C’è appena stata un rivoluzione nelle arti visive. Stiamo parlando di una delle forme di intelligenza artificiale che stanno sviluppandosi negli ultimi anni e che nello specifico vengono definite AI “text to image”.
Una rete neurale è stata da poco istruita con un sempre crescente numero di informazioni visive associate ad ogni parola. E’ una delle tante forme di Intelligenza Artificiale (AI) in grado in questo caso di riconoscere nella parola, ad esempio, astronauta le diverse forme che un astronauta può avere.
Fa quindi proprio quello da cui deriva il nome, immagina di sana pianta una nuova picture sulla base di un input testuale. Non la cerca in archivi già presenti in internet, la crea proprio nuova. Il programma “Midjourney” ad esempio crea quattro diverse interpretazioni per ogni testo. Da ognuna delle quattro proposte iniziali si possono sviluppare varianti a cascata o se ne può scegliere una e procedere ad una maggiore scala di dettaglio con nuove variazioni sul tema.
L’applicazione non è in grado però di fare il percorso inverso. Se si carica la foto di un astronauta non è detto che la riconosca. Ma possiamo istruirla.. possiamo caricare l’immagine di un’astronauta e, tramite un link da internet, istruire l’applicazione e dirgli: “Questo è un astronauta”.
Il fatto veramente importante è che questa rivoluzione solo recentemente ha raggiunto il grande pubblico, in quanto per lungo tempo questo tipo di AI sono state riservate ad un ristretto gruppo di “addetti ai lavori”.
Una della prime immagini generate con quest’approccio è stata sviluppata dal collettivo artistico francese Obvious che nel 2018 ha venduto un’immagine generata con un intelligenza artificiale ad un asta di Christie’s. Si tratta dell’opera titolata “Edmond de Belamy”
Ne esistono ora versioni diverse, gratuite e non, le due più importanti al momento sono Midjourney e DALL·E 2, anche Google ha sviluppato la sua versione ma non è ancora disponibile al pubblico.
“/ imagine“, immagina, è questo il comando iniziale su Midjourney a cui deve far seguito il testo, la parola chiave, come per John Lennon, per chiedere all’intelligenza artificiale di immaginare o forse sognare qualcosa, perché le immagini che ci restituisce il programma hanno moltissimo del sogno. Sono spesso eteree, vaghe, confuse come lo sono spesso i sogni o i ricordi.
“Do Androids Dream of Electric Sheep?” si chiedeva Philip K. Dick nel titolo del romanzo che diventera’ il “cult movie” Blade Runner. Non sappiamo se nei momenti morti sognino pecorelle, ma di certo ora sappiamo che sanno sognare.
La questione ingenua che il pubblico si chiede è: chi è l’artista, la macchina o l’uomo? Come ai tempi dell’invenzione della prospettiva, della camera oscura, della macchina fotografica o del cinema in cui i sempliciotti si chiedevano che bravura c’è che “arte” c’è a scattare una foto se la fa una macchina.
I diritti d’autore comunque appartengono a chi ha usato l’AI per generare l’immagine, cosa che forse poteva non essere così scontata.
Il grande inventore e futurologo americano Ray Kurzweil, ormai più di una ventina di anni fa, ad una domanda su quale sarebbe stata la prossima importante invenzione del genere umano rispose:
“Non ho idea di quale sarà la prossima invenzione, ma so di certo quale sarà l’ultima invenzione dell’uomo: un’intelligenza artificiale avanzata, perché da quel momento tutte le successive invenzioni le farà lei”.
Forse… o forse no, presto per dirlo e per il momento stiamo ancora solo parlando di un nuovo strumento nella mani dell’artista. Strumento credo sia ancora la parola chiave. Come non è un software Cad, di modellazione o di grafica a creare un’opera digitale o a progettare un’architettura, non è (non ancora almeno) la sola intelligenza artificiale a produrre arte.
Ma la collaborazione è senza dubbio più sbilanciata verso la macchina di quanto lo sia mai stata in passato ed il ruolo dell’artista sembra somigliare sempre più a quello di un art-director.
L’ho sperimentata molto negli ultimi mesi. Mi ero prefissato lo scopo di generare immagini futuriste con uno strumento che – credo – sarebbe piaciuto molto a Marinetti e che mi sembrava concettualmente appropriato al futurismo stesso. Giudicate voi, credo però diventerà un ambiente rilevante nella fase concettuale della produzione artistica. Sta già dilagando nel campo del design e dell’architettura.
Matteo Alfonsi