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Storia e Critica

Kairos e modernità

Kairos è una parola che nell’antica Grecia significa “momento giusto o opportuno” o “tempo di Dio”. Gli antichi greci avevano due parole per il tempo, kronos e kairos. Mentre la prima si riferisce al tempo logico e sequenziale la seconda significa “un tempo nel mezzo”, un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale “qualcosa” di speciale accade. Ciò che è la cosa speciale dipende da chi usa la parola. Chi usa la parola definisce la cosa, l’essere della cosa. Chi definisce la cosa speciale definisce l’essere speciale della cosa. È quindi proprio la parola, la parola stessa, quella che definisce l’essere speciale. Mentre chronos è quantitativo, kairos ha una natura qualitativa. Nella lotta tra kairòs e chronos, kairòs è sempre perdente. È con questa perdita che la parola cessa.
Il tempo Kairos è spesso percepito come un periodo di crisi. I caratteri cinesi per “crisi” sono spesso una combinazione di caratteri per “pericolo” e “opportunità”, sebbene questo non è del tutto vero. A tal fine, si ha una possibilità di partecipare “ad una nuova creazione”. Si ha la scelta tra il pericolo e l’opportunità, una possibilità di costruire qualcosa di nuovo da qualcosa di vecchio. Il tempo Kairos colma lo strappo con “il vecchio modo” creando un “nuovo modo”.
(tratto da Wikipedia)


“Architettura e modernità”, di Antonino Saggio, non è un lavoro che vuole essere un excursus storico né, tantomeno, una storia dell’architettura.
Ed infatti, il libro non ha un inizio e, soprattutto, non ha una fine:“Gli anni della macchina 1919-1929”, prima parte del libro, e “La rivoluzione informatica dell’architettura. Dopo il 2001”, ottava parte del libro, sono appunto “parti” della modernità, ciascuna mai slegata dall’altra.
Va da sè che, per il loro contenuto, le ultime pagine del libro non sono altro che il rimando a quelle iniziali.
In sintesi, ma solo in prima battuta, potrei dire che il testo di Saggio è “circolare”, ovvero senza un inizio e senza una fine, bensì un cerchio che non ha però diametro fisso: ogni nuovo fatto vi si potrà inserire aumentandolo.
Ma ciò è vero, come detto, solo in prima battuta poiché la vera sostanza che l’autore trasmette è la lucida capacità di liberare la storia dalla gabbia del kronos, del tempo sequenziale ove tutto si colloca secondo logica. In realtà anche la lettura attraverso il concetto di circolarità degli avvenimenti storici è da scartare poiché la sostanza del testo ci dice chiaramente che la circolarità del tempo non ammette la “modernità”.
Si parlava delle ultime pagine quali rimando al suo inizio. Nel momento stesso in cui Saggio ci parla di Mockbee -e lo fa appunto a chiusura del suo libro- ecco che ci dice chiaramente cosa è la modernità del XXI secolo: è niente altro che lo stato attuale di tutta la modernità nella storia.
Secondo questa ottica è assolutamente impossibile leggere il libro semplicemente quale mero apprendimento della storia della modernità, un atteggiamento che porterebbe a sottrargli valore e conferirgli una connotazione anacronistica.
Ma anacronismo non ci può essere: richiamare -come fa Sggio- i significati di ciò che l’architettura rappresenta per l’uomo è un forte monito a non intendere la materia esclusivamente in termini di rappresentazione di se stessa bensì basarla sul concetto di progresso umano = progresso architettonico, da sempre e in ogni luogo. E se è vero che il progresso umano s’identifica con la capacità di migliorare la vita risolvendone le problematiche con le giuste cure, altrettanto vero è che tali cure debbano avere sempre meno controindicazioni.
Re-iniziando con Mockbee, Saggio ci dice chiaramente che il progresso umano = progresso architettonico non è mai da intendere quale quello riferito alla tecnologia, all’elettronica, all’informatica ma -e soprattutto oggi- è soprattutto la capacità di comprendere i risvolti negativi del progresso stesso e trasformarli in nuove potenzialità.
Una frase di Saggio racchiude il concetto: “Forse, ma i miti antichi lo avevano profetizzato, è servito andare sulla luna per ritrovare il senno”.

Di fatto, se la circolarità del tempo kronos non ammette la modernità, ecco che il libro esclude a priori sia il fissare due estremi (Bauhaus/Rivoluzione Informatica) su di un asse rettilineo che, soprattutto, la circolarità stessa.
Piuttosto si hanno due polarità che trasformano la storia/circonferenza in oggetto tridimensionale, in una sfera/storia.
I poli -apparentemente opposti- della rivoluzione industriale e della rivoluzione informatica sono interconnessi da materia che sì li separa ma, allo stesso tempo, li congiunge.
Non basta. Eliminato il modus di lettura quale kronos, il libro va letto secondo il significato di ciò che è kairos, modus che ci permette di cogliere non solo la superficie della sfera ma anche tutti gli elementi che ne compongono il volume, ed in tutte le loro singole dimensioni:
la “sfera/storia” è adesso concettualmente quadridimensionale.
Il passo successivo ne è conseguenza: chi leggerà il libro non si aspetti di trovare la spiegazione codificata di ciò che oggi è “modernità” a dispetto di cosa lo era nel 1919-1929.
Chi lo leggerà con questa consapevolezza non resterà deluso nel non trovare alcuna netta presa di posizione, nessuna affermazione di codificazione, nessuna certezza.
Ma la domanda che ci si deve fare ancora prima di leggere il libro è semplicemente: “cos’è la modernità del XXI secolo?”.
Domanda da farsi relazionandosi al nostro modo di vivere contemporaneo che è un vero e proprio momento di passaggio di consegne tra l’ Era industriale e l’Era informatica, molto diverse nei mezzi che le (ed) esprimono ma entrambe preposte alla produzione di beni atti a migliorare la vita.
L’automobile serve da più di un secolo a farci muovere più velocemente e senza fatica, dunque il suo scopo è sempre lo stesso ma è mutato ciò che sta dietro alla sua produzione. La catena di montaggio degli inizi del XX secolo è anch’essa la medesima dal punto di vista della propedeuticità della lavorazione per l’assemblaggio del prodotto ma l’uomo è stato sostituito dal robot. Ora, il robot è la massima esternazione dell’informatica ma dietro il prodotto informatico vi è sempre e comunque la mente umana, lo studio, l’approfondimento, la sperimentazione, in sintesi tutto ciò che porta all’innovazione.
Dalla automobile-carrozza alle nostre automobili intelligenti non vi è un balzo in avanti ma semplicemente un cammino passo dopo passo. La modernità è prerogativa di entrambe ma la sua sostanza, il suo inverarsi è profondamente diverso: non più solo strumento di uso pratico per l’uomo ma strumento che ha il valore aggiunto di soddisfare i bisogni dell’uomo senza necessariamente creare controindicazioni deleterie per l’uomo stesso (inquinamento, sicurezza stradale, etc.).

Vale lo stesso discorso per l’architettura: la modernità degli anni ’20 del XX secolo poteva dirsi tale solo allorquando si riferiva alla risoluzione delle crisi indotte dall’era industriale, quella stessa da cui la nuova architettura era potuta nascere.
Oggi siamo allo stesso punto: cos’è modernità del XXI secolo? Semplicemente “coscienza della propria era”, a 360°, coscienza delle positività, delle negatività e soprattutto delle potenzialità, queste ultime intese quali la capacità di eliminare le negatività della stessa modernità.
In fondo la “modernità” è sempre stata la capacità dell’uomo di avere coscienza delle proprie potenzialità, sin dal primo uomo che, scoprendo la caverna, ne fece il proprio habitat spaziale.
Con la sua Torre dei Venti Toyo Ito rompe definitivamente il rapporto architettura = esclusivamente linguaggio. I passaggi sono certamente molto più complessi di come qui riassunti ma ciò che conta è che la sostanza sta nel nuovo rapporto tra elemento urbano e suo intorno, che non è più un “intorno” spaziale ed estetico scisso dal singolo fatto architettonico bensì un unicum con l’architettura.
Modernità, dunque.
Prendiamo la torre Eiffel, massima espressione della modernità del XIX secolo, oggetto rivoluzionario rispetto il significato che sino ad allora aveva l’architettura, oggetto scultoreo poiché non ha spazialità interna percorribile ma oggetto comunque architettonico poiché si pone spazialmente in relazione con il tessuto della città, lavorando in tridimensionalità (pur se prospettica).
La Torre dei venti, così come la Torre Eiffel, è certamente senza spazio interno ma non è né scultura e né architettura nel senso in cui lo è la Torre Eiffel.
Non è, e non può essere, oggetto urbano in relazione spaziale / volumetrica / estetica con altri edifici ma è elemento centrifugo di ogni altro elemento della città, e non più solo di quelli architettonici. Lo spazio non è più solo quello di relazione dimensionale, prospettica, dinamica dato dagli oggetti in relazione tra di loro ma è spazio immateriale che è generato dalla città viva.
Nelle grandi fabbriche erano le macchine a dettare l’acustica, i rumori, la vita. In Ito è l’oggetto silenzioso ad essere macchina che introietta, elabora e reimmette ciò che è la vita vissuta dall’uomo contemporaneo in rapporto anche con i fenomeni naturali.
La Torre Eiffel e la Torre dei venti vanno oltre qualsiasi riferimento temporale cronologico: sono kairos della modernità.
In tutto il libro di Saggio il riferimento temporale non è il kronos bensì il kairos, che è poi null’altro che il Ri-creare, l’esserci nel tempo opportuno.
Re-inizi / Ri-creare. Il succo sta tutto qui.
Re-iniziare significa Ri-creare ovvero vivere il proprio kairos, il tempo opportuno di cui Aristotele ci parlava, “tempo” che dà valore a ciò che accade, un valore che non si mummifica in una datazione ma che, seppur sottotraccia dalla superficie della sfera/storia, è sempre presente.
E se è vero che dal punto di vista etico Kairos è nella letteratura greca sinonimo di insicurezza, tutto è perfettamente chiaro: Ri-creare (Re-iniziare) significa avere assoluta consapevolezza etica dei cambiamenti. E la consapevolezza dei problemi pone sì tutti in una situazione di insicurezza ma, altresì, sprona alla risoluzione degli stessi. L’insicurezza è dunque “consapevolezza”.

“Dal Bauhaus alla rivoluzione informatica”: ci sarebbe da chiedersi il perché l’autore usi un edificio simbolo per identificare la rivoluzione industriale in architettura e non faccia altrettanto per la rivoluzione informatica, lasciando alla stessa definizione il ruolo di polo della modernità contemporanea. La domanda perde ogni significato una volta letto il libro: è impossibile identificare in un solo edificio simbolo ciò che significa “rivoluzione informatica” in quanto il farlo significherebbe dare all’architettura contemporanea un ruolo identico a quello che la Bauhaus esprimeva. Sarebbe un errore fondamentale perché si perderebbe il significato delle diversità di due epoche, certamente consequenziali ma altrettanto certamente assolutamente diverse nei contenuti che l’architettura ha il compito di esprimere. Ed allora, ecco che anche l’uso “Dal Bauhaus […]” siamo certi che non si riferisca “solo”all’edificio, all’architettura, anzi. Bauhaus è sostanzialmente volano della modernità di quegli anni e lo è per le idee dei singoli, per gli intenti comuni, per le divergenze. Lo è perchè introietta la rivoluzione industriale quale semplice evoluzione, la centrifuga con l’etica e la rilancia nel futuro. Ecco perché il “Dalla Bauhaus alla rivoluzione informatica” non è un sottotitolo ma è l’epicentro del terremoto che scuote gli elementi della sfera/storia sino a configurarne nuove sinergie.

Saggio coglie i “momenti primi” del Re-iniziare/Ri-creare che hanno fatto la modernità e lo fa approfondendo le figure di alcuni architetti che hanno segnato profondamente il percorso del progresso in architettura, appunto Ri-creando/ Re-iniziando.
Ed allora, ecco che da questo punto di vista non vi è alcuna differenza tra Gropius e Le Corbusier, tra Wright e Mies, tra Aalto e Mendelsohn, tra Kahn e Rossi, tra Eisenman e Gehry.
Detto ciò, la lettura non deve assolutamente indirizzarsi a rintracciare nelle forme architettoniche il significato del loro essere nella storia. Saggio elimina il kronos che uccide i suoi figli e, così facendo, li riporta in vita quali kairos.
Approfondire alcuni architetti significa esclusivamente concentrarsi sui significati che hanno generato le opere, trasmetterci il loro kairos.
Se il lettore avrà consapevolezza di ciò che oggi è modernità potrebbe addirittura partire dalle pagine finali e leggere il libro a ritroso: coglierebbe comunque tutti i kairos che lo compongono.


(Paolo G.L. Ferrara – 15/4/2010)

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