Note sulla città di Tirana
La visita della città in occasione di un Convegno sul futuro dell’Albania solleva all’autore critiche, osservazioni, pensieri.
Tirana è per gli architetti del nostro tempo un esperimento interessante, per la rapida crescita edilizia degli ultimi 20 anni e per una connaturata e storica attitudine a essere oggetto di colonialismo, più o meno predone. Nel tempo vi si sono sovrapposte diverse attitudini ed effetti: su una trama urbana modesta, che soprattutto dalla fine del XX secolo, appare l’esito di un accelerato passaggio da “paesone” a capitale, la città nel suo rutilante apparire si impone oggi come campo di riflessione .
Il carattere della città è sempre stato caratterizzato da una eterogeneità di apporti: dal dominio romano a quello ottomano, da colonia a quello che ci appare il patetico imperialismo italico per continuare conper il lunghissimo periodo dell’isolamento comunista nel dopoguerra, fino allo sregolato tuffo nel tardo capitalismo di oggi, la città appare al visitatore nella compresenza di stili sovrapposti del passato e nel contrasto tra povertà e la velleitaria opulenza delle numerose nuove costruzioni. Ai lacerti di quartieri autocostruiti di calce e cemento, si affiancano testimonianze dismesse del periodo comunista e, sull’asse urbano di Armando Brasini, Florestano Di Fausto e Gherardo Bosio, i modestamente monumentali interventi pubblici dell’Albania-Italica del novecento, fino ai recentissimi – e ancora in corso – interventi contemporanei di un vorace capitalismo.
La peculiarità di aver avuto un sindaco – oggi primo ministro – ‘artista’, appartenente a una generazione aperta all’Europa, ha contributo di certo rinnovare l’immagine della città, prima con interventi cromatici di maquillage molto esteso nella anonima edilizia comunista, poi con il più classico format dello sviluppo urbano attraverso la crescita in altezza della città.
Ancora oggi è riconoscibile comunque un carattere della prima ‘altra modernità’ della città, legata al piano italiano sviluppatosi per tappe e a partire dagli anni venti del Novecento. Un piano che ebbe l’ambizione, oggi da leggere con indulgenza, di organizzare la città moderna attorno a una asse pubblico, secondo un originale schema urbano di città caratterizzato da una maglia razionale viaria circondata da un anellocarrabile periferico. Il piano del gruppo transalpino Architecture Studio redatto nel 2006 prevede – secondo una logica tardo modernista internazionale – di edificare attorno al cuore urbano di Piazza Scanderbeg, uno scontato sviluppo in altezza che si innalza sopra il profilo, orizzontale e modesto, della città. Sono operazioni enormi che scommettono di essere capaci non solo di catalizzare ma anche di mantenere negli anni ingenti investimenti del mercato immobiliare internazionale.
Il tessuto politico culturale di oggi, condizionato e cresciuto nel mito del benessere promesso dalle televendite della tivù italiana ( da ricordare a questo proposito il tentativo sgangherato di lancio italiano di Agon Channel in terra albanese di qualche anno fa), ha dannato la retorica delle architetture della tirannide comunista, per cedere, senza una adeguata consapevolezza, alle seduzioni dell’architettura-spettacolo delle ultime tentazioni produttivistiche. Alcuni interventi veramente oversize per una minuscola nazione di meno di 3 milioni di persone stanno cambiando il volto della città per tentare di promuoverla nella scena globale. Il volto di Tirana di qualche anno fa certo non attraente e un po’ rugoso, sta cambiando con una faccia di plastica, secondoi meccanismi di una chirurgia estetica aggressiva. Ciò sta avvenendo con una apertura, per la mancanza di una classe matura di progettisti locali, a progetti di studi internazionali affermati e al collaudato sistema dei fondi immobiliari. Apparentemente sembra porre un freno alla crescita urbana il piano dello studio Boeri, che disegna una green-belt (che originalità!) come limite all’espansione e definisce alcuni interventi improntati al Green politicamente corretto.
Ogni edificio nuovo di questa già decadente city che si sta realizzando, deve, inoltre, parlare con un messaggio di facile comunicazione e spettacolarità: i più cinici sono gli interventi del conclamato studio olandese Mvrdv, che nei tre edifici in corso di realizzazione, utilizza gli strumenti – forse anche nel consueto spietato modo dei mercenari di ventura – del linguaggio popolare senza metafora: il grattacielo Downtown One presenta in facciata la pianta dell’Albania stilizzata da moduli pixelati in aggetto, la torre Skandeberg simula con il suo profilo a calotta la testa e perfino il naso dell’eroe albanese; la piramide mausoleo del dittatore Enver Hoxha, viene trasformata in Hub tecnologico, con una volutamente disordinata addizione di volumi, come elementari tessere di un mega-lego.
Una nuova e scontata figuratività si affianca così agli stilemi muscolari del tardo modernismo nord europeo come nel grattacielo Eyes of Tirana a volumi sfalsati di Henning Larsen, oppure nelle ossature scheletriche avvolte da facciate che reinterpretano stilemi post-antichi dell’intervento Book Building del gruppo 51N4E. Ogni edificio ha poi un nome, come fosse un prodotto del reparto profumi in un duty free shop. Ma tant’è.
Costituiscono eccezioni i due interventi dello studio italiano diArchea: il primo è la torre residenziale Alban, che con la massa controllata del volume e con il ricorso a una composizione stocastica delle bucature e dei rivestimento a più colori, riesce a ben interpretare il policromo è confuso cripto-bizantinismo dei linguaggio locale.
Nell’intervento urbano di sostituzione dell’antico stadio progettato negli anni di dominazione italiana al termine occidentale dell’asse monumentale da Gherardo Bosio, (un nostro architetto morto giovanissimo durante la guerra) Archea caratterizza la polifunzionalità del nuovo edificio innalzando una torre-albero nell’angolo settentrionale del complesso e disegnando una volumetria neo barocca per accogliere il poubblico e definire il complesso come ‘episodio urbano’. Forse qui appare meno convincente l‘impiego del rivestimento a grandi pannelli rossi e neri, esplicito richiamo alla bandiera dell’Albania: ma di stadio (e insieme di polo multifunzionale) si tratta e le bandiere concorrono a testimoniare in modo semperiano la funzione.
Quale futuro ci sarà per Tirana e l’Albania, impegnate a sviluppare una nuova economia sul turismo, è impossibile prevederlo. Certamente si può tentare di favorire lo sviluppo di una classe dirigente consapevole e colta, capace di definire strade equilibrate per inserire questo piccolo paese nel contesto dell’Europa mediterranea. Le oltre 30 Università (!) presenti su un territorio grande come la Sicilia, forse possono contribuire a chiarire le idee e le prospettive come si è cercato di fare nel convegno appena concluso “L’Albania nel Terzo Millennio. Architettura Città Territorio v” e nel quasi contemporaneo “Share we Albania” che ha selezionato progettisti di grande interesse v.
Tutte le fotografie sono di Spartaco Paris.
- Il Politecnico di Tirana.