Ghirri è un creatore di fotografie amato da molti dagli architetti. I suoi silenzi, le sue luci notturne , i colori desaturati, i paesaggi dispersi sembrano suggerire un mondo di possibilità. Una mostra a Reggio Emilia sino al 2 marzo 2025 ne riprone in primo piano la poetica
Non si vedono più le stelle. Su gran parte della superficie terrestre, dopo il tramonto, il cielo sembra non spegnersi più completamente: una specie di crepuscolo artificiale continua a risplendere durante la notte. La Via Lattea è ormai un lontano ricordo.
E i dati che si leggono su “Science” non sono rassicuranti: la luminosità del cielo notturno aumenta circa il 10% ogni anno e, oltre a limitare l’osservazione umana del cielo stellato, l’inquinamento luminoso influisce sui cicli quotidiani e stagionali, sui processi comportamentali e fisiologici di piante e animali. Questa emissione di luce artificiale, inutilmente consumata, dissipa enormi quantità di energia: alti costi monetari associati ed emissioni di gas serra. E di questo inquinamento luminoso le città sono responsabili.
Per riflettere su buio, luce, spazio urbano e inquinamento luminoso è in corso a Reggio Emilia una mostra sulle semioscurità e sul fascino degli spazi in penombra, quelli delle “zone di passaggio”. Se l’illuminazione urbana rende visibile la città nelle ore di buio, la fotografia diventa strumento per far luce sulla realtà delle cose, «momento di riattivazione dei circuiti dell’attenzione, fatti saltare dalla velocità dell’esterno» come sosteneva Luigi Ghirri nel 1984. Ghirri che già nelle sue indagini aveva detto della «sparizione del paesaggio» e aveva definito il territorio contemporaneo luogo anonimo, come un «emporio del moderno» iper-carico di segni e segnali, dove è possibile trovare tutto e di tutto, anche e soprattutto alla luce e all’illuminazione delle città dedica le sue riflessioni.
La mostra Luigi Ghirri. Zone di Passaggio, a cura di Ilaria Campioli,èun elogio al buio e alla penombra, a quell’illuminazione fioca e delicata, a quei bagliori temporanei. Un elogio alla provvisorietà della luce contro un’illuminazione eccessiva, che trasforma le nostre città in set cinematografici, dove gli spazi dalla visibilità sfumata hanno smesso di esistere, nella volontà di rendere tutto omogeneo, iper illuminato, eliminando qualsiasi differenza.
Le 56 fotografie in mostra al Palazzo dei Musei di Reggio Emilia fino al 2 marzo 2025, raccontano di luoghi di sospensione del tempo, illuminati flebilmente da bagliori, lampi, intermittenze provvisorie, per denunciare «una illuminazione che sembra consegnare la città ad una specie di immobilità un po’ cimiteriale da “Luce Eterna”» come scriveva il fotografo emiliano sulle pagine di “Weekend” di “La Repubblica” nel 1986 descrivendo lo stato dell’illuminazione delle città contemporanee: «uno sterminato numero di pali che accentuano la solitudine e la desolazione delle periferie urbane».
Quelli in mostra sono momenti banali della quotidianità, registrazioni delle trasformazioni antropiche, scatti degli anni Settanta a e Ottanta: le giostre di Scandiano, i fuochi d’artificio su porto di Trani, le luci puntuali in periferia, le trattorie, le luci delle feste.
Accanto agli scatti di Ghirri la mostra propone la ricerca su “illuminazioni improvvise” di celebri autori, a partire da quella di Franco Guerzoni che nel 1969 trasforma i fili di lampadine delle sagre di paese in opera ambientale; o Paola di Bello che imprime su pellicola fotografica, in camera oscura, a contrasto, il volo delle lucciole; o ancora di Armin Linke che, a seguito di un lavoro di ricerca nell’archivio fotografico del CERN di Ginevra, quasi fosse un dripping, segna la carta fotografica con scintille impercettibili di eventi particellari. Tutti lavori in bianco e nero.
In mostra anche la prima mappa dell’inquinamento luminoso in Italia realizzata dalla Specola Vaticana nel 1973: gli astronomi, per primi, hanno percepito come problema il rapido incremento di illuminazione artificiale.
Allora, nel Paese che produce il flusso di luce da illuminazione esterna notturna triplo della Germania, che consuma per la sola illuminazione pubblica il doppio della media europea, vale la pena ribadire che, dal 2007, l’osservazione del firmamento è sancito come diritto: il diritto al cielo notturno. Lo stesso cielo notturno che può ricordare all’uomo quanto piccolo e marginale sia il suo ruolo nell’universo.