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Architettura (lezioni 1-10)

Introduzione

La chiesa di Santa Maria dei Sette Dolori di Francesco Borromini, iniziata nel 1642, mai finita per mancanza di fondi, aperta al pubblico nel 1655, rappresenta, secondo il mio parere, un concreto antenato della modernità nei suoi aspetti più attuali e sofisticati. Un esempio di architettura capace di contestare la più alta forma di suggestione architettonica fin dai tempi antichi: la simmetria. Questo edificio, nella sua parte pubblica esposta, con lo svuotamento della partitura centrale riesce a demolire completamente il senso della simmetria, che pretenderebbe invece un crescendo, sia fisico che formale, che dai lati dovrebbe procedere verso un centro enfatico, in questo modo celebrando l’unità dell’edificio e la sua conseguente potenza comunicativa. Invece l’edificio, che risulta spezzato e raddoppiato, pretende una lettura in movimento e continuamente attratta dal rimando al lato fratello che, in questo modo e grazie alle differenze delle aperture e dei riferimenti, perde ogni forma di gemellanza richiesta dalla rigida visione simmetrica qui sfacciatamente negata. Il portale d’ingresso è la vittima sacrificale di una centralità ridotta a comparsa.

Essere architetti, ed in particolare grandi architetti, vuol dire saper tradire l’architettura, che è la cosa che più si ama, per poterla amare.
Le lezioni che voglio proporre, brevi e sintetiche così come proposte per la scrittura sulle pagine social, non hanno la pretesa di insegnare nulla, ma solo quella di far conoscere l’architettura anche a chi la considera solo un lavoro come un altro.


Lezione numero 1

Jørn Utzon – Opera di Sidney – 1959-1973

La diversità educa alla convivenza e alla fratellanza tra le persone, indipendentemente da etnie, religioni e classi sociali.
L’omologazione stilistica, l’identità e lo storicismo accademico educano al razzismo, al fascismo e alla discriminazione in genere, poiché tendono a disprezzare chi e cosa non appartiene al gruppo dominante.

Aver legittimato culturalmente questo secondo aspetto ha aperto le porte del confronto politico agli istinti più bassi e più deboli che covano in ogni popolazione.

C’è tutta una classe intellettuale che dovrebbe chiedere scusa per questa deriva sociale e politica che il vezzo nostalgico ha saputo metter in moto.


Lezione numero 2

Gordon Matta Clark, Conical Intersect, 1975

L’architettura, e l’arte in genere, non devono avere valore per sé, ma devono essere degne della nostra considerazione. Il valore dell’arte, infatti, nel modo in cui generalmente lo consideriamo, non serve all’arte ma solo a chi la possiede materialmente. Il nostro giudizio è sempre molto influenzato da tale condizione materiale la quale, spesso, ricorre ad artifici retorici per giustificare la dote mercantile. Anche il concetto di bellezza ricade in questa considerazione, acquisendo pertanto in tale contesto anche un valore morale, anch’esso inutile per l’arte ma utile per il riscatto etico di chi la possiede.

Per questa ragione, giudicare l’arte con il criterio della bellezza è fuorviante e ingenuo. L’arte, e l’architettura che ne è parte, valgono per la loro capacità di produrre “considerazione” e non per quella d’inseguire o rappresentare solo la bellezza.


Lezione numero 3

Frank Gehry, dancing house, 1972-1975

L’architettura è ritenuta socialmente un’attività pericolosa.
Se no, non si capirebbe perché le scuole, che hanno la presunzione d’insegnarla e darne titolo, tendano a mortificare ogni gesto progettuale che non sia governato dalla sottomissione a regole e pregiudizi accademici.

Non si capirebbe nemmeno perché la legislazione che regola il mondo delle costruzioni sia una selva normativa ormai indecifrabile, contraddittoria e reazionaria, nella quale anche solo la sbagliata indicazione in casa di dove si volesse urinare potrebbe costituire un reato penale. E questo soggiogamento a regole e teorie, che diventa titolo di vanto per gli incapaci che solo di queste si nutrono, non si ferma neppure davanti ai pochi dotati che la scuola e la vita riescono fortuitamente ad incontrare e che, ancor più fortunatamente, di queste se ne fottono. E tutto questo avviene perché si ha idea che non si possa turbare più di tanto il buoncostume dei sentimenti comuni, impedendo di mostrare al mondo la libertà dell’unica arte che non si può fare a meno di vedere perché realmente pubblica.

Un concetto, quest’ultimo, che non ha una bandiera politica ma che piace molto a chi ha una visione prudente e disciplinata, se non reazionaria, della società. Un concetto che piace molto ai governanti che tengono più al al consenso verso la propria ambizione che alla crescita culturale dei loro elettori.

Ma noi confidiamo sempre nelle eccezioni.


Lezione numero 4

Campo di concentramento di Dachau – 1944

Se l’architettura è considerata un’attività pericolosa, gli architetti, la cui pericolosità paradossalmente è del tutto sottovalutata, contribuiscono in larga scala a legittimare questo pregiudizio. Tra questi, i peggiori sono gli urbanisti i quali, sentendosi padroni dei destini umani, come la scienza, trattano l’umanità e le sue questioni col cinismo che viene legittimamente concesso alle teorie astratte, ma che non dovrebbero mai essere calate pedissequamente nella realtà della vita sociale, la cui complessità non è più gestibile con la programmazione pluriennale (l’urbanistica) ma va governata con scelte strategiche aperte (l’architettura).

L’urbanistica, pretestuosamente divenuta scienza per potersi porre sopra l’architettura, considera quest’ultima come il catalogo IKEA per arredare le sue teorie. Questa prevaricazione ormai s’è spinta fino ad invadere il dominio privato ed intimo della progettazione, imponendo stili di vita e di espressione senza nessun dialogo e nessun rapporto con i desideri e le aspirazioni dell’utente finale, al quale è negata ogni istanza personale. S’è spinta ad un punto tale di omologazione da rendere indistinguibili il piano per un nuovo quartiere periferico da quello di un campo di concentramento nazista.

L’organizzazione dello spazio pubblico e di quello privato, già vittima di un concetto di ripartizione a fette del territorio, che condiziona la vita di intere parti di città alla loro funzionalità cronologica, negli anni ha estromesso l’architettura (che è sempre sintesi di necessità pubblica, di domanda privata e personale e di capacità professionale) dalla sua collocazione centrale nel mondo delle costruzioni, privilegiando grandi piani omogenei ed astratti privi di qualsiasi dote umanistica.

I disastri provocati dall’adozione rigorosa di certi programmi urbanistici li conosciamo, così come conosciamo l’accanimento legislativo con cui questi programmi vorrebbero trovare attuazione, riducendo ormai tutta la materia ad una questione di legalità amministrativa. Di architettura, negli uffici comunali, non se ne parla proprio da un pezzo.


Lezione numero 5

Gabetti e Isola – Tetti blu di Alba – 1990-…

Con una battuta si potrebbe dire che il vero pericolo per la nostra civiltà non sono i migranti ma gli urbanisti.

Gli urbanisti sono quegli architetti che, in virtù delle loro teorie, dicono agli altri come e dove devono abitare, magari intruppandoli in quartieri ideati col concetto e l’aspetto della caserma, costringendoli in vere galere esistenziali, senza nemmeno rendersi conto delle libertà e dei principi a lei legati che una tale condizione sta violando, rubando all’architettura il suo ruolo principale di libertà ideativa, insieme allo spazio d’incertezza e casualità che le è proprio. L’idea di regola, di contesto e di tipologia, a cui tutto deve mortalmente e burocraticamente soggiacere, è diventato il limite insuperabile dell’architettura e quindi, di conseguenza, anche dell’urbanistica, perché è l’architettura, non l’urbanistica, a costruire la città.

on le teorie non si costruiscono fisicamente le abitazioni. L’architettura, quella seria e non le parodie postmoderne o storiciste prese a prestito dal passato, crea contesto invece d’usarlo come un alibi per vere e proprie cialtronate architettoniche.


Lezione numero 6

Negli anni ho avuto spesso scontri dialettici con tecnici e funzionari comunali per difendere scelte architettoniche inusuali e, per questo motivo, problematiche. Complice la scarsa competenza architettonica delle commissioni edilizie, alcuni progetti sono stati l’esito di battaglie pressoché eroiche. Oggi sono convinto che solo una grande sensibilità verso la materia impedisca agli architetti veri di appiattirsi su schemi e protocolli banali, come d’altronde vorrebbero i piani regolatori. Sono questi piani e i loro strumenti attuativi, infatti, l’origine della scarsa presenza dell’architettura nel costruito. Nella legge urbanistica, per l’appunto, l’architettura non è mai citata. Questa, come tutte le leggi e i regolamenti derivati, non è stata scritta da architetti ma da avvocati ed urbanisti, che considerano l’architettura una sorta di arredo dei loro teoremi.

Questi soggetti, non si occupano di architettura e non la promuovo ma la utilizzano per i loro piani programmatici prediligendo, nei pochi casi in cui si prendono il gusto di prevederla, aspetti retorici e reazionari, quali l’utilizzo di concetti desueti come la tipologia o l’omologazione stilistica.

La vera legge sull’architettura, tanto reclamata dagli architetti, in effetti esiste ed è la legge urbanistica, che andrebbe rivista e cambiata in quegli aspetti che limitano e controllano la libertà espressiva dell’architettura contemporanea. Sopprimere commissioni edilizie e paesaggistiche o altre in uso alla politica per governare la libera espressione dovrebbe essere il primo passo verso tale liberazione, invitando gli ordini professionali, finché ancora esistono, a sanzionare gli iscritti che ne fanno parte per evidente concorrenza sleale ipocritamente celata dietro un parere collettivo fasullo.


Lezione numero 7

Anche l’Unione Europea, nella sua presunzione normativa, esprime una direttiva che chiama “DIRETTIVA EUROPEA SULL’ARCHITETTURA E L’AMBIENTE DI VITA”. Si tratta di un testo che, come tutti i testi scritti per la gloria del mondo, è pieno di buone intenzioni ma che poi s’infila nel solito pastiche burocratico del quale, onestamente, non abbiamo sicuramente necessità di aumentare il peso.

Sembra, anche questo, un testo più utile agli architetti, intruppati in vari eserciti e che hanno la primaria preoccupazione di non vedersi scavalcare dall’esterno, che non all’architettura vera e propria, come se la stessa fosse la conseguenza naturale d’essere architetti e non viceversa. A me hanno insegnato che è quello che fai a dirmi chi sei, e non il contrario. Nel testo non ci sono riferimenti a cosa lo stesso intende per architettura, ovvero quale e a quale ideale abitativo deve essere ispirato. L’architettura monumentale, simmetrica e scatolare, per esempio, risponde all’ideale che si intende promuovere? Se lo fosse già non mi apparterrebbe e se invece, proprio per tenere tutti nella stessa barca si pensasse d’inseguire tutte le posizioni ideali, a questo punto mi chiederei a cosa servirebbe una legge.

Molto meglio sarebbe se ogni tendenza culturale agisse secondo principi propri, senza aiutini e limiti imposti per legge dalla chiesa centrale.
L’architettura ha da essere libera, soprattutto dalla burocrazia e dagli ordini.


Lezione numero 8

Pablo Picasso – Les Demoiselles d’Avignon – 1907

Vale più la tutela del paesaggio o la libertà d’espressione delle persone che lo vivono?
Vale più il paesaggio naturale e storico del passato o quello umano, presente e contingente?
È più importante la serenità contemplativa degli intellettuali da passeggio o la necessità di stare al mondo padroni della propria vita e del proprio destino?


L’arte contemporanea ha risposto alla grande a queste domande e lo ha fatto principalmente in tre modi.


Il primo sbarazzandosi dei concetti di armonia e bellezza, portando sul palcoscenico il “dolore del mondo” e le sue contraddizioni e ingiustizie, creando nuovi paradigmi estetici.


Il secondo riprendendosi il ruolo della libera seduzione, senza regole e protocolli, che non rispetta i contesti sociali e non tollera gerarchie di classe. L’arte, infatti, consente allo stalliere di fare sesso con Lady Chatterley e alle signorine di Avignon di coglionare la bellezza femminile.
Il terzo trasformando le bestemmie in preghiere, le parolacce in poesie, trasformando, come sosteneva Baudrillard “la crisi in valore”.
Le risposte, quindi, diventano semplici.


In architettura non ci può essere paesaggio che non contempli anche le persone nella loro vita e condizione presente, non solo in quella passata.
In architettura il passato è letto con gli occhi dell’adesso e non può essere fine a se stesso, isolato dal contesto presente. Soprattutto non può porre condizioni al divenire.


L’architettura è soprattutto un modo di vivere e di stare al mondo secondo la propria cultura, conoscenza e ambizione.


L’architettura è un’arte pubblica perché si vede anche senza entrare in un museo o leggere un libro. Per questo rappresenta il modo principale nel quale si esprime la libertà di espressione, che è il fondamento di uno stato democratico e liberale, il quale può esistere solo riconoscendo a tutti questo diritto.


In architettura nessuno è titolare del bene comune in forma concreta e nessuno può usare questo argomento per limitare la libertà degli altri.
In architettura la libertà vale più dell’armonia, del contesto e di altre stravaganze retoriche utili solo al controllo delle nostre libertà personali.


Lezione numero 9

Ludwig Mies van der Rohe – Seagram Building – 1958

Molti detrattori della modernità identificano l’intero movimento moderno con l’international style, ovvero con edifici di forma stereometrica rivestiti con pareti di vetro chiamate curtain wall. In realtà il panorama che ha coinvolto l’architettura durante pressoché tutto il novecento è stato molto più ricco e variegato e basta sfogliare un testo qualsiasi di storia per perdersi in movimenti diversi che hanno indagato ogni possibile forma ed esperienza espressiva riferibile alle costruzioni. Alcuni di questi movimenti hanno trovato maggiore successo e applicazione e, tra questi, in competizione con il movimento organico più vicino ad una visione pragmatica che ideale dell’architettura, lo stile internazionale, relativamente più facile e fondamentalmente classico nella sua impostazione spaziale, che ha avuto una diffusione globale. Questo è il motivo per cui i detrattori di questo stile lo hanno preso a misura di tutta la modernità, condannandolo all’insignificanza.

Questa semplificazione dialettica ha convinto molti, anche competenti, a considerare moderno ciò che si costruisce col vetro e antico o tradizionale ciò che si costruisce coi mattoni. In verità si possono costruire case neoclassiche col vetro e modernissime in mattoni. Non è importante, infatti, il materiale che si usa ma piuttosto il come. Non sono importanti le parole ma le frasi. Nessuna parola è volgare in sé; sono volgari le frasi che anche parole nobili possono esprimere.
In architettura materiali e colori sono importanti ma, da soli, non sono sufficientemente indicativi della qualità di una architettura.


Lezione numero 10

Gli ordini che istituzionalmente governano le professioni intellettuali (per fortuna non tutte) dovrebbero prendere provvedimenti contro il diffuso mercenarismo culturale che vede ingaggiati alcuni propri iscritti per dare giudizi di merito sul lavoro dei colleghi, azione del tutto condannata dal codice deontologico che considera (ipocritamente) tutti gli iscritti pariteticamente sia per competenza che per valore, proibendo loro addirittura la pubblicità in forma esplicita. L’azione dei commissari, sempre ingaggiati dalla politica che usa queste forme per deresponsabilizzare i suoi rifiuti, dietro alla irresponsabilità collettiva (la responsabilità penale è solo personale) capace di un giudizio estremamente efficace tanto da intervenire nelle scelte fondamentali di progetto, offre lo spazio per azioni di concorrenza sleale di fatto immuni da responsabilità civili e penali.

L’esito del ricorso a questi baracconi burocratici è, oltre una inutile perdita di tempo, il basso livello della qualità architettonica, costretta a tristi mediazioni imposte per riportare il costruito dentro a schemi tipologici e linguistici nei quali mediocrità e pregiudizio diventano argomenti portanti.

La maggioranza dei progettisti, conoscendo i limiti e il prezzo culturale da pagare per il successo del proprio lavoro, se non hanno una spiccata personalità tendono a produrre proposte già mortificate sul piano architettonico, capaci per questo di quietare le eventuali invidie e speculazioni concorrenti.

Sarebbe bene pertanto che, chi intende partecipare a commissioni nelle quali sono richiesti giudizi di merito sul lavoro dei colleghi, si autosospenda dall’ordine.



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