Una meraviglia questo carteggio tra il capo partigiano Carlo Ludovico Ragghianti, storico dell’arte e allo stesso tempo capo partigiano e uomo politico e il più giovane, esuberante, dotatissimo Bruno Zevi, speaker di “Giustizia e Libertà” dall’esilio. L’oggetto? La mostra di Wright a Firenze del 1950. Che deve avere un significato civile: indicare l’architettura come strada di cultura e di riscatto per un intero paese.
Capita che ogni tanto si ritrovino, sommersi dai lavori successivi, alcuni vecchi faldoni con dentro appunti e fotocopie, perché un po’ di tempo fa per studiare si stampavano tutto. A volte basta leggere due righe per essere trasportati altrove, in un luogo della mente silenzioso nel quale ci si lascia andare alla lentezza dei ragionamenti. Mi è successo un po’ di tempo fa, quando ho ritrovato il faldone del carteggio tra Carlo Ludovico Ragghianti e Bruno Zevi*, la mia prima vera ricerca, quella che mi ha fatto innamorare degli archivi e del lavoro che poi ho continuato a svolgere. Per rileggerle, quelle lettere, c’è bisogno di lentezza, appunto. Come lente rispetto a oggi erano subito dopo la guerra le comunicazioni: si battevano a macchina pensieri o li si trascriveva a mano, si piegavano i fogli, si preparavano buste con indirizzi e francobolli, si inviava tutto tramite ufficio postale e si restava in attesa della risposta.
Rispetto a questa lentezza, invece, le idee di Ragghianti e Zevi appaiono fulminee, brillanti e chiarissime. E a distanza di anni da quel primo studio mi fanno ancora saltare sulla sedia, per la loro attualità e necessità. Erano e sono idee pesanti di carico etico, idee di chi sentiva e si assumeva una responsabilità: quella di dare strumenti a una nuova generazione di Italiani per ragionare, scegliere, costruire da capo, invece che passivamente obbedire. Questa educazione doveva avvenire attraverso una trasmissione culturale alla quale l’intero paese doveva avere accesso, perché ogni testa imparasse a pensare. Non bisogna stancarsi di affermare nella situazione attuale l’importanza di questo messaggio: se l’accesso alla cultura è limitato, scadente o addirittura svalutato, il paese va a rotoli. Menti deboli lasciano aperta la strada alle peggiori derive politiche.
Anche l’incontro tra le due personalità lo immagino fulmineo, due intelligenze che fanno scintille e si comprendono subito in una Londra grigia e afflitta dalla guerra: nel 1939 Zevi fugge in Inghilterra per le leggi razziali e lì trova Ragghianti che si sta occupando delle relazioni con le forze antifasciste inglesi. «Clima plumbeo e depresso, sino a quando, per caso, m’imbattei in Carlo Ludovico Ragghianti. Periodo eccezionalmente fecondo, benché tutt’altro che felice» (Cfr. B. Zevi, Zevi su Zevi, Marsilio,Venezia 1993, p. 34).
Negli anni successivi i rapporti si consolidano, prima a distanza – con Zevi negli Stati Uniti e poi «somewhere in Europe», che trasmette dalla radio clandestina “Giustizia e Libertà” (Zevi su Zevi, cit., p. 44), e Ragghianti in Toscana, comandante delle formazioni partigiane del Partito d’Azione, che partecipa insieme alla moglie Licia Collobi alla lotta per la liberazione di Firenze – e poi a Roma, dove Ragghianti, nel frattempo Sottosegretario alla Pubblica Istruzione e Belle Arti nel governo Parri, contribuisce al ritorno di Zevi negli Stati Uniti, in qualità di membro del centro documentazione USIS dell’ambasciata americana, per raccogliere informazioni sulla legislazione in America, sulle tecniche di costruzione, sui materiali utilizzati e soprattutto sui nuovi processi di prefabbricazione.
Subito appare anche la simultaneità di intenti nella divulgazione culturale: Zevi, che insegna a Venezia dal 1947 e vincerà nel 1960 il concorso per la cattedra di Storia dell’Architettura, lavora intensamente con Cino Calcaprina e Silvio Radiconcini per l’Associazione per l’Architettura Organica e nella redazione di “Metron”. Ragghianti, che nel 1948 ottiene la cattedra di Storia dell’Arte Medievale e Moderna all’Università di Pisa, inizia la direzione della rivista “Critica d’arte”, mentre il primo numero di “seleArte” esce quattro anni dopo. “Metron” di Zevi e “seleArte” di Ragghianti, entrambe pubblicate dalle Edizioni di Comunità, si affiancano a “Comunità”, “Urbanistica” e alle altre principali testate del movimento di Adriano Olivetti in quell’immenso lavoro di diffusione della cultura che Olivetti riusciva – in quel momento fecondo – a mettere in atto (sull’importanza delle due riviste per la qualità di saggi e la quantità di informazioni nei campi dell’arte e dell’architettura, ma non solo, c’è ancora molto da dire).
Durante tutti gli anni Cinquanta e oltre i contatti tra Roma e Firenze dove ormai si è stabilmente trasferito Ragghianti sono costanti, e i due amici organizzano insieme le esposizioni più importanti a palazzo Strozzi, Frank Lloyd Wright nel 1951, Le Corbusier nel 1963 e Alvar Aalto nel 1966.
Il carteggio per l’organizzazione della mostra di Wright inizia nel 1948 e nel settembre del 1949 si organizza a Firenze la riunione definitiva in occasione dell’arrivo di Oskar Stonorov, architetto, scultore e storico dell’architettura tedesco naturalizzato statunitense in quel momento collaboratore di Wright, al quale dobbiamo fra l’altro il riordino degli archivi di Le Corbusier (vedi Oeuvre Complète: Le Corbusier et Pierre Jeanneret, con Willy Boesiger e Max Bill, 1969).
Negli ultimi mesi del 1949 Zevi comincia a inquadrare il problema dell’articolazione dell’esposizione (vedi la lettera a Ragghianti del 3 ottobre 1949: «Io vedo l’esposizione così articolata: I sez. I precedenti di Wright. II sez. Lo sviluppo storico dell’architettura wrightiana. III sez. Le opere principali. IV sez. Wright uomo. V sez. L’influenza di Wright»). Ma sono del 1950 le lettere più significative, perché Ragghianti, il 1 febbraio 1950, comunica: «Carissimo Bruno, ho dunque il piacere di annunziarti che, quanto alla mostra di Wright, siamo finalmente in porto…».
Gli anni di differenza fra i due sono solo otto, ma i toni seppure amichevoli sono quelli del maestro e dell’allievo, il maestro a Firenze metodico e rigoroso, l’allievo a Roma pieno di vigore, entusiasmo e di una intelligenza tanto vorace quanto aperta in mille settori. Già nel 1945, Zevi aveva scritto una dedica autografa a Ragghianti nella prima edizione di Verso un’architettura organica: «Al mio maestro – la miglior prova sia nel dire cose che egli non approva» (la frase è riportata in M. Scotini (a cura di), Carlo Ludovico Ragghianti e il carattere cinematografico della visione, Charta, Milano 2000).
Fa una certa impressione, abituati come siamo alla figura che Zevi assumerà negli anni a venire, immaginarlo invece come il “benedetto ragazzo” al quale Ragghianti rivolge rimproveri per non essersi occupato nella cura della mostra a Wright «assunto la cura delle traduzioni, dell’ordinazione dei testi, della composizione del fascicolo speciale …» (lettera del 15 marzo 1950). Zevi, cerca di rimediare, rispondendo tre giorni dopo «Mi dispiace di non aver corrisposto alle tue aspettative …» e dichiarandosi pronto a pubblicare un numero di “Metron” interamente dedicato all’esposizione fiorentina.
Rileggendo le lettere si delineano precisamente due caratteri e due metodi. Ragghianti è l’organizzatore meticoloso che analizza per punti i passi da compiere: «1) definire in modo conclusivo i membri del comitato esecutivo… bisogna formare un comitato ristretto che proceda: a) all’allestimento della mostra in palazzo Strozzi […]; b) a tutte le pubblicazioni, a cominciare dal catalogo, che noi prevediamo, e ai modi e ai mezzi per eseguirle; c) alle manifestazioni che sarebbe opportuno fare sia per l’organizzazione, sia per la permanenza a Firenze di Wright […]» (lettera del 24 novembre 1950). Zevi dovrà assumere l’incarico di Segretario generale del comitato esecutivo della mostra (lettera del 20 dicembre 1950, cui segue la lettera ufficiale del 21 dicembre), composto da Argan, Piccinato, Nervi, Michelucci, Gardella, Levi Montalcini, Samonà, Zevi, Detti, Pane, Caracciolo, Albini, Rogers, Cosenza e presieduto dallo stesso Ragghianti. Ragghianti allega alla lettera di nomina un promemoria, per assicurarsi che Zevi assolva ai compiti: «1. Miscellanea in onore di Wright. Pubblicazione di un volume a cura delle riviste “La Critica d’Arte” e “Metron” abbinate per l’occasione. 2. richiedere all’arch. Storonov il piano per la mostra anche per avere gli elementi necessari al catalogo. 3. pensare alle manifestazioni da organizzare in occasione dell’inaugurazione, senza parlare di tutte le fesserie in ismo, ma organizzando qualcosa di veramente significativo per tutto il paese». E, come punto 4., Ragghianti aggiunge implacabile: «come organizzatore occorre che tu faccia la tua parte».
Zevi ironizza sulla severità dell’amico e accetta critiche e censure. Il 26 dicembre 1950 risponde in toni scherzosi: «Ti ho fatto inviare in omaggio la Storia dell’Architettura Moderna. L’hai ricevuta? Attendo una stroncatura nella “Critica d’arte”». Con costanza mantiene i rapporti con Stonorov e si occupa del fascicolo speciale di “Metron”, invia uno schema a Ragghianti e chiede un parere sugli autori da prendere in considerazione per gli articoli da pubblicare (nella lettera del 15 gennaio 1951 Ragghianti suggerisce i nomi di Hamlin e Giedion, mentre liquida Venturi senza mezzi termini: «troppo fesso»). Ma soprattutto tiene informato lo stesso Wright, che si interessa personalmente del piano della mostra fino allo studio della pianta di palazzo Strozzi e che si preoccupa per i problemi organizzativi e di trasporto del materiale: «sono tempestato da lettere di Wright cui avevo scritto, ma cui non so cosa rispondere» (lettera del 13 marzo 1951).Le proteste di Wright continueranno una volta conclusa la mostra, quando Storonov descrive a Ragghianti un «Mr. Wright very upset» per i ritardi nell’invio del materiale alla Triennale di Milano, e salterà addirittura la tappa parigina dell’esposizione (lettera di Stonorov del 19 settembre 1951 e telegramma del 27 dicembre, in cui Storonov scrive: «Wright furiosissimo prego rilasciare immediatamente materiale […] stop making complications»).
Wright ha ottantaquattro anni e Zevi vuole accoglierlo in Italia come si deve, per conferirgli la Laurea ad honorem richiede personalmente a Giuseppe Samonà e al Direttore generale della pubblica pstruzione che sia la facoltà di Venezia a organizzare, poiché la ritiene «l’unica facoltà di architettura degna di farlo» (lettera del 28 marzo 1951).
A Zevi e Ragghianti interessa che il messaggio di Wright, un messaggio espresso in forme architettoniche ma soprattutto carico di contenuti sociali, arrivi forte come una “scossa” per dare il via a una ondata di cambiamento. Wright è d’accordo: nel “messaggio all’Italia” pubblicato su “Metron” scrive di un nuovo Rinascimento per il nostro paese come rivoluzione culturale: lo spirito creativo italiano rivivrà dopo il fascismo nella difesa della democrazia e dei diritti dell’individuo (F.L. Wright, La sovranità dell’individuo, in “Metron”, nn. 41-42, 1951, pp. 21-31).
Pronti ormai ad aprire le porte dell’esposizione, Ragghianti insiste: «Guai se venisse considerata […] esclusivamente una mostra per raffinati, una manifestazione d’eccezione valida per pochi e comprensibile da pochi. Se così fosse la funzione di cultura e di apertura che noi affidiamo a questa Mostra sarebbe in gran parte pregiudicata […]». Fondamentale sarebbe anche il dialogo con la classe politica, l’inaugurazione viene posposta a dopo la fine delle elezioni del 1951, e fissata al 16 giugno, nella speranza che partecipi il Presidente della Repubblica (lettera del 18 maggio 1951).
L’immagine successiva, che appare tra le pagine di Zevi, è invece abbastanza deludente: Wright che si aggira tra le stanze di palazzo Strozzi come una “salma ambulante”: «visita le sale espositive, critica alcuni particolari, chiede modifiche. Poiché non le ottiene, s’irrita e protesta. Allora Stonorov si gonfia, diventa tutto rosso, esplode: “Mr. Wright, eravamo d’accordo e lei deve rispettare i patti. Questa è la sua prima mostra postuma, priva della sua regìa. Il fatto che lei sia vivo e si aggiri in questi ambienti è affatto indifferente”» (Zevi su Zevi cit., p. 211).
La mostra ha indubbiamente successo, seppure i risultati non siano immediati. Ragghianti punta a un intervento del maestro americano nella ricostruzione del centro di Firenze ma ciò non avviene . Tanto Ragghianti che Zevi sono in prima linea contro l’amministrazione pubblica che si oppone alla realizzazione del Masieri Memorial sul Canal Grande a Venezia (Vedi: Wright e l’Europa, in “seleARTE”, n. 2, 1952, pp. 17-24 e Notizie da Venezia, in “seleARTE”, n. 12, 1954, pp. 77-80).
Ma se anche Wright non realizzerà opere in Italia, il suo messaggio arriva chiaro alla nuova generazione di architetti attivi nel paese. Un messaggio che a Zevi interessa comunicare non sotto forma di nozioni formali da seguire, quanto piuttosto, va ribadito, come richiamo alle istanze democratiche essenziali per dare nuove traiettorie all’architettura italiana dopo la guerra. Un anno prima – se ne faceva sopra cenno all’interno della corrispondenza – Zevi aveva pubblicato per Einaudi la Storia dell’architettura moderna, la prima storia pubblicata nel nostro paese, libro che avrà un’influenza fondamentale sulla formazione di tutte le successive generazioni di architetti, e a proposito del lavoro di Wright aveva chiaramente scritto: «Organico in quanto negli spazi interni dell’architettura ricerca la felicità materiale, psicologica e spirituale dell’uomo; organico perché estende questa esigenza dall’ambiente isolato alla casa, dalla casa alla città. Organico era perciò un attributo che aveva un’idea sociale, non un’idea figurativa; in altre parole, che andava riferito a un’architettura che vuole essere, prima che umanistica, umana» (B. Zevi, Storia dell’Architettura Moderna, Einaudi, Torino 1950, pp. 332-343).
Sembrerebbe logico che un tale messaggio coinvolgesse anche la classe politica, invece già allora il silenzio dei più sembra assordante. Un divario, quello tra intellettuali e politica, che evidentemente già inizia ad aprirsi in quegli anni per diventare nel tempo effettivamente incolmabile. Cinque anni dopo, nel 1956, Zevi organizza nella sua casa sulla via Nomentana un ricevimento in onore di Wright e scrive perentorio e irritato a Giuseppe Romita: «Signor Ministro, Frank Lloyd Wright è a Roma, Lei probabilmente non sa neppure che si tratta del più grande architetto vivente e forse del massimo genio dell’intera vicenda architettonica, dai tempi delle caverne a oggi. Ma vogliamo far finta che l’Italia sia un paese civile? Allora, il Ministro dei lavori pubblici viene a ossequiare il genio» (Zevi su Zevi, cit., p. 104).
* Tutte lettere citate sono conservate presso gli archivi della Fondazione Ragghianti a Lucca e della Fondazione Zevi a Roma. Per un’analisi approfondita del carteggio Ragghianti Zevi vedi: Ferruccio Canali, La Mostra di Frank Lloyd Wright a Firenze. 1951 (parte 1). L’epistolario Ragghianti-Zevi e Wright, in “Bollettino della Società di studi fiorentini”, n. 18-19, 2009-2010 cfr..
Grazie all’architetto Matteo Alfonsi per aver reso disponibili queste rarissime foto dell’allestimento della grande mostra retrospettiva di Wright a Firenze “Sixty Years of Living Architecture” . Provengono da https://www.wyominghistoryday.org/theme-topics/collections/oscar-stonorov
Gigantografia dell’architetto, una immagine che ha colpito l’immaginario anche cinematografico.