Vorrei individuare tre livelli per sottolineare l’importanza della figura di Benedetta Tagliabue cui è stato conferito nel dicembre del 2021 il “Piranesi Prix de Rome alla carriera” quale titolare dello studio EMBT – Eric Miralles, Benedetta Tagliabue.
Il primo aspetto riguarda la rilevanza storica della sua opera, il secondo alcuni aspetti di metodo, il terzo riguarda la statura del suo lavoro di architetto sino agli anni più vicini a noi.
Quando mi è stato dato l’incarico dall’Accademia Adrianea e dal Comitato scientifico del Prix de Rome – che ringrazio nella figura del presidente il professor Pier Federico Caliari insieme all’Ordine degli Architetti di Roma con l’amico e collega Luca Ribichini – di tenere una prolusione in suo onore, ho pensato se avessi trattato con il necessario equilibrio l’opera di Benedetta Tagliabue nel passato o se avessi scritto qualche riga che magari, alla luce di questa prolusione, avrei voluto aver redatto in maniera diversa. Ho riletto, e non cambierei una sola parola. Vi riporto un passo da “Architettura e Modernità dal Bauhaus alla Rivoluzione informatica”.
«Siamo ormai in un mondo di schermi, che comportano per l’architettura una doppia intrigante condizione. Da una parte lo schermo è senz’altro superficie bidimensionale, dall’altro canto esso è, come era nel passato il telaio prospettico, anche elemento portatore di “profondità”. Se la condizione superficiale conduce a un ritorno di effetti epidermici e decorativi (…), in alcuni filoni di ricerca architettonica contemporanea, “la profondità” dello schermo è un tema pieno di molte implicazioni: di volta in volta questa profondità è illusionistica o interattiva o informativa o addirittura intelligente.
Ecco allora che il rapporto tra uno schermo superficiale e bidimensionale e uno profondo, richiama a una condizione di salto “dentro” lo schermo (come il ben noto volume di Lewis Carroll,”Attraverso lo specchio e quel che Alice vi trovò”). Le due opere di Barcellona che qui discutiamo diventano un’efficace esemplificazione di un tema presente nelle ricerche più recenti.
La prima è firmata da Benedetta Tagliabue ed Enric Miralles. Miralles è scomparso a soli 45 anni nel 2000 fulminato da una inesorabile malattia al cervello. Aveva detto a un collega che lo richiamava ad obblighi universitari più assidui, che erano otto anni che non faceva ferie. La morte di Miralles ha aggiunto ai venti di crisi generali anche un alone di tristezza per una così prematura scomparsa che si è ripetuta nella morte di un altro valido e giovane architetto, Claudio Blazica fondatore del gruppo BuS Architektur con Laura Spinadel a Vienna.
Miralles e Tagliabue firmano il rifacimento dell’importante Mercato rionale di Santa Caterina: un’opera interpretabile, sin dal primo impatto, attraverso il sentire verso la digitalizzazione che abbiamo descritto. L’opera si caratterizza immediatamente per la presenza di una grande copertura ondulata che unifica le diverse funzioni coprendo l’intera superficie di una piazza rettangolare delimitata dai blocchi edilizi che la circondano. La copertura ondulata ha altezze e andamenti variabili, come se si trattasse di un grande tappeto che, per stare in piedi, deve piegare la superficie continua in volte di diverso andamento. Con questo principio di irrigidimento attraverso una geometria variabile funziona la copertura che raggruppa in un unico gesto le funzioni del mercato sottostante con i nuovi stand per la vendita, i parcheggi interrati, una centrale di raccolta dei rifiuti urbani, la ricollocazione dei resti archeologici del convento preesistente e che si ferma nel fronte meridionale per lasciare posto ad un intervento per appartamenti di edilizia popolare. Il grande tappeto-copertura, tra l’altro praticabile, è visto dalle finestre di tutti gli edifici che circondano la piazza.
Ed è proprio da questo angolo visuale che si deve leggere la digitalizzazione o, usando un termine tradizionale, tassellizzazione della superficie. Sessantasette diversi colori, per 325.000 esagoni di ceramica che formano il mantello di quasi 6.000 metri quadri.
Esattamente come un grande schermo ondulato, il tappeto-copertura trasmette energia a tutto il quartiere. In questo caso non è “un vero” schermo, ne evoca soltanto la presenza, ma non mancherà molto che il tappeto copertura potrà essere effettivamente uno schermo visto che la tecnologia degli schermi flessibili tra brevissimo sarà pronta per un uso di massa.
Ora, se guardiamo con occhi socchiusi alla produzione del decennio 2000-2010 ci possono tornare in mente alcune opere straordinarie di architettura, per esempio La Medioteca di Sendai di Toyo Ito, oppure il Terminal dei traghetti di Yokohama di Foreign Office Architects, oppure la Fabbrica e Headquarters di Zaha Hadid per la Bmw a Lipsia o il progetto del Mercedes Museum di UNStudio a Stoccarda. Ognuna di queste opere ai nostri occhi assume il significato di una architettura che intercetta in maniera somma alcuni temi di quegli anni così pieni di energia e di speranza.
Ebbene, accanto a queste opere non può non esservi il mercato di Santa Caterina di Eric Miralles e Benedetta Tagliabue. Anzi forse se facciamo entrare in gioco il tema della città, e in particolare della città stratificata che noi conosciamo in Europa, questo progetto sarà forse scelto da molti di noi come il più alto, il più riuscito, il più indimenticabile. Un vero e proprio capolavoro.
Prima di addentrarci nel valore di questa opera è bene esporre con chiarezza un concetto.
Nell’atto creativo si è alla pari! Se si firma un atto congiunto come un progetto si è alla pari, lo sappiamo bene con i figli. Siamo alla pari nella creazione.
Ora il progetto di questo capolavoro nasce da un concorso firmato alla pari ed è opera di entrambi. Basterebbe questo a garantire un fatto certo. Benedetta Tagliabue ha contribuito in maniera assolutamente determinante alla nascita di un capolavoro, di un crocevia indispensabile per capire la forza dell’architettura che si è affermata in tutto il mondo dopo il 1988.
Ma come certamente sapete c’è molto, ma molto di più. Benedetta Tagliabue non solo ha firmato il progetto, ma è riuscita nel miracolo di portarlo a compimento. E lo ha fatto tenendo sempre altissima l’asta della qualità, senza mai ridurre, mediare, tagliare, appiattire. Questo secondo aspetto, averlo “cresciuto” il capolavoro, rimasta sola, le dona un doppio e ancora più alto titolo ai nostri occhi.
È bene sottolineare perché questa opera è cosi fondamentale. Innanzitutto partiamo dall’elemento più semplice. Il progetto propone un eccezionale segno di vitalità formale dentro un centro storico. Non compie una banale ricerca di una presunta identità catalana, ma ne reinventa il futuro, lo costruisce. Questa opera crea una prospettiva: fa capire che l’unica identità da cercare è quella del cambiamento.
Ma torniamo all’opera che sfugge da stereotipi di ogni tipo e indica attraverso l’impeto creativo una direzione prodigiosa. Lo fa con un sapiente contatto con la città alla quota dei percorsi urbani, negli interni strepitosi, nello sviluppo di un programma di Mixitè, che la caratterizza come esempio paradigmatico. Combina infatti la funzione “trainante” (o la narrazione principale, come si dice) del mercato con molte altre. Alla monofunzionalità sostituisce un intreccio di attività culturali, di valorizzazione del preesistente archeologico, di spazi per il tempo libero.
Anche la funzione residenziale è presente, come dicevamo, con l’inserimento in una maniera mirabile del complesso abitativo. È un intervento per abitanti anziani e a basso reddito che – in una fase di gentrification potenziale della città – non sradica la popolazione dal quartiere. Intrufolatevi in queste case, guardate l’attenzione del disegno, l’alternanza di piccoli momenti di incontro negli spazi collettivi e semi collettivi.
Sino adesso ho taciuto dell’elemento che tutti avete negli occhi e cioè la grande copertura policroma realizzate.
Per farvi capire la rilevanza di questa copertura vorrei usare Giotto.
Quando si guarda a Giotto con gli occhi all’evoluzione della pittura a lui successiva si sente in Giotto l’anticipazione di quello che sarà: la volontà di dare uno spazio vero e concreto in cui far vivere le scene e soprattutto l’umanità dei personaggi. Sono elementi che si vedranno realizzati compiutamente solo dopo, in Masaccio o in Piero Della Francesca, ma che troviamo, con gli occhi del poi, già in Giotto.
Ora, se guardiamo la copertura del Mercato di Santa Caterina, da una parte pensiamo al passato (ovviamente all’esuberanza di Gaudi), ma pensiamo in particolare a quello che è implicito in quella copertura come messaggio futuro. Questa copertura ci parla di un mondo digitalizzato e informatizzato. Lì a Santa Caterina vi è l’immagine di un tempo dinamico, frammentario e digitale, che risponde alla nostra sensibilità. E basta riflettere su quanto è accaduto nell’impetuoso sviluppo tecnologico dalla sua costruzione a oggi che si può comprendere come qui tasselli possano effettivamente mutare, essere viventi, cambiare e contribuire ad un sentire sistemico dell’edificio, essere veramente “intelligenti” e portatori di interattività anche ambientale.
A partire da questa opera, Benedetta Tagliabue ha condotto alla realizzazione altre mirabili architetture progettate con Enric come il Parlamento scozzese di Edimburgo. È un’opera fortemente anticonformista, così diversa da quanto è convenzionalmente abituale aspettarsi per un tema istituzionale. C’è voluta la capacità gigantesca dell’architetto Benedetta Tagliabue per portarla a termine. “Ma come ha fatto?” – ci chiediamo – e con questo veniamo alla seconda parte di questa prolusione.
Il metodo
Come ha fatto?. Lo ha fatto al femminile è la risposta.
Ci arriveremo a capire, meglio che cosa voglio dire. Ma prima vorrei sottolineare che il caso Tagliabue ha messo un poco in crisi una mia equazione. Uno dei fili che mi segna è il concetto di Modernità e per Modernità intendo, come una volta mi disse Bruno Zevi, quanto trasforma la crisi in valore e suscita una estetica di rottura e cambiamento.
Ma nel caso Tagliabue, è stato così veramente?
All’indomani della scomparsa di Enric Miralles, e con due bimbi piccoli, Benedetta Tagliabue ha dovuto fronteggiare l’arrivo di una crisi che più grande è difficile da pensare.
Enric Miralles, non è stato solo un marito e un compagno, ma anche uno degli architetti più dotati di questi ultimi decenni.
Come procedere? Frank Gehry le disse: “Adesso ricomincia, fa il tuo, azzera!”
Ma Benedetta Tagliabue decise un’altra strada. Quella di continuare a fare “come se Enric ci fosse ancora”.
Aveva talmente accolto la forza, il mito, le idee, la sensibilità di Enric da farle proprie, da farle vivere dentro di sé e continuare a trasmetterle nello stile, nei metodi, nell’indefesso lavoro dello studio come grande crocevia di giovani da tutto il mondo. Assorbire Enric, continuare a farlo vivere, vuol dire svilupparne i metodi, le idee, i processi, farle cosa sua perché comune. Anche la lingua catalana fa parte di questo processo e di questo come di altri dettagli sono grato all’architetto Federica Morgia docente nel nostro Dipartimento ed autrice di un libro su EMBT e co autrice di alcuni progetti italiani dello studio EMBT.
Quindi la modernità in questo caso non passa affatto da una rottura, ma tutto il contrario, passa da un accoglimento, da una profonda consapevolezza della forza spaziale, tettonica, paesaggistica di quella architettura. Un accoglimento che è tutto al femminile, di cui l’ego maschile è di norma foriero.
Tutto questo si basa su alcuni temi, di cui mi piacerebbe molto discutere analiticamente. Per esempio “l’architettura come nuovo suolo”, oppure “le strutture filamentose”, oppure “il muro come luogo della architettura” o “il cielo in copertura”.
Mi basti sottolineare che, attraverso il suo lavoro, rimane viva e soprattutto si evolve una idea forte, vitale, esuberante, dinamica e spazialmente coinvolgente di architettura. Di più: l’architettura spagnola non è solo la pulizia elegante, ma sin troppo facile e ripetitiva di un pur altissimo professionismo. Benedetta Tagliabue tiene alta la bandiera della spazialità, della forza plastica, del rapporto di scambio e intreccio con il suolo e con il cielo.
Opere recenti
Abbiamo ripercorso dunque la rilevanza storica in cui si innesta l’opera di Benedetta Tagliabue, abbiamo ricordato alcuni aspetti di un metodo di lavoro, ma rimane aperta la terza questione. Oggi, a distanza di vent’anni, l’opera dello studio EMBT conserva la forza e il vigore originario? La risposta è: “Si, eccome!”. E scusatemi se è poco.
Innanzitutto lo studio porta a compimento opere di notevole complessità come per esempio la sede della società del Gas Natural Fenosa a Barcellona, il Grattacielo Chinatrust Bank a Taipei, il Campus della Sudan University a Shanghai e diversi altri, ma contemporaneamente anche una serie di piccoli progetti che sono paradigmatici di una architettura contemporanea attenta alla mutevolezza dei temi, alla mobilità del paesaggio e a una grammatica compositiva solo apparentemente complessa e invece dall’alto contenuto didattico.
Ci sono due opere che vorrei segnalare alla vostra attenzione concludendo.
Innanzitutto il padiglione della Spagna all’Expo del 2010 a Shanghai.
Si tratta metaforicamente e costruttivamente di un intreccio, tra hi and low tech, tra tradizione e modernità, tra vernacolo e tecnologia, tra luce e ombra che si presenta allo spettatore lungo un grande corpo di drago che contiene al suo interno tutte le spazialità necessarie ad una grande esposizione internazionale. L’opera è talmente importante che è stata acclamata e pluri premiata come il miglior padiglione all’Expo di Shanghai.
Questo ha facilitato l’apertura di un secondo studio in Cina e in quel paese tutt’altro che facile ha permesso la creazione ancora di altri rilevanti progetti.
Ma la seconda opera di cui vi voglio parlare è in Italia. Si tratta di una splendida stazione della Metropolitana a Napoli. Come tutti sapete la metropolitana di Napoli è forse la più bella al mondo, e lo è perché l’arte non gioca un ruolo accessorio o decorativo, ma è essenziale: fa spazio, fa bellezza, fa cultura e fa, soprattutto, cittadinanza. Ebbene in questo quadro, lo studio di Benedetta Tagliabue vince il concorso per la stazione al Centro direzionale e realizza un’intelligente, sensibile e completamente contestuale soluzione. Crea un riparo permeabile alla luce abbagliante, una radura accogliente e armonica, ma anche una struttura planimetricamente pluridirezionata perché cattura e rilancia i percorsi urbani. Ai livelli più bassi verso i binari fa rivivere la forza degli spazi ipogei della affascinante Napoli sotterranea.
È importante che Benedetta Tagliabue stia completando proprio nel suo paese questa opera.
Credo che questo riconoscimento alla carriera vada ad un architetto d’eccezione. Innanzitutto premia un personalità di indiscutibile valore per le ragioni che abbiamo cercato di delineare brevemente. Una personalità che rivela la forza coraggiosa e intelligente di interpretazione dei contesti che li rilancia verso il futuro, e poi ne premia altre due caratteristiche.
Per la prima volta il Prix de Rome alla carriera va a una donna, e questo non è fatto di genere, ma di sostanza e di sensibilità. E poi è assegnato a una persona giovane. Un fatto questo, che per un premio così rilevante, non può che renderci felici.
2 risposte su “Piranesi Prix de Rome alla carriera a Benedetta Tagliabue EMBT”
…la stazione di Napoli , caratterizza nel contesto quel luogo molto più degli edifici che la circondano,…ma ha anche il pregio di rendere contemporaneo l’uso del LL da noi spesso usato solo come travi e pilastri…un suggerimento Vs le nuove generazioni e per gli addetti ai lavori , anche un materiale tradizionale può esprimere un carattere innovativo…certo LL forse fibrorinforzato e con giunti metallici etc. ho letto con piacere il testo del prof. Saggio (correzione testo precedente)
SPERIAMO SIA PRESTO COMP0LETATA! GRAZIE DEL COMMENTO