La sindrome per Giuseppe Pagano cominciò con il ridisegno della Università Bocconi a Milano e dell’Istituto fisica a Roma compiuto in un gruppo in cui Massimiliano Chialastri e Stefania Macori padroneggiavano una tecnica “sincopata”: una composizione di piante, prospetti, sezioni e assonometrie creavano una info grafica che aveva una propria presenza estetica.
Contemporaneamente, o quasi, iniziò la lettura di Giuseppe Pagano Pogatsching architetto fascista antifascista martire (il numero 35 di “Parametro” del 1975 a cura dello storico Riccardo Mariani) che conteneva la strabiliante corrispondenza che il direttore di “Casabella” aveva intessuto con Giancarlo De Carlo mentre Pagano era rinchiuso a San Vittore prima di essere deportato e morire a Mauthausen nel 1945. Molte missive. Trent’anni dopo domandai a Julia Banfi: “Ma come facevano a scriversi e così tanto i due? – l’uno indomito e giovanissimo capo partigiano e l’altro rinchiuso in galera dai nazifascisti?” “Mettevano le lettere nella calcina dei muratori: erano sempre a San Vittore per riparare a causa dei bombardamenti” mi rispose la moglie del membro dei BBPR che non tornò dalla deportazione.
Finito il numero di “Parametro” di Mariani mi feci regalare l’antologia di Cesare de Seta (Architettura e città durante il fascismo, Laterza 1976) che contenevz un saggio introduttivo ampio e circostanziato, mentre quello di Mariani, altrettanto bello, era volutamente mirato.
Ricordo ancora la dizione che riportava De Seta: Pagano “partecipò all’impresa di Fiume come aiutante maggiore del battaglione dei volontari della Venezia Giulia”. Niente altro. Si sapeva abbastanza delle sue mirabolanti imprese durante la I guerra mondiale (si arruolò nel nostro esercito da irredente istriano, fu prigioniero più di una volta, scappò e fece scappare altri soldati), ma dell’impresa di Fiume non si sapeva niente altro. Mi misi peri otto anni a scrivere un saggio su tutta l’opera di Pagano che fu successivamente ridotto all’osso e pubblicato da Bruno Zevi nel 1984 . Anche in questo libro rimane solo questo cenno all’impresa di Fiume perché non era noto altro al tempo. Ogni tanto aggiornavo la questione degli studi su Pagano e importante fu quando finalmente trovai on line il libro di Pagano e Guarniero Daniel, Architettura Rurale Italiana, (un vero tesoro che da AntiTHeSi rendiamo disponibile per il free download).
Moltissimi anni dopo comprai un libro sull’impresa di Fume (cfr. Cavassini 2009). Era sempre interessante saperne di più. Un giorno lo sguardo mi cadde su una fotografia e feci un salto! Avevo trovato Pagano, avevo trovato la prima immagine di Pagano a Fiume. Era infatti senza alcun dubbio Pagano, il giovane che teneva bello dritto uno stendardo triestino accanto al capo-poeta.
La scoperta di questa fotografia aveva un certo peso storiografico, ma non ero particolarmente interessato a crediti filologici e ormai ero lontano da queste questioni e presi così una decisione d’impeto: resi subito la notizia pubblica in un social. Ci furono molti e appassionati commenti. Tra questi intervenne subito un mio brillante alunno e tesista nel 2006, da tre lustri architetto e artista in Gran Bretagna che, continuando la ricerca, scoprì provenienza e contesto della foto e anche una auterovole citazione della attività e della presenza di Pagano a Fiume. E allora, visto che c’è “AniTHeSi”, abbiamo deciso di scrivere meglio questa micro-storia: a lui la parola ora.
Antonino Saggio AntiTHeSi
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Essere protagonisti nelle proprie vite di un evento veramente eccezionale è cosa rara. Esistono tuttavia personaggi la cui esistenza è un susseguirsi di capitoli eccezionali come in un romanzo d’avventura. Giuseppe Pagano appartenne senza dubbio a questa categoria. La Prima guerra mondiale indubbiamente segnò un intera generazione di italiani: tra loro ci fu chi attraversò la durissima esperienza con la convinzione di seguire un ideale, fino alle sue estreme conseguenze.
Per Pagano come per moltissimi altri ragazzi della sua generazione questi ideali erano quelli risorgimentali, tramandati spesso in famiglia da nonni e genitori. Non sono pochi i giovani che si chiamano Giuseppe, in omaggio a Garibaldi e a Mazzini, ma anche Italo o Italia.
Quando nacque Giuseppe Pogatschnig a Parenzo, cittadina della costa istriana parte dell’impero austro-asburgico, i miti risorgimentali dell’unità di Italia e dell’irredentismo erano un vero e proprio carburante. Fu sulla spinta di questo coacervo di passioni che Giuseppe Pogatschnig si arruolò volontario già nel 1915, a 19 anni. In quanto cittdino austriaco dovette italianizzare il suo nome in Pagano, perché se catturato sarebbe stato impiccato come Nazario Sauro o Cesare Battisti.
Basterebbero le sue sole vicende belliche a segnare una vita eccezionale. Per ben tre volte Pagano viene insignito della medaglia d’oro, e non la si dava con leggerezza. Due volte riuscì ad evadere dalla prigionia austriaca. Ma non basta il coraggio (o l’incoscienza) per arrivare a tanto, è necessaria la spinta intellettuale di un obiettivo ideale.
Non stupisce quindi che molti dei giovani che come Pagano parteciparono come vera avanguardia militare alla prima guerra mondiale diverranno poi anche l’avanguardia culturale dell’Italia del primo dopo guerra. Ma appunto la grande guerra è solo il primo dei capitoli della vita eccezionale di Giuseppe Pagano. (Il direttore di “Casabella” è stato tra i più influenti architetti razionalisti italiani. Fu fascista della prima ora, ma aderirà ad un fascismo, sindacalista e riformista vicino a Giuseppe Botta. Partì volontario per la Seconda guerra mondiale ma al ritorno scoprì sulla propria pelle gli inganni e la retorica del regime, divenne partigiano a Livorno e a Milano, fu catturato e torturato, capeggiò una evasione di 250 prigionieri, ricatturato fu inviato a morire a Mauthasen – cfr. Saggio 1984)
Pagano come i molti altri “Giuseppe” ed “Italo” reduci degli eventi bellici vissero l’insoddisfazione della vittoria italiana. Una vittoria “mutilata” come la definì Gabriele d’Annunzio, instancabile creatore di parole e miti. E fu proprio il Vate degli Italiani che segnò il capitolo successivo della storia di Pagano. Fu al seguito di d’Annunzio infatti che Pagano partecipò alla cosiddetta “impresa fiumana” ancora una volta in primissima linea, sin dagli esordi e non da spettatore, da sostenitore a cose fatte, ma da “congiurato”, da protagonista diretto degli eventi.
Fiume, importante porto della costa dalmata, nel golfo del Quarnaro (a cui Dante Alighieri faceva riferimento quale confine italiano), fu promessa all’Italia in caso di vittoria. E già italiana era largamente sentita da chi come Pagano vi proveniva e aveva vissuto la grande guerra come Quarta guerra di indipendenza. Tuttavia la promessa non venne mantenuta, innestando così di nuovo il sentimento irredentista già temprato dagli innumerevoli rischi corsi durante la guerra. Sfidando lo stesso Stato italiano, alcuni dei più idealisti e “arditi” reduci si riunirono al comando di un “poeta armato” che come un condottiero rinascimentale mosse alla conquista della città Fiume.
Una vicenda quella fiumana che vedrà fianco a fianco gli elementi più dinamici dell’Italia appena uscita dalla guerra, in cui avanguardia artistica e arditismo si incontrarono dando vita ad un ibrido artistico/militare che sotto l’influenza immaginifica di D’Annunzio trosformò un atto di guerra in gesto estetico. La “guerra bella” rilanciava un immaginario radicato sin nell’Illiade di Omero. Un eco potente riecheggiava come mito, come slogan, come fascinazione estetica anticipando nella costituzione della nuova repubblica che D’Annunzio darà a Fiume insieme ad Alceste De Ambris temi di attualità sociale (sdoganando libertà, trasgressioni e diritti che rivedremo solo negli anni Sessanta del Novecento).
L’inizio delle operazione fu segnato dall’azione del 2º reggimento dei Granatieri di Sardegna che alla fine delle ostilità presidiava Fiume insieme ad un comando interalleato che, dopo numerosi azioni irredentiste, venne espulso da Fiume.
Invece di smobilitare, tuttavia, acquartierato a Ronchi di Monfalcone, cittadina vicino Trieste, e sotto il comando del maggiore Carlo Reina il battaglione dei Granaieri iniziò a progettare un colpo di mano.
L’impresa partì l’11 Settembre 1919, con un d’Annunzio in uniforme da lanciere debilitato dalla febbre. Ma l’azione non poteva più essere rimandata e il poeta, perdipiù superstiziosissimo, dette al numero 11 un valore particolare. Era già sera quando la macchina di D’Annunzio raggiunse Ronchi, divenuto il luogo di raccolta di tutti i congiurati, coloro che passeranno alla storia come i legionari dannunziani, e che a memoria di questi eventi verrà poi nel 1925 ribattezzata proprio “Ronchi dei legionari”. A mezzanotte, secondo i piani, le truppe ribelli partirono su quaranta camion guidati dall’auto del comandante, raggiungendo Fiume.
Tuttavia le cose non sembrarono andare per il verso giusto. Alle due del mattino i camion che dovevano essere messi a disposizione da un vicino deposito sotto la responsabilità di un ufficiale compiacente, il capitano Salomone, ancora non si vedevano. D’Annunzio dette in escandescenze: “I carri mi occorrono, i carri!” urlava. I minuti successivi divennero sempre più agitati con un D’Annunzio che minaccò di andare Fiume con la sua sola auto.
Fu proprio in questo frangente altamente drammatico che vediamo finalmente comparire nella vicenda, Giuseppe Pagano.
“Keller, Beltrami e Miani, accompagnati dal tenente Giuseppe Pagano, altro aviatore [sic.] sono saltati sulla T4, e sono corsi a Palmanova..” Lo riporta Giordano Bruno Guerri, massimo studioso di D’Annunzio nel suo libro Disobbedisco a pag. 62 e aggiunge che quanto segue è una ” scena degna di un film d’azione”.
Fu proprio Pagano infatti che insieme a Guido Keller, altro personaggio leggendario, ed insieme ancora ai tenenti arditi Tommaso Beltrami ed Ercole Miani che segnò il destino stesso dell’impresa. I quattro di propria iniziativa, senza informare D’Annunzio, raggiunsero l’appartamento del capitano Salomone, che nel frattempo aveva cambiato idea e deciso di non assecondare più l’impresa. Irruppero nella sua stanza trovandolo addormentato ed ostinato a non concedere più i camion, perchè destinati ad altre operazioni. A sbloccare la situazione ci pensò l’ardito Miani puntandogli una pistola alla fronte, “Cedo alla violenza” pare abbia risposto il capitano Salomone consegnando finalmente i camion necessari ai legionari.
Durante il viaggio di ritorno, Pagano con i suoi tre compagni, isolano completamente Ronchi mettendo fuori uso ogni linea telefonica e telegrafica. Citando ancora Guerri: “Quei fili tagliati e la pistola sfoderata da Miani sono gli unici atti di forza nella conquista di Fiume”. Insomma Pagano è nel gruppo chiave dell’impresa di Fiume. Forse senza di lui tutta la grande impresa fiumana non arebbe neanche avvenuta!
Non sappiamo cosa abbia fatto Pagano nei 16 mesi di Fiume occupata, dopo quel fatidico 11-12 settembre 1919, quali incarichi abbia avuto, se abbia sviluppato contatti privilegiati con D’Annunzio contribuito a redarre istruzoni o leggi. Sarebbe interessante scandagliare i fittissimi archivi del Vittoriale alla ricerca di un qualche documento che lo coinvolga. E non possiamo che augurarci che qialche dottrando di ricerca lo faccia. Tuttavia esiste ancora un altra testimonianza della sua partecipazione e questa volta la testimonianza è visiva e carica di significati.
Si tratta in realtà di due scatti di una medesima fotografia – il primo inserito in apertura – che immortalano la stessa scena a pochi secondi di distanza. La foto è stata ritrovata all’interno dell’album di fotografie di un ufficiale dei Lupi di Toscana, che vediamo fare capolino dietro D’Annunzio, ed è stata pubblicata nel 2009 nel volume di Cavassini – Franzinelli, Fiume, L’ultima impresa di d’Annunzio.
In questa foto rivediamo Pagano ancora insieme ad un altro degli uomini che furono cruciali insieme a lui per l’attuazione dell’impresa fiumana. Ma è anche significativa loro vicinanza ideale il prosegueo parallelo della loro vicenda. Miani è stato il fondatore del fascio triestino, diventando però poi, durante l’occupazione nazista del litorale adriatico, uno dei promotori dell’antifascismo dell’area di Trieste, che fu la scelta – come abbiamo detto – dello stesso Pagano.
La foto ci racconta anche che Pagano tre mesi dopo la presa di Fiume era ancora presente in città e significativamente attivo nel battaglione dei volontari giuliani, di cui regge addirittura il gagliardetto accanto al Vate.
È curioso notare un altro dettaglio della foto, che è un po’ la chiusura del cerchio di tutta la vicenda che stiamo raccontando.Accanto a Miani vediamo un vecchio signore con i baffi, è Salvatore Gremignani, che come risulta evidentissimo dal cappello è addirittura un reduce garibaldino. In questa foto vediamo quindi riunita tutta la vicenda irredentista, che va dai nonni garibaldini, che per l’idea di un Italia unita sono insorti, alla generazione di D’Annunzio che a quegli ideali ha dato il vento del mito, fino ai più giovani “Giuseppe” ed Ercole che per quei valori sono tornati nuovamente in armi.
Resta il mistero della maliziosa signora in pelliccia tra tante uniformi, stretta accanto a Pagano, che in uno scatto incontra niente meno che lo sguardo del poeta, sommo seduttore.
Matteo Alfonsi
Bibliografia
Antonino Saggio, Giuseppe Pagano tra politica e architettura, Dedalo, Bari 1984
Paolo Cavassini, Mimmo Franzinelli, Fiume L’ultima impresa di D’Annunzio, Mondadori, Milano 2009
Marco V, Vita Militare (fragmenta) del Capitano del regio esercito Umberto Sbacchi, Vol. IV cfr. www.pietrigrandeguerra.it, 2014
Pier Luigi Vercesi, Fiume, l’avventura che cambiò l’Italia, Neri Pozza editore, Milano 2017
Giordano Bruno Guerri, Disobbedisco, Mondadori Milano 2019
AntiTHeSi è lieta di accogliere nuove indicazioni bibliografiche