione che si sovrappone alla precedente “… Immagini di trovarti in un certo punto del tempo e di occupare un dato spazio; la tua personalità si regge sulla tua identificazione con il corpo. I pensieri e i sentimenti si susseguono in te, … e ti fanno credere, grazie alla memoria, che sei durevole. In realtà sono il tempo e lo spazio a esistere in te, e non tu in essi… Sono come parole scritte sul foglio: il foglio è reale; le parole, una pura convenzione. “
Ed ancora Massimo Pica Ciamarra (23) definisce un’altro filtro da aggiungere allo sguardo “Nella condizione contemporanea aleggiano inedite: la velocità con cui emergono nuove esigenze (cioè l’accelerazione della domanda di cambiamento); la coscienza della diversità come valore; tecnologie che consentono esperienze simultanee in più luoghi. Forse sono anche questi fattori a far si che una società apparentemente matura (che rifiuta guerre e scontri fisici come strumenti per risolvere le sue contraddizioni) presenti crescenti conflittualità nella forma dei suoi spazi con evidenti carenze di coordinamento. L’assenza di velocità nelle trasformazioni – lo sconcertante iato temporale fra la nascita di un’esigenza e l’effettiva disponibilità degli spazi fisici che consentono di soddisfarla – in uno con l’incapacità di controllare i processi di trasformazione nei paesaggi naturali ed artificiali, ha prodotto i suoi anticorpi: una diffusa aspirazione alla quiete, un sopore, soprattutto l’insofferenza verso trasformazioni ritenute improbabili che, quando avvenivano, facevano rimpiangere quanto c’era prima “…

Se avvenimenti di rilevanza storica nei secoli precedenti avevano un tempo di mesi o di anni, come afferma Vittorio Sanna (nel presentare il buovo libro di Augè (24) su Arch’it/webzine)
“ oggi siamo sottoposti ad un tempestivo e non selezionato stillicidio di informazioni che hanno la pretesa di sembrare fondamentali, e che accelerano il concetto stesso di storia e del corso del tempo. Se il tempo accelera il passo, lo spazio si restringe. Lo sviluppo dei mezzi di trasporto permette spostamenti sempre più brevi, ma non solo: la circolazione delle immagini di ogni posto sulla terra, ci fa sentire vicini a luoghi distanti, accorciando virtualmente lo spazio che ci separa da essi. Il sistema economico globale e le nuove forme di consumo contribuiscono all’individuazione dei destini costretti dei popoli. Dove il futuro diviene presente

A questa prima ambivalenza se ne aggiungono altre: il patrimonio dei luoghi si presenta sempre più come un oggetto di consumo, al quale segue che il viaggio si costituisce come verifica di ciò che già si conosce come immagine. Un turista verifica che Venezia sia esattamente come le immagini dei dépliant o delle cartoline! Così il simulacro penetra sempre più nella realtà. L’uomo contemporaneo si fa cullare nell’illusione perché il suo mondo si dirige verso la propria spettacolarizzazione.
È a questo punto che Marc Augé pone l’attenzione sulle rovine. Le rovine, secondo la sua tesi, riescono ad uscire dal gioco folle del mondo contemporaneo. Sfuggono al “tempo reale”, alla “diretta”, poiché risvegliano nell’osservatore la “coscienza della mancanza”: l’occhio si posa su di esse come se fossero un oggetto contemporaneo, e, al contempo, una data incerta a loro attribuita rende quasi impossibile un riferimento ad una epoca fissata nella memoria storica come immagine.
Le rovine sono l’alternativa al tempo storico e allo spazio spettacolarizzato poiché in esse si avverte il “senso puro” e la “massiccia attualità”. Le rovine sono il culmine dell’arte nella misura in cui accolgono in sé molteplici passati e, quindi, molteplici scritture di viaggio. La loro bellezza dipende dalla loro inafferrabilità. Ma Augé, finito il trattato, afferma che la bellezza è propria anche dei non-luoghi. Questi, con il loro cambiamento di scala e il loro porsi come oggetti dell’attualità che contengono infinite differenze, accedono al tempio della bellezza. Hanno la bellezza di ciò che non esiste ancora. La speranza di Marc Augè è “quella di reimparare a sentire il tempo per riprendere coscienza della storia” .
Su questo si può innestare il lavoro di Elena Rosa sulle “pratiche informali del tempo libero da un tempo per sé ad uno spazio condiviso” (25) che alimenta la dinamica delle forme dello spazio nel tempo d’uso…
Tutto questo per sottolineare il bisogno e la necessità di grandi sogni, non piccoli , ampi e di di respiro, sogni condivisibili dentro la polis, sogni che sollecitino immagini ed immaginari …
E’ in questi sensi che ho cercato d’impostare la proiezione, come conoscenza, memoria, resti archeologici di un passato dei sogni, come possibile terreno per strumenti di progetto
In parallelo al tempo presente, un modo di avere riferimenti comuni in un immaginario di sogno, insomma “una speranza progettuale” con più etica e meno idea di formalismo compreso il gratuito de-costruttivismo.Mi piacerebbe chiudere con una battuta sul registro delle visioni ironiche postdadaiste dei “fichi d’india” ma basta l’idea del salutarci con un sorriso.

Seguendo lo sguardo del Signor Palomar
Ritorno a Carrara dopo anni, appunto per il convegno, la ricordavo una città più grigia e spenta, ora , sarà la giornata solare cristallina di un novembre mai visto, la riscopro ridente diamantina.
Mi ricordavo bene del teatro Animosi e di tutti gli scorci suggestivi che offre la città antica che rivedo sfilando velocemente in auto per trovare un parcheggio.
Mi ricordavo, come in un’immagine fissa da polaroid, di una mostra sparsa per la città, era gli anni inizio sessanta, e lì potevi trovare sculture di Moore, Raschemberg ,Pomodoro, Melotti, Greco…mi affiorano alcune affermazioni dei compagni di liceo sull’orgoglio diffuso nei confronti delle cave e la coscienza dell’arte del lavorare il marmo… un ritorno tra memorie e ricordi.
Di solito non mi preparo mai , per nessun convegno, ed anche questa volta è così.
Ho ascoltato i diversi interessanti interventi, l’articolato e preciso discorso dell’Assessore, la stesura del programma della curatrice della mostra, “l’amica di trincea”, Marisa Vescovo e l’intervento strategico dell’economista.
Sono queste tracce importanti e considerevoli,degli oratori precedenti, che mi hanno portato alla similitudine dei racconti di Italo Calvino soprattutto alla raccolta Palomar , le osservazioni del Signor Palomar. In questo libro , come in Collezioni di Sabbia, si raccolgono sguardi dall’osservazione di un’onda all’aiula di sabbia, dalla ricerca del modello dei modelli all’ universo come specchio.
Uno sguardo attivo narrante, uno sguardo dinamico analitico lontano dal contemplativo, in sostanza suggerisce Calvino, attraverso le peripezie dell’occhio curioso del Signor Palomar.
Dico questo per introdurre alcuni concetti di riconoscibilità e di unicità della città, in un mondo dove l’immagine ha sostituito integrando la parola e la comunicazione modella il linguaggio l’immagine della città diviene dinamica & sfaccettata certe volte dissolta.
Lavorare sull’immagine & l’immaginario è un tema contemporaneo per tutti, è un ritrovare il senso comune dello stare insieme nella Polis che si modifica e si dilata in spazi /tempo che sono sempre più articolati. Cronologie &cronometrie s’intrecciano ed il tempo diventa misuratore sostitutivo dello spazio condizionando la stessa architettura.
Così la città e le città si dilatano e si restringono a territori che diventano arcipelaghi dei luoghi o non luoghi, dove l’immaginario si ritrova nella città pensata, con la misura degli spazi. Il viandante nella mappa, può segnare collezioni di sabbia, come musei di pietre, sapendo che dentro ogni opera c’è un racconto, come scrittori che disegnano.
Si è parlato d’arte e sappiamo che l’arte è necessaria per vivere, per crescere, per rinnovarsi, per comprendere… immaginiamo una città diffusa con presenze d’arte, con paesaggi che modellano forme rissolvendo banali funzioni, o ancora non luoghi, spazi allotropi, dismissioni. Pensare ad un museo come rovescio del sublime in una diffusa dispersione nel territorio.
Il paesaggio emerge a questo punto come luogo degli scambi, delle mutazioni, ma soprattutto la riscoperta del valore dei luoghi.
Certe volte s’insegue ciecamente la modernità, nella sua espansione tecnologica nelle sue accelerazioni temporali che accomunano appiattendo i valori…facendoci godere paesaggi telematici o scrivanie virtuali con fondi onirici di paesaggi lontani…
Immaginiamo fortemente chiudendo gli occhi di pensare al deserto… ad un deserto bianco… come le cave…alla sua luce intensa…al suo profondo silenzio fatto di ridondanze di suoni silenti… sospendiamo il sospiro e dimentichiamo il metropolitano, il concettuale, il pragmatico efficientismo…
Lasciamoci andare sempre ad occhi chiusi in un perdersi nel puro silenzio…
Le cave, il primo naturale materiale, il suono unico dell’ambiente, fa riscoprire silenzi naturali, tempi sospesi, il valore della materia.
Siamo nell’epoca dove virtuale&reale convivono… un virtuale ,che si è evoluto da rito a mito in sito sempre non a caso il Calvino propone la trilogia de “il visconte dimezzato”, “il Barone rampante” e “il cavaliere inesistente”…,questa con divisione di due mondi & modi paralleli coesistenti hanno a che fare con gli sviluppi il nuovo intendere gli orizzonti e gli obiettivi.
Ritornando all’arte come la città d’arte, sono strumenti di sollecitazioni dei sensi e delle emozioni, strumenti che ci riportano ad una condizione di con-fronto & dialogo… come in un colloquio ripercorribile attraverso “le città invisibili”.
Ho parlato di “tempo mangia Tempo”, tracciando possibili traiettorie nel paesaggio & territorio,e accennando ad arcipelaghi immaginari, ho segnalato dei temi possibili di lavoro tra immagine&immaginari, riscoprendo la città nella sua complessità attuale, con contraddizioni e collisioni… Ho raccontato delle microstorie adoperandomi sui testi di Italo Calvino, per farmi comprendere, almeno spero, sono un architetto urbanista e il mio dire certe volte disciplinare so ch’è incomprensibile…
Vorrei raccontare ancora una breve storia…

(PREMETTENDO , PER NON ESSERE FRAINTESO, CHE I MIEI STUDI ULTIMI E PROGETTI SONO RIVOLTI ALL’EFFIMERO SIA NEL CAMPO DELLO SPETTACOLO CHE DELL’ URBANO CON DIVERSI LAVORI SULLA COMUNICAZIONE COME NUOVA DIMENSIONE PER LA DEFINIZIONE DELLO SPAZIO…)

VORREI RACCONTARE UNA STORIA DI IMMAGINI & PAESAGGI
DAL SAPORE DI SALE
Alle città di pietra si sono sovrapposte città di latta, poi di vetro, poi ancora di luce e insegne…
ora dopo i vuoti urbani e spazi allotropi più i non … il virtuale arranca trovando uno spazio parallelo come doppio al reale.

Modificazioni rapide del territorio; mobilità ma anche incorporazioni e sostituzioni
in dinamiche legate ai flussi di popolazioni emigranti che stratificano favorendo la complessità dei rapporti e delle tensioni dello spazio, dilatando le identità e le tradizioni.
Informazione: continua, costante, plurima, invadente, l’informazione svela segreti piccoli e grandi, personali e universali, parziali verità provenienti da ogni angolo della terra, che sono sfornate senza tregua e che ci vengono date in pasto. Il mondo, e ogni sua trasformazione, ci viene continuamente offerto su un piatto d’argento
Movimento: di persone, di merci, di dati, di sogni reali e virtuali. Tutto si muove, nulla si distrugge, tutto si modifica, cambia forma, nome, colore, in un mondo che fa della metamorfosi una tecnica di ipnosi, un camaleontico travestimento, nonché il suo principio informatore…
Immagine: nel caos metamorfico che informazione e movimento impongono al mondo è lasciato alle immagini il compito di creare un ordine apparente….
Ubiquità e stanzialità convivono in un alternarsi di due mondi a fusi orari diversi…
In ultimo, partendo dal prezioso valore, conservato nelle viscere delle Appuane il futuro credo per aver ulteriori argomenti di conversazione stà nella traduzione delle cinque “lezioni americane” = leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità…

Sperando in una rinascita, come accade per quasi tutte le città europee di reinventarsi un futuro di sviluppo ed identità, questo accade da Milano a Genova, da Roma a Catania …città che cambiano rotta si ridisegnano si ripropongono al territorio, sono sicuro che con l’energia schietta la città solida fatta di marmo e di animi forti ha già trovato nella sospensione di tempo il suo ritmo ed il suo immaginario collettivo.


Riferimenti

  1. A.Terranova, città sognate. La Nuova Italia, Firenze
  2. F. Pessoa, Il poeta è un fingitore, (duecento citazioni scelte da A. Tabucchi), Feltrinelli, Milano 1988
  3. W. Morris, notizie da nessun luogo , Silva, Teramo 1970
    M. Augé non luoghi: introduzione ad una antropologia della surmodernità
  4. Elèutera, Milano 1993 (a cura di M. Baldini) il pensiero utopico, città nuova, Roma 1974; B. De Batté e G. Santinolli, tra il dire e il fare: utopia e comunità, (con schedature) Sileno, Genova 1975
  5. AAVV, utopia rivisitata (a cura di R.Cirio e P. Favari) Almanacco Bompiani 1974
  6. G. Guadalupi A. Manguel, manuale dei luoghi fantastici, Rizzoli, Milano 1982 ; assieme al precedente rappresentano una quasi completa schedatura sulle utopie , fantautopie e distopie letterarie.
  7. PLGiordani Il futuro dell’utopia, Calderini, Bologna 1969
  8. S. Santuccio l’utopia nell’architettura del ‘900, Alinea. Firenze 2003
  9. F. Choay la città utopie e realtà, Seuil, Parigi 1965; L. Benevolo le origini dell’urbanistica moderna, Laterza, Bari 1968
  10. C. Rowe F. Koetter collage city, Saggiatore, Firenze 1981
  11. R. Koolhaas smlxl , Monacelli, New York 1996
  12. G.F.Elia sociologia urbana, Hoepli, Milano 1971
  13. A. Gazzola Gli abitanti dei nonluoghi. Un’indagine sui senza fissa dimora a Genova, Bulzoni, Roma, 1997; La riqualificazione delle periferie urbane (a cura di, con L. Lagomarsino), Erga Edizioni, Genova, 1997; La ricerca urbana, in F. Carrer, L’anziano e il suo habitat. Sicurezza e qualità della vita, EDS, Roma, 1998; Metaferìa. Dialogo sulla città, (con C. Puccetti), L’Harmattan Italia, Torino, 1999 ; M. Ilardi negli nuovi spazi della metropoli, Bollati Boringhieri, Milano 1999 e vedi rivista Gomorra;
    da Chiara Certomà Città reali, città sognate
  14. Un pensiero sulle Città invisibili di Italo Calvino, La fata carabina di Daniel Pennac e Comici spaventati guerrieri di Stefano Benni
  15. Il progetto si chiama “Città invisibili”, dal titolo di un libro di Italo Calvino, e vuol far emergere la memoria sepolta della città dimenticata invisibile sotto la quotidianità. I grandi teli bianchi, che si prestano alle mille invenzioni dei giovani architetti in erba, fanno nascere città sognate, e i gruppi di artisti di musica danza teatro e di arti visive animano e danno una fisionomia particolare ai luoghi che essi abitano per la durata del progetto.
  16. B. Orlandoni P. Navone architettura radicale, Segrate, Milano 1974; B. Orlandoni G. Vallino dalla città al cucchiaio, Studio Forma, Torino 1977; catalogo Radicals. Architettura e design 1960/70, a cura di Gianni Pettena, Il Ventilabro, Firenze, 1996
  17. I. Calvino le città invisibili, Einaudi, Torino 1972
  18. U. Eco come si fa una tesi di laurea, Bompiani, Milano 1995
  19. S.Giedion spazio tempo architettura, Hoepli, Milano 1984
  20. G. Zuccarino Percorsi anomali , Campanotto, Udine 2002
  21. M. Ercolani Taala, Greco&Greco, Milano 2004
  22. R.Queneau Esercizi di stile, Einaudi, Torino 1983
  23. M. Pica Ciamarra, in Archimagazine/webzine
  24. M. Augè rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati Boringhieri, Milano 2004
  25. E. Rosa sulle “pratiche informali del tempo libero da un tempo per sé ad uno spazio condiviso, tesi di dottorato IUAV xvi ciclo 2004

(Brunetto De Batté – 8/11/2005)

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