Quanta pena stasera c’è sur fiume che fiotta così Disgraziato chi sogna e chi spera
Tutti ar monno dovemo soffrì Ma si n’anima cerca pace Pò trovalla sortanto che quì
Er barcarolo va contro corente E quanno canta l’eco s’arisente
Era questo l’inno di Antithesi.
Sandro ed io, scherzosamente, lo cantavamo spesso, e sin da una sera del luglio 2001, quando ci trovammo ad una festa ambientata su un barcone del Tevere, abbastanza vicini al Gasometro.
Eravamo reduci dal “jury” che Antonino Saggio aveva organizzato al termine del suo corso svolto nel corso dell’anno accademico, durante il quale i suoi studenti esponevano il proprio lavoro finale, poi discusso con un gruppo di invitati esterni.
All’ingresso del barcone, per potere entrare, ci si doveva tesserare, ricevendo – appunto – un tesserino degli “Amici del Tevere”.
Ci conoscevamo da un anno e mezzo, e quella sera eravamo più scanzonati del solito, ma non tanto rispetto a quando fondammo Antithesi.
Sì: scanzonati, ma non sino ad essere spavaldi, perché in Antithesi – sin dalla sua fondazione del febbraio 2000 – non avremmo mai esercitato alcuna temerarietà intrisa di arroganza o presunzione.
Torniamo alla festa del luglio 2001. Non appena avemmo in mano la tessera degli “Amici del Tevere”, ci guardammo… e scoppiammo a ridere, così… senza che nessuno dei due avesse fatto una qualsiasi battuta, un gesto, una mimica. Nulla.
Sandro ed io eravamo così: ci capivamo al volo. Quasi nello stesso istante, entrambi iniziammo a canticchiare “er barcarolo va contro corente…!”, conosciutissimo motivetto, seppure sconosciuto nel suo reale contenuto. Ci faceva ridere, ci metteva allegria. In più, se er barcarolo “navigava” il fiume, Antithesi navigava il web. Insomma, tra il serio e il faceto, diventò il nostro inno segreto.
E tanto ci piaceva quel “contro corente”, ciò probabilmente per via del nostro modo di essere non “contro qualcuno” ma, appunto, “contro corrente”, che decidemmo di conoscere il testo della canzone, accorgendoci che c’era qualcosa in comune con lo spirito di Antithesi.
Il “capirsi al volo” non significava, però, necessariamente che lui ed io fossimo sempre d’accordo; piuttosto, significava rispettare il pensiero altrui, perché non sono state poche le volte in cui l’uno la pensava diversamente dall’altro.
Probabilmente, proprio questo rispetto reciproco traslato on line in Antithesi è stato il vero motore della stessa rivista, che nacque davvero “aperta”. Il che significava dare la possibilità a
chiunque di “occuparla”, anche da chi di Lazier e di Ferrara non ne condivideva l’obiettivi, fossero quelli dell’orientamento culturale, fossero quelli di dare spazio a chiunque avesse voglia e passione di combattere contro tutto ciò che stava riducendo la critica architettonica a chiacchiericcio fine a se stesso, anche quella esposta in alcune riviste dal passato glorioso e in altrettante riviste patinate di successo editoriale.
Vi era di più: grazie al proliferare del web (“democraticissimo” web, che consentiva a chiunque di esprimersi), era innegabile che la critica architettonica stesse diventando campo di pascolo per chiunque: era sufficiente “pascolare nel campo web”, scrivere di architettura, per potersi definire “critici”.
Non ho davvero modo di descriverne la faccia e le risate che si faceva quando mi sentiva, e vedeva, combattere dal di dentro il sistema universitario. Certe volte, ascoltando discorsi sulle compromissioni da raggiungere per arrivare a determinati obiettivi accademici e/o professionali, non ero capace di trattenermi nel mostrare la mia assoluta avversione al “sistema”. Sandro lo sapeva, e si divertiva a gettare benzina sul mio fuoco ogni qualvolta mi trovavo in contraddittorio con qualcuno durante un convegno, un dibattito, in facoltà, a pranzo, cena, etc.
Aveva la grande arte di gettarvi benzina dissimulandola con acqua… Ma la sua intelligenza era sempre talmente viva che, non appena capiva che la fiamma che lui stesso aveva alimentato stava per diventare incendio, ecco che la benzina dissimulata la trasformava realmente in acqua: interveniva nel contraddittorio, e gli dava il giusto equilibrio. Insomma, oltre ad averla, Sandro l’intelligenza la usava. Anche per questo lo adoravo.
Per “capire” Sandro e comprendere lo spirito di Antithesi, basterà rileggere un suo articolo scritto nel settembre 2000.
Trattava proprio di un testo critico pubblicato su “Domus”, che aveva la velleità di ascrivere Bruno Zevi nella sfera dei nevrotici.
Ne riporto l’incipit, che davvero credo possa essere considerato il filo conduttore di Antithesi:
«Mi è stato insegnato, e forse a torto visto i tempi che corrono, che si combattono le idee, mai le persone. Ma per combattere le idee bisogna perlomeno conoscerle, altrimenti non si hanno argomenti e si rischia di confutare il nulla solo per colpire qualcuno, aumentando confusione, incompetenza e tante altre dannose nefandezze. Generalmente, parlar male del prossimo banalizzandone il pensiero, non rientra nelle prerogative dell’umana e auspicata virtù della critica d’autore, ma rimane piuttosto confinato nel più meschino vizio che va dall’inutile pettegolezzo alla, molto più seria, calunnia. Insomma, o finisce tutto al bar degli amici o in tribunale. A meno di trovare qualche compiacente editore disposto a vestire il topolino con gli abiti dell’elefante, a spacciare per critica le ciance, traghettando la cialtroneria nella immune zona franca del dibattito sedicente culturale. Immune da querele, come d’altronde è questo articolo, ma immune soprattutto dalla reazione di colui che, colpito, per coincidenza non è più in vita […]». (Link mancante)
Eccoci, dunque, al riferimento all’inno di Antithesi, al quel “er barcarolo” a cui demmo un profondo significato:
Quanta pena stasera c’è sur fiume (sulla critica) che fiotta così Disgraziato chi sogna e chi spera (in una critica leale e vera)
Tutti ar monno dovemo soffrì (per le ingiustizie che uccidono la meritocrazia)
Ma si n’anima cerca pace
Pò trovalla sortanto che qui (qui, su Antithesi puoi dire quel che pensi, senza censure)
Er barcarolo va contro corente (Antithesi va contro corrente)
E quanno canta l’eco s’arisente (e quando scrive è certo che ci sarà un effetto)
Quella sera del luglio 2001 per la prima volta – ma non per l’ultima – vidi Sandro brillo (io ero completamente ubriaco). E se è vero che “in vino veritas”, pensando, ragionando (sì: seppure combattenti contro i fumi dell’alcool, riuscivamo a ragionare!), dibattendo, quella sera Sandro ed io la passammo soprattutto a ridere di quanto buffo fosse l’affannoso schiamazzo di chi, a tutti i costi, anelava a diventare “famoso”, fosse quale “archistar”, fosse quale “critico”.
A noi non interessava nulla di tutto ciò: mai, dico “mai”, in venti anni ho sentito Sandro parlare di voglia di “successo”, “fama”, “premi”. Mai.
Antithesi è stata una sua conquista, in quanto mezzo per far conoscere il suo spessore culturale, la sua assoluta preparazione a 360 gradi: filosofica, matematica, storica, critica, umanistica. Tutto.
Le architetture che ha pensato e, poi, costruito, sono state la sua “conquista”, poiché con esse ha rotto per davvero lo schema del provincialismo che attanagliava l’architettura di Alba e dell’astigiano, e che Sandro combatteva strenuamente poiché inficiante una terra foriera di assoluta modernità imprenditoriale (si pensi alla Ferrero o alla Mondo, marchi di fama mondiale), ma che – appunto – in architettura veniva banalizzata nel vernacolare e nello scopiazzo (copisti di Rossi, Botta, Eisenman, sino almeno al primo decennio del XXI secolo si sono riprodotti serialmente).
Sandro ha vinto la sua personalissima scommessa: non quella del successo, bensì quella di restare se stesso anche quando i frutti raccolti, sia come critico, sia come architetto, iniziarono ad essere eccellenti.
Non posso nascondere che alcune amicizie di Sandro, nate e sviluppatesi con chi aveva dibattuto anche duramente con lui, mi hanno riempito di gioia, semplicemente perché dimostrano quanto egli sappia essere capace di indurre negli altri la voglia di relazionarsi con le sole armi della cultura, e non certo con quelle delle già citate arroganza e presunzione. Ciò significava che lo spirito di Antithesi era quello giusto, semplicemente perché Antithesi “è” Sandro, ma “è” anche tutti quelli che in essa hanno voluto scrivere, dibattere, esporsi.
Dunque, davvero “grazie” a chi ha dato ancora più valore al pensiero di Sandro, anche se in accesi contraddittori, ma sempre basati sulla lealtà delle parti che, allorquando, si parla di critica architettonica non può che essere basata sulle fondamenta della preparazione culturale.
Grazie a chi, dopo la sua scomparsa, ha sentito la mancanza di Sandro, ma che – invero – non ce lo farà mai mancare, e ciò semplicemente perché sa di avere ricevuto da lui, e che lui, a sua volta, ha certamente da loro ricevuto, semplicemente perché consapevole del fatto che ascoltare le ragioni gli altri, seppure non condividendole appieno, è comunque un arricchimento.
Sapevo che per me era stata una fortuna l’averlo incontrato, ma avevo tutto da perdere perché dei suoi insegnamenti non avrei dovuto perdere una goccia.
Sandro l’ho visto per l’ultima volta proprio l’ultimo giorno della sua vita terrena: non poteva più parlarmi, ma ho rivissuto esattamente il nostro primo incontro.
Venne nel mio studio di Milano, si sedette sul divano. Iniziai a parlare, e continuai a farlo anche a pranzo. Lui non diceva nulla, per davvero, se non ordinare la pizza Napoli (sempre quella avrebbe preso nei venti anni successivi!). Se ne andò stringendomi la mano, ma senza dire nulla. Ricordo bene che dissi alla mia socia di allora “… mi sa che non lo vedrò più… non ha detto una parola… devo averlo devastato di chiacchiere”.
Passò una settimana, e mi chiamò per annunciarmi che era nata Antithesi, un sito creato direttamente da lui, autodidatta.
Il 15 febbraio scorso Sandro se ne è andato, anche questa volta senza dire una parola.
È passata una settimana, e Antonino Saggio, Milena Lazier, Enzo Mastrangelo mi hanno chiamato: Antithesi, ventuno anni dopo, continuerà a crescere.
Buon lavoro a chi, collaborando con Antithesi, vorrà continuare a camminare accanto a Sandro e a chi, invece, imparerà a conoscerlo.
E, tutti insieme, potremo cantare con lui “er barcarolo va contro corente”.
Paolo GL Ferrara