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La Vie en Rosa

Preludio

La scrittura degli architetti percorre, in questo momento, strade che non mi interessano.
D’altra parte quel che scrivo io non può, mi pare, interessar loro.
Questo disinteresse speculare configura l’inutilità di ciò che mi accingo a fare: scrivere intorno a cose d’architettura per lettori che, presumibilmente, saranno architetti.
Perché, allora, lo faccio?
Perché le cose inutili mi piacciono.
Sono, anzi, disposto a confessare di averci dedicato la vita.
Non ha del resto, l’architettura, annidato in sé come una tenia, il verme della inutilità?
Come si spiegherebbe, altrimenti, la fatuità di una parte enorme dei suoi adepti?
La loro ridicola boria?
La loro endemica superficialità?
Il loro intellettualismo pretenzioso e frivolo?
La loro lamentosa, e lamentata, inettitudine ad incidere, seppur minimamente, sulla realtà?
(Nota al margine: so che generalizzare è brutto ma, giusto per farmi capire, detesto la categoria. La trovo moralmente inferiore a quella degli avvocati, ed è quanto dire… più insulsamente improduttiva e parassitaria di quella di notai, farmacisti e psicanalisti, più cialtrona di quella dei dietisti e dei consulenti fiscali. Solo un’altra categoria le fa mangiare la polvere della mascalzonaggine: quella di nuovo conio, spaventosa e indefinibile con linguaggio umano, dei life coach….queste bestie…).
Ecco, direi che tutto questo fa da sponda alla inutilità del mio scrivere e gli fa fare carambola. Quella inutilità subito diventa duplice.

Trattando argomenti fondamentalmente inutili ne scriverò inutilmente e, per di più, in una lingua che non è quella degli architetti.
Non si può immaginare minore effettualità.

Ma una volta precisato l’imprecisabile vorrei precisare anche il resto.
Non posso escludere che, da qualche parte, sotto la cenere della mia scrittura, covi una minuscola scintilla: sehnsucht, saudade…nostalgia? Forse. Non, però, di luogo, cosa o persona. Piuttosto di quel niente che è fatalmente e definitivamente evaporato nell’attimo in cui mi decisi per l’architettura. Quel niente che ogni architetto ha perduto come i nostri progenitori perdettero l’eden. Nostalgia, dunque, evidentemente fuori luogo e fuori tempo. Infondata, oserei dire. Da qualche altra parte, sempre sotto quella cenere, c’è però anche la speranza, ugualmente infondata, che un giorno l’architettura sfugga alle grinfie degli architetti.

Nostalgia infondata da una parte e infondata speranza dall’altra.
Ecco gli estremi tra i quali si muove la mia cocciutaggine di scriba non letto…che non potrebbe avere, s’intende, estensione più elastica
La prima estremità è infatti rivolta, sempre, al passato, la seconda, sempre, al futuro.
Da questa fantasmagoria bifronte prende forma il suo modesto presente, con l’aria del postulante, indigente ma petulante che, se gli dai cinquanta centesimi ti guarda con l’aria schifata di chi è abituato ad altro. Darò secondo le mie possibilità che sono infime.
Ma, considerati i tempi, lasciar cadere in quel cappello qualche centesimo sembra già un lusso.


(Ugo Rosa – 18/10/2017)

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