Come da una sorta di belvedere, osserviamo e riflettiamo: era possibile immaginare un futuro diverso, un destino migliore per i nostri territori?
Tra la prima e l’ultima foto esposta, alle Scuderie del Quirinale, un intervallo di tempo lungo 180 anni. Un racconto lungo più di un secolo e mezzo, per dire di come è cambiato il Paese, il modo di osservarlo, indagarlo, e quindi narrarlo: ma per dire anche della mancata cura dei luoghi.
L’Italia è un desiderio* è una mostra che presenta più di 600 foto provenienti dagli archivi della Fondazione Alinari per la Fotografia e dal Museo di Fotografia Contemporanea – Mufoco: sono prelievi significativi all’interno di un vasto patrimonio fotografico, due archivi complementari dal punto di vista cronologico. E allora il titolo è già, forse, una tensione, una speranza di miglioramento, attenzione e riguardo.
Al primo piano delle Scuderie, opere fotografiche dell’Archivio Alinari, dal 1842 fino agli anni Sessanta del Novecento: la fotografia che ancora non si affranca dalla pittura. Il paesaggio è quello dei vedutisti, e il desiderio è quello del paese del Grand Tour. Paesaggi infiniti, natura esotica e impervia, antichità, monumenti e rovine: quasi costantemente assente la figura umana, a ignorare chi quelle quinte sceniche e quelle città storiche le abitava. I punti di vista delle foto sono quelli delle incisioni settecentesche e non mutano; così l’Italia, attraverso uno sguardo stereotipato, si è perduta, si è frantumata in differenti citazioni pittoriche, lontane dal rilievo della quotidianità.
E questo modo di osservare la contemporaneità con gli occhi nostalgici del passato persiste, anche, nelle foto degli anni Cinquanta: come scrive Arturo Carlo Quintavalle “il mito della genuinità della campagna, delle antiche abitudini viene costruito proprio quando l’Italia si avvia finalmente allo sviluppo industriale”. Così l’immagine dell’Italia sembra essersi appiattita seguendo un sistema di riferimento datato, antico, “un’ideologia conservatrice”.
Al secondo piano, tra le fotografie della collezione del Museo di Fotografia Contemporanea (Mufuco), che vanno dal secondo dopoguerra ad oggi, compaiono le periferie, le lotte sociali e le stragi mafiose. Il paesaggio non è solo quello naturale, appaiono gli interni domestici, i dettagli urbani e la ricerca si fa concettuale. Il progetto di Luigi Ghirri, Viaggio in Italia, che occupa una parte importante di questo secondo piano, costruisce lentamente un nuovo modo di vedere il paesaggio, la città, lo spazio. Lo sguardo dei venti fotografi coinvolti nel progetto del 1984 (tra gli altri Basilico, Barbieri, Cresci, Castella, Chiaramonte, Jodice…) testimonia un ripensamento dell’immagine, una riflessione sul fatto che la fotografia è idea della fotografia stessa: una pulizia dello sguardo, qualcuno diceva. Un’attenzione alla postura, all’occhio, alla banalità del quotidiano, per imparare ad osservare. “Quante volte, è tornato a casa brontolando” – racconta Celati ricordando Ghirri – “Sono ciechi, sono ciechi! La comune cecità di chi crede di sapere già tutto, che è cecità spirituale”.
Allora imparare a osservare e a vedere criticamente significa soprattutto non assuefare lo sguardo a quelle brutture edilizie e a quegli abusi paesaggistici che condoni e cattiva gestione lasciano indenni nei nostri paesaggi. “La collina del disonore” così è stato ribattezzato un promontorio sul Golfo di Mondello fotografato da Alessandro Imbriaco, Fabio Severo e Tommaso Bonaventura: una foto in mostra che risale al 2012 e che testimonia l’illegalità delle concessioni edilizie e delle relative villette costruite, oltre che il deturpamento della Collina di Pizzo Sella nei pressi di Palermo. La condanna dalla Corte di Cassazione è arrivata solo nel 2001.
Ma il discorso è, purtroppo, generale e riguarda diffusamente il territorio del “Belpaese”, e questa mostra diventa, allora, occasione di riflessione. La fotografia è anche strumento di indagine sociale, per comprendere il paesaggio, antropico quanto naturale, e le relative trasformazioni che negli anni hanno portato all’attuale conformazione. La continua urbanizzazione dei paesaggi del Grand Tour, il progressivo abbandono dei centri interni, il problema del consumo di suolo agricolo che da anni sembrano occupare posto nelle agende politiche, ma che di fatto in nulla si traducono sul piano pratico, devono entrare nel dibattito comune, interessare tutti per andare oltre lo slogan. Il problema è di ampia portata, complesso e riguarda gli amministratori quanto i cittadini: la mancanza di una visione politica di lunga gittata, l’assenza di una pianificazione territoriale, il prevalere di interessi privati su quelli collettivi che impongono manufatti edilizi di scarso valore e che mirano unicamente al profitto economico tralasciando la qualità architettonica e paesaggistica, derivano in prima istanza da una disattenzione e da una incapacità di vedere da parte della comunità stessa.
E qui si ritorna al tema della vista e dell’educazione dello sguardo, perché la cura del territorio prende avvio dalla cognizione, da una presa di coscienza e consapevolezza da parte dell’abitante del valore di quei luoghi e dell’appartenenza a quei luoghi. Sviluppare una capacità di vedere criticamente il proprio territorio è un processo lungo, che parte dai più giovani, sin dall’infanzia. È un atto politico, e la politica deve farsi carico di questa necessità, agendo con fermezza sull’educazione al bello, sull’allenamento percettivo nella scuola pubblica. Deve, la stessa politica, superare la sua costante “cecità spirituale”.
Allora, per citare nuovamente Celati, queste fotografie appartenenti a due archivi pubblici “ci insegnano che il mondo prende forma perché qualcuno lo osserva. Prende forma quando qualcuno sente necessità di contemplarlo…non di invaderlo o massacrarlo per farsi strada”.
- L’Italia è un desiderio, Scuderie del Quirinale, primo piano, sezione L’ottocento: immaginario fotografico del bel paese, fotografie di Giacomo Caneva, Robert MacPheson, Fratelli Alinari, Friéderéric Flachéron, James Anderson, Pompeo Molin, Gioacchino Altobelli, Stabilimento Giacomo Brogi, Tutte le fotografie si devono all’autrice Alessandra Gabriele