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Il Coraggio

<< La carriera universitaria impoverisce e logora gli architetti, quasi fosse inconciliabile con quello stato di libertà e sofferta solitudine che è condizione dell’essere creativo (…) In un universo congestionato, bacato, inquinato da professori universitari, isteriliti e sclerotizzati, solo pochi scampano al paternalismo e al sadismo accademico, e sono quelli che affrontano i problemi linguistici>> .
Estendendolo agli studenti, il concetto di Zevi potrebbe essere ancora più incisivo: la carriera universitaria impoverisce e logora gli architetti / professori e di riflesso impoverisce e logora anche gli studenti.
Docenti e studenti tutti logorati?
A ben vedere – e, soprattutto, sentire – è molto improbabile che il generale malcontento da parte degli studenti sia dovuto esclusivamente alla mancanza della voglia di studiare. La carriera di studio universitario impoverisce e logora gli studenti, anche quelli che avrebbero voglia di studiare. Degli altri, quelli che la voglia non l’hanno, inutile parlare.
Colpa dei docenti? Quasi tutta, indubbio, ma non di tutti. Discutere la preparazione dei singoli docenti o l’iter seguito per arrivare all’insegnamento non è argomento che riguardi questo scritto; il tema da sviluppare è capire i motivi che stanno dietro al logorio della vita universitaria, dai quali inizia a nascere quello stato di torpore che man mano diventa sempre più evidente.
Insegnare architettura significa tirare fuori dal singolo studente la personale capacità di critica. Essendo l’architettura atto creativo, non può esentarsi dal nascere da un atto critico, che è parte integrante del processo architettonico.
Ipotesi: gli architetti/professori si logorano e si impoveriscono perché non hanno stimoli dagli studenti? Inaccettabile. Caso mai è lo studente che si logora perché perde piacere allo studio. Chi insegna ha il dovere di stimolare lo studente a riflettere su ciò che ascolta. La capacità di stimolare non può prescindere dalla volontà di coinvolgimento attivo dello studente. La selezione sarà naturale: chi avrà voglia e passione parteciperà.
Ma che tipo di rapporto si deve avere con lo studente affinché lo si coinvolga attivamente?
Per prima cosa, non presentargli l’architettura in veste di dogma; fu un errore commesso anche da Gropius , ad esempio, quello di eliminare i corsi di storia poiché li riteneva dannosi per la formazione, senza però proporre una diversa lettura della storiografia sino ad allora connotata dalla linea accademica. Anche Gropius si esentò dal fare critica storica, finendo per cadere nella stessa rete di quei dogmi che voleva eliminare.
Non è accettabile che un docente di storia, di critica o di progettazione scelga a proprio piacimento cosa insegnare e cosa no.
Posso, ad esempio, decidere di fare leggere la “Storia” di Zevi, ma non posso esentarmi dal parlare della “Storia” di Benevolo, precisando la diversità dei contenuti e degli obiettivi dei due autori. Infatti, è sottolineando le diversità che si stimola lo studente a leggerle con giudizio critico, dandogli quantomeno la possibilità di incuriosirsi alla ricerca dei significati che stanno dietro di esse.
Fare crescere lo studente significa valorizzare la singola potenzialità creativa, liberandola dal percorso imposto dalle personali convinzioni di chi insegna?
Detto e fatto: nascono i Laboratori di progettazione che però, nella maggior parte dei casi, altro non sono che piccole baronie che i famosi corsi integrati non riescono a far passare per quello che non sono, cioè integrazione disciplinare finalizzata a dare allo studente un campo d’azione più vasto.
Si attendono smentite, ma prima si consiglia di prendere visione dei programmi di quasi tutti i Laboratori e dei loro corsi integrati : identico il programma, identica la bibliografia. In quasi tutte le facoltà italiane.
Inevitabile che all’interno della scuola si creino tante “piccole scuole”, il che potrebbe essere assolutamente positivo se solo lo studente fosse reso partecipe della eterogeneità di pensiero che aleggia nelle aule.
Ma ciò non accade quasi mai. Sarebbe molto più produttivo se, all’interno del Laboratorio, le integrazioni ne fossero l’esatto contrario. Impossibile? Improponibile didatticamente perché si creerebbe uno scontro tra le diverse posizioni e lo studente ne uscirebbe confuso, frastornato, quasi messo da parte e non coinvolto? Credo sia esclusivamente un problema d’intelligenza didattica; se intendo l’insegnamento quale momento di incontro con dieci, cento o più studenti, non posso non considerare che ho a che fare con dieci, cento o più personalità diverse. Ciò mi consentirà di lasciare che ognuna di esse abbia ad esprimere le proprie capacità di assimilazione ed elaborazione di quanto ascoltato. La condizione necessaria che chi insegna abbia intelligenza tale da non intendere il Laboratorio quale ring su cui sconfiggere l’avversario, la considero fatto scontato: in caso contrario ci sarebbe solo meschinità e stupida rivalità tra i docenti.
Altra obiezione: com’è possibile impostare con queste modalità un laboratorio se il suo fine è quello della produzione di un progetto? Dunque, come dovrebbero poi progettare gli studenti? Anche queste, obiezioni insensate.
Il problema non è “come progettare” bensì “perché progettare”; non si tratta di fare delle scelte tra un campionario, scadendo nella più deleteria delle inutilità, quella del manierismo fine a sé stesso.
Diceva Zevi : << Se si opera in architettura , non basta scegliere i contenuti; bisogna impegnarsi ad esprimerli spazialmente (…) La ricerca di un linguaggio è dunque inutile qualora per linguaggio s’intenda il formalismo astratto, fine a se stesso, sganciato dalla configurazione creativa e socialmente impegnata nei programmi edilizi. Il linguaggio diviene feticcio se l’architetto non ha niente da dire (…) >>
Più chiaro di così! Se si eviterà di perdersi in chiacchiere pseudo-linguistiche interrogandosi invece sui perché della progettazione, tutto sarà più semplice. Attualizzare la storia – e per essa, sia chiaro, s’intendono anche avvenimenti temporalmente contemporanei a noi- nei Laboratori significa creare interazione proprio tra i diversi atteggiamenti progettuali.
Potrebbe forse risultare incongruente porre sul tavolo della discussione in merito alla città la visione in_between e quella dell’isolato? O forse non ha nessuna logica analizzare parallelamente le diversità su come il funzionalismo in architettura è inteso da Gehry e da Rossi? Forse, ma improbabile.
L’ermetismo architettonico non ha mai giovato. Se posto con i giusti criteri, il problema delle diversità sarà il cuore della crescita critica, il che non significa che Aldo Rossi sbagliasse e Gehry risolva tutti i problemi – o viceversa -.
In fondo, credo siano ormai lontani i tempi in cui Norberg-Schulz – a proposito dell’architettura moderna – si lamentava dell’impossibilità di distinguere un distributore di benzina da una chiesa.
In verità, i Laboratori integrati nella modalità sopra proposta, altro non sono che una provocazione, che ha intenzioni di dare vita ad una guerra. Guerra contro il corso universitario quale “proprietà privata”, ove leggi restrittive immobilizzano l’atto creativo in un unico modus. Guerra contro la settorializzazione delle conoscenze, finalizzate esclusivamente ad arruolare numeri tra le proprie fila di schieramento senza però mettere a conoscenza dei requisiti del presunto avversario con cui accapigliarsi. Guerra a favore della partecipazione dello studente alla didattica, mettendolo davanti al confronto tra i docenti preposti ad insegnare loro il “fare architettura”.
Uniamo didattica e ricerca, valorizziamo lo studente nel ruolo che gli compete, quello non solo di uditore ma anche di partecipante attivo alla propria crescita. Responsabilizziamolo non più con la minaccia di punirlo all’esame ma con il contributo che potrebbe dare alla didattica. L’esame fa numero e molti studenti, stufi dei corsi, puntano esclusivamente ad avere un numero in più d’esami sul libretto. L’esame fine a sé stesso è la massima espressione della massificazione delle università ma l’Università non può assolutamente mirare ad un efficientismo fine a se stesso. Ciò significa che debba essere disponibile a cooperare con la libera cultura – e , se proprio non vuole, che almeno la rispetti- , poiché anche dall’esterno degli atenei possono pervenire apporti notevoli alla ricerca architettonica.
La libera cultura assume un ruolo fondamentale e va inculcata soprattutto agli studenti durante il loro soggiorno nelle facoltà. In mancanza di ciò il fallimento pedagogico è assicurato.
Ma la libera cultura è ostracizzata quasi che, come la “Big Duck” di newyorkese memoria, possa essere un pericolo per lo status sociale (accademico).
Il Gruppo SITE, proprio per mezzo della Big Duck di Long Island, accese un divertente dibattito, a dimostrazione di quanto sia importante la libera cultura che spazia oltre gli sterilismi ed i dogmi universitari.
La rosticceria a forma di anatra andrebbe messa quale ingresso agli atenei; ci sarebbe da divertirsi e da meditare anche sulle parole di James Wines : << i bei progetti, i codici estetici, le leggi formali sono i mezzi di cui si avvale l’architettura per nascondere la carenza d’immaginazione(…) la scelta tra la teoria standard ” la forma segue la funzione” e quella della Big Duck è paragonabile alla scelta tra il sesso strumentalizzato esclusivamente per la procreazione, e il sesso per la gioia. Ambedue possono raggiungere gli stessi effetti, ma solo il secondo rende la vita degna di essere vissuta>>.
L’Università è sinonimo di preparazione alla professione, ma ciò non implica che non ci si possa divertire.
Dunque, basta con programmi sclerotizzati da anni: i docenti sono tenuti ad aggiornarsi – sono o no degli studiosi?- , sono obbligati a mettersi in gioco esprimendo il loro pensiero senza però inculcarlo quale dogma, hanno il compito straordinario di potere interagire con le generazioni future, quelle che assorbiranno maggiormente i cambiamenti della società da qui a trenta anni; ciò obbliga il docente a non essere vecchio e sclerotico, protetto dall’ovatta accademica, castrando il giovane studente. L’università è ricerca? Bene, che si adegui ai mutamenti.
Un tempo, frequentare l’Università era obiettivo che aveva in se la voglia di conoscere ai massimi livelli ciò che il mondo culturale produceva. Un tempo.
Oggi si deve necessariamente comprendere che la diffusione dei dati ha cambiato sede. Il “pensiero” circola liberamente e le occasioni per potervi interagire sono notevoli.
Potrebbe essere molto interessante verificare quanti docenti sarebbero disposti a mettere on line- internet- le lezioni universitarie o qualsiasi loro opinione. Ventuno anni fa, quel critico tanto ostracizzato dalle università – paura?- che fu Bruno Zevi, proponeva di diffondere le lezioni universitarie per radio o televisione, portando al di fuori delle aule quanto i docenti illustravano agli studenti: << Non dovremmo perdere neppure un minuto. Il docente svolge la sua lezione in classe, e questa viene ripresa e trasmessa per radio o televisione. Rilevando lacune e difetti, potrà sostituirla nel giro di poche ore (…) In tale processo di continuo aggiornamento consisterà il suo impegno scientifico-didattico>>.
Internet è una grande risorsa, poiché chiunque può esprimersi e comunicare agli altri le personali opinioni, ricerche, studi. Ciò comporta il pericolo che vi sia di tutto di più, dunque anche cose inutili? Fa parte del gioco, del resto quanti libri stupidamente inutili vengono pubblicati? Internet sarà indiscutibilmente la controprova del coraggio di mettersi in discussione. Chi non lo farà metterà in evidenza la paura di essere giudicato, il terrore di esternare il proprio pensiero oltre le mura insonorizzate dell’aula in cui pontifica.
Chi subirà questo atteggiamento potrà sempre appellarsi all’art.33 della Costituzione.
Non tutto è negativo, perché qualcosa si muove. Degno di nota è l’impegno di Antonino Saggio, professore associato di composizione architettonica a La Sapienza di Roma, ha scelto di esternare il suo pensiero sull’architettura non soltanto nei libri della collana La Rivoluzione Informatica e nelle aule universitarie ma anche su internet. La mossa è chiarificatrice perché denota la volontà di interagire proprio con quella libera cultura di cui sopra. Negli articoli pubblicati su Arch’it da Antonino Saggio vi troviamo molteplici argomenti soggetti a sviluppi oltre il pensiero espresso dall’autore.
Anche Luigi Prestinenza Puglisi compie lo stesso percorso, entrambi consapevoli che la discussione ed i contraddittori creati dalle loro opinioni possano diventare spunto per l’impegno scientifico-didattico.
Antithesi plaude all’iniziativa di Arch’it e ne appoggia incondizionatamente gli obiettivi. Internet è un mezzo che può permettere agevolmente di raggiungere il fine di ricreare dibattito tra le diverse testate ed è per questo motivo che Antithesi, pur non avendo alcun rapporto editoriale con Arch’it, invita tutti gli utenti- soprattutto gli studenti- ad interagire con Saggio e Prestinenza Puglisi.
Dunque, “IL CORAGGIO” così come ironicamente presentatoci da Totò – in un film con Gino Cervi- deve diventare una dote intera, perché in caso contrario, come ammoniva Sciascia, sarebbe “falso eroismo”.

(Paolo G.L. Ferrara – 9/1/2001)

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