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Storia e Critica

I vitelloni dell’architettura

Ricordate gli anni ’80 in politica? Tutti, o quasi, socialisti o democristiani.
Ricordate gli anno’80 in architettura? Tutti, o quasi, Bottiani o Rossiani.
Ma si sa, la vita ci sottopone a dure prove e queste, a loro volta, ci costringono a repentini cambiamenti.
Non m’interesso di politica, dunque non posso dire dove siano finiti tutti i socialisti e tutti i democristiani – anche se un sospetto l’avrei…- .
Posso però intuire dove siano finiti gli architetti ex bottiani ed ex rossiani. Sfogliare qualche rivista del settore è eloquente. Si trovano personaggi che hanno avuto un repentino cambiamento della loro poetica (…?) architettonica, lasciando la scia di moda negli anno ’80 e saltando a piè pari sul carrozzone di passaggio, quel carrozzone che sta diventando tutto ciò che viene frainteso quale decostruttivismo.
Non c’è proprio limite alla decenza! Si copia spudoratamente, senza capire cosa si progetta. Facilmente smascherabili, tutti quegli architetti che hanno sempre fatto il verso alle poetiche linguistiche, si ergono oggi a numi tutelari di concetti eruditi, risultato di lunghi e faticosi studi…
Mi chiedo perché le riviste di architettura non tocchino mai questo argomento. Ma forse è una domanda stupida, che denota la mia illusione che esse possano essere nuovamente quel che erano sino a venti anni fa.
Anzi. Proprio sulle riviste tanti architetti si riciclano, enfatizzando le architettura illustrate a mezzo intercalare di frasi ridondanti all’interno dell’articolo d’accompagnamento.
Pochi tra i critici più quotati si sbilanciano.
Non cambia molto in alcune aule universitarie. Mi ricordo da studente di avere frequentato un corso di Progettazione in cui vigeva l’impostazione accademica di riferimento Aldo Rossi/ Mario Botta/ Vittorio Gregotti.
Niente da eccepire, poiché è lecito che ogni docente possa intraprendere la strada che ritiene più consona alle personali capacità e ideali. Oggi, da docente precario, mi capita spesso di trovarmi a tu per tu con studenti provenienti da quel corso di progettazione in cui, con mia somma meraviglia, sono stati “iniziati” alla decostruzione. E’ d’obbligo l’obiezione che mi si potrebbe fare: un docente universitario, proprio perché tale, è in primo luogo uno studioso, un ricercatore, dunque può benissimo avere cambiato orientamento ed atteggiamento. Altrettanto legittima è la perplessità.
Una ricerca impone dei passaggi obbligati che possano condurre a cambiamenti ponderati e meditati. Non accetto che si possa rinnegare repentinamente l’accademismo per abbracciare l’anticlassicismo. Non vi è coerenza, ma solo convenienza. Le ipotesi sono molte.
A) Tutti gli ex accademici/nuovi anticlassici non sono mai stati accademici.
Hanno dovuto esserlo perché Kahn, Botta, Rossi imperavano nel mondo. Costretti a farli conoscere per dare possibilità allo studente di calarsi nella attualità, non avevano modo migliore, didatticamente parlando, di farli progettare secondo i dettami accademici. Stesso discorso vale per le bibliografie: in tale condizione non aveva senso fare leggere , ad esempio,Haring contestatore delle stereometrie, o la Storia di Zevi.
B) Tutti gli ex accademici/ nuovi anticlassici erano convinti accademici.
Come sulla strada di Damasco, anche loro sono stati folgorati, ma dalle architetture e dalle parole di Eisenman, Gehry & C. Hanno scoperto che Botta, Kahn e Rossi non battevano la strada giusta, portandoli a rinchiudersi dentro regole atte a superare la crisi della modernità. Plausibile, i miracoli esistono, ma un irrefrenabile dubbio mi sorge : dov’erano codesti docenti quando, dopo la seconda guerra mondiale, Scharoun, Michelucci, Wright,Pietila e gli architetti radicali – tra gli altri- progettavano? Quanti libri stavano leggendo da essere così impegnati per non potere dare uno sguardo, magari frugale, al libro di Zevi “ll linguaggio moderno dell’architettura- guida al codice anticlassico” ?
C) Tutti gli ex accademici/nuovi anticlassici studiavano per diventarlo.
Ma lo facevano clandestinamente. Consapevoli che il M.M. non era esclusivamente la farsa “International Style”, e che la riscoperta della storia da parte di Kahn lasciasse il tempo che trovava, uniti come partigiani studiavano il modo per dimostrare che l’accademismo era castrazione, imposizione, negazione del pensiero moderno. Furbi come volpi, per non farsi scoprire dagli avversari, fingevano di perseguire la strada accademica e lo facevano nelle aule universitarie. Nel frattempo, nei loro studi professionali, progettavano le loro architetture partendo da presupposti totalmente diversi. Miravano a riscoprire gli scuotimenti della scatola attuati da Terragni, la quadridimensionalità neoplastica, la continuità spaziale di Wright, il dinamismo informale di Ronchamp, la violenta espressività di Michelucci a Campi Bisenzio, etc. Erano rimasti talmente scossi anche dagli Archigram, da Pol Bury e da Bloc che non potevano fare a meno di darne continuità. Purtroppo, si doveva anche mangiare, ed allora, al momento di costruire, si ripiegava sul prodotto che tirava: Rossi, Kahn, Botta. Poveri anticlassici in nuce, costretti a prostituirsi per potere sopravvivere.
D) Tutti gli ex accademici/ nuovi anticlassici sono incurabili opportunisti, ovvero ignoranti e dannosi.
Ignoranti al tempo dell’accademia, lo restano oggi. Non hanno idee, preparazione, capacità critica. Sono architetti che hanno intuito…nel capire cosa fare per essere al passo con i tempi. Sono mediocri, perché non hanno idee proprie ma usurpano, malamente, le altrui. Non saprebbero neanche accennare un discorso su Derrida o sugli studi di Eisenman e credono che Gehry abbia iniziato a progettare da Santa Monica in poi.
Mostrano la loro totale insipienza professando che le invarianti zeviane siano regole da applicare al momento del progetto. Inevitabile che gli studenti siano confusi e perplessi. Si chiedono che senso abbia presentare l’anticlassico quale progetto senza regole e poi imporne delle altre.
Si fa credere loro che l’anticlassico sia lingua dell’ultimo ventennio, ma se si chiede loro di rintracciare nel anche passato poetiche anticlassiche è come chiedere loro di confutare la teoria di Einstein.

Mi sbilancio: l’ipotesi D è quella più verosimile. Sarebbe molto lungo ricostruire i passaggi che dall’accademismo di Kahn ci hanno portati alle anti regole di Gehry .Può bastare però rimarcare che Gehry, Eisenman & C. sono assolutamente all’opposto dell’accademismo: lo combattono.
Potrebbero spiegarmi gli ex accademici/nuovi anticlassici il loro percorso di ricerca che li ha condotti alla loro nuova condizione? Sarebbe molto interessante capire come si possa trasformare l’architettura del silenzio di Aldo Rossi in quella gridata di Gehry. Eventualmente, mi scuso anzitempo della mia ignoranza in materia ed attendo di coprire questa lacuna.
Sono sempre stato un anticlassico e spesso ho avuto violenti scontri con alcuni dei miei professori al Politecnico di Milano. Presentavo progetti per loro assolutamente incoerenti. Mi redarguivano, si contrariavano. Alcuni non accettavano di esaminarmi, altri lo facevano e mi spiegavano i perché delle loro perplessità. A distanza di dodici anni sarei pronto a difendere a spada tratta tutti quei docenti che, pur se accademici, mi spiegarono le loro ragioni, la loro coerenza tra ciò che dicevano e ciò che facevano.
In quanto zeviano convinto contro antizeviani altrettanto convinti, non avrei mai pensato di potere un giorno affermare che sono pronto a difenderli. Molti accademici, quelli veri, sono rimasti tali e sono molto più apprezzabili dei “travestiti” anticlassici. Non condivido le loro idee ma sarebbe pretestuoso contestarne la coerenza, prerogativa esclusiva di chi è preparato. Chi è ignorante non può che essere una bandieruola.
Se l’anticlassicità verrà ridotta a moda, perderà la sua connotazione di modernità, il suo merito di avere riaperto la crisi del M.M. e rintracciarne le potenzialità che nella loro stessa crisi trovavano valore.
Il punto più alto del M.M. è stato Otterlo e l’apertura dichiarata della sua crisi: ne scaturì un mondo in fibrillazione, proiettato a ricercare rinnovando. Chi evidenziò la crisi del M.M. fece opera culturalmente apprezzabile, che fosse il TeamX o gli Archigram, Venturi o Kahn, Rossi o lo stesso Le Corbusier di Ronchamp. Solo chi è consapevole dei limiti può evidenziare la crisi di un sistema, con l’obiettivo di superarla ma comprendendo che, comunque sia, quel sistema è quasi inconsapevolmente tenuto in vita.
L’anticlassicità è tutt’altro che strumento formale al servizio di un’ideologia trionfante. Descrivendo i significati del “Grado Zero”, Bruno Zevi commentava :<<…proprio perché non c’è pensiero senza linguaggio, la Forma è la prima e l’ultima istanza della responsabilità architettonica>>.
Ai falsi antiaccademici, invertendo e cambiando alcuni termini, si potrebbe porre un monito: proprio perché non c’è linguaggio senza pensiero , la Forma è la prima e l’ultima istanza della ignoranza architettonica.
Proverbio siciliano : “chi se la sente stringe i denti” (traduzione).

(Paolo G.L. Ferrara – 20/11/2000)

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