Mario Di Salvo, la cui opera è stata pubblicata in una recente monografia di Attilio Terragni, è molto noto per studi sul razionalismo italiano, tra cui ricordiamo Lo spazio armonico. Interviene oggi sulla proposta del nuovo stadio a Como.
La zona prospiciente il primo bacino del lago Como è stata spesso definita un ‘museo all’aperto’ di architettura contemporanea, una concentrazione di opere eclettiche, novecentiste e razionaliste realizzate tra la fine degli anni ’20 e primi anni ’40: uno stadio e un palladiano Tempio Voltiano; subito dopo il Novocomum, l’opera prima di Giuseppe Terragni; quindi nei primi anni ’30 il Monumento ai Caduti ancora di Terragni, affiancato a lago da impianti sportivi come la nuova sede della Canottieri Lario e – proprio in faccia al Novocomum – la Casa del Balilla con la sua aulica facciata piacentiniana; infine nei primi anni ’40 l’ultima opera di Terragni, la Casa Giuliani-Frigerio.

Nella planimetria redatta da Daniele Vitale e allievi si evidenzia 1. Il monumento ai caduti, 2. Il Novocomum, 3. Giuliani Frigerio, 6. Stadio comunale, 8. Motonautica, 9. Canottieri Lario
Anottieri Larioi, si evidenziano Lo stadio – costruito per una città di allora 35.000 abitanti – era aperto, per partite di calcio del glorioso ‘A.C. Como 1907’, per gare studentesche, ciclistiche ed ogni altra attività dilettantistica e ricreativa. Un vero e proprio standard urbano definito dalla legge come ‘verde attrezzato per il gioco e lo sport’.
Nel dopoguerra lo stadio finì per essere riservato al calcio e in conseguenza fu progressivamente manomesso: venne demolita la pista ciclistica in cemento che perimetrava il campo verde (pare fosse un unicum al mondo), furono costruite nuove gradinate in c.a. costeggiando il viale con al fondo il Monumento ai Caduti e altre gradonate, ancora ancor più elevate sorrette da aggrovigliati tubi di ferro per accogliere sempre più nutrite tifoserie, ormai ben lontane dalle glorie dilettantistiche di un tempo… Insomma un pot-pourri, una mescolanza di cose eterogenee, un miscuglio, un’accozzaglia.
Nel frattempo Como passava dai 35.000 abitanti degli anni ’30 agli 80.000 di oggi. La foia edificatoria saturò qualsiasi lotto residuo (la povera Casa Giuliani-Frigerio vi sembra annegare) congestionando l’impianto viario tradizionale, in mezzo al quale lo stesso impianto calcistico dello stadio, ben lontano dallo spirito d’anteguerra, è ormai una potenza attrattiva economica e di massa. Il fatto però è che lo stadio gode della vista del lago e dei monti che vi si immergono: vista che attrae, impareggiabile, così come attrasse le banche che non trovarono migliore collocazione di piazza Cavour, in riva al lago, per attestare il loro status symbol, quale segno visibile di una condizione economico-sociale (privilegiata). Quindi perché – sostengono i tifosi e molti accoliti – non accogliere le istanze di un nuovo assetto sullo stesso sedime dello stadio attuale riqualificandone l’attuale catastrofica immagine? Ma con quali mezzi? Ecco allora sopravvenire un deus ex machina pronto a pagare e a risolvere tutti i problemi. Tutti? Si, forse, ma tranne uno fondamentale: quello urbanistico.
Pronta a vendere il proprio corpo al generoso offerente, la zona a lago e tutta la stessa convalle (che stringe e costringe la città storica) scavalca ogni compatibilità ad essere coinvolta dall’indotto che certamente potrà derivare dalla prevista nuova imponente struttura plurifunzionale: sportiva e ricreativa (di massa), alberghiera (ovviamente con vista lago), commerciale con altre alacrità. Tutto converge lì, nella solita calamitica convalle, mentre la metà degli abitanti di Como risiede all’esterno della stessa, in una periferia priva di strutture polarizzanti che non siano supermarket e dove pure esistono aree idonee ad accogliere ben altre funzioni specialistiche, quali uno stadio, alleggerendo la congestione indotte dalle funzioni improprie che ancora insistono in convalle, senza incrementarle.
La bozza di progetto del nuovo stadio – bella o brutta che sia – è troppo invadente sul paesaggio? o nei confronti del ‘museo all’aperto’ di architettura che le sta attorno? Certo! Ma ben altro è
Mario Di Salvo

Giuseppe Terragni, Monumento ai caduti da un disegno di Antonio Sant’Elia, Como 1931-1933 fotografia di Dennis Marsico (da A. Saggio Giuseppe Terragni, Lettera Ventidue..)