Chi non ricorda lo scherzo della scena di “Amici Miei -atto II” girata all’interno del Cimitero Monumentale di Firenze, in San Miniato al Monte? Uno scherzo nello stesso tempo geniale e tremendo, che celava la voglia di esorcizzare la morte anche da parte di chi viveva la vita alla leggera.
Per chi non l’avesse presente, la può guardare su YouTube.
Lasciamo “Amici Miei” (ma ci torneremo) e veniamo ad Epicuro.
Sono passati oltre 2.300 anni da quando il filosofo di Samo esorcizzava così la morte:… “il più terribile dunque dei mali, la morte, non è nulla per noi, perché quando ci siamo noi non c’è la morte, quando c’è la morte noi non siamo piú. Non è nulla dunque, né per i vivi né per i morti, perché per i vivi non c’è, e i morti non sono piú.”
“Amici Miei” ed Epicuro, ovvero due modi certamente lontanissimi di esorcizzare la morte ma che della stessa prendono atto egualmente quale fatto imprescindibile della vita.
Quelli che ci separano da Epicuro -e quelli che precedettero il filosofo- sono stati secoli durante i quali l’uomo ha espresso anche attraverso l’architettura il rapporto delle diverse Civiltà con la morte, dando vita a testi architettonici che sono il palinsesto della storia.
Insomma, i luoghi e soprattutto i modi in cui l’uomo rendeva omaggio ai defunti possono essere definiti dei veri e propri palinsesti della storia, “documenti” che ci aiutano a conoscere le società che ci hanno preceduto, le loro istanze, usanze, mutamenti.
Palinsesti in cui si rintracciano capolavori dell’architettura, che è qui inutile stare ad elencare; è sufficiente fare scorrere la mente dalle necropoli sicane sino alla tomba di Le Corbusier per avere compiutezza di quanto grande sia stato l’apporto della “funzione” morte all’architettura che, attraverso diversi linguaggi (a prescindere dal tipo di fede religiosa) ha sempre espresso sentimento di rispetto dei vivi verso i morti, quasi a volere dare loro continuità su questa Terra, ma con la malcelata incertezza che nessuno sappia cosa realmente ci aspetta dopo la morte se non “’a livella”, così come Totò recitò:
‘A morte ‘o ssaje ched”e?…è una livella.
‘Nu rre, ‘nu maggistrato,’nu grand’ommo,
trasenno stu canciello ha fatt’o punto
c’ha perzo tutto, ‘a vita e pure ‘o nomme:
tu nu t’hè fatto ancora chistu cunto?
Perciò, stamme a ssenti…nun fa”o restivo,
suppuorteme vicino che te ‘mporta?
Sti ppagliacciate ‘e ffanno sulo ‘e vive:
nuje simmo serie … appartenimmo à morte!
Ah! grande Totò! Dal suo monito poetico sono passati solo pochi decenni ma la velocità con cui, nella nostra Era Moderna, i tempi cambiano sembra renderlo anacronistico, soprattutto dopo che gli architetti Lanza e Manfrin hanno avuto l’idea di proporre un cimitero al di fuori degli schemi classici. Infatti, consapevoli del mutamento delle istanze della società, si sono impegnati per dare vita ad un progetto alternativo, moderno, rispettoso dell’ambiente. Un progetto che non prevede più “’a livella” nel significato etico con cui Totò la intendeva: cambiano i tempi e, con essi, anche i luoghi ed i modi di vivere il rapporto con il “caro estinto” ed è così che l’architetto Manfrin ha inverato architettonicamente l’idea di Pier Giulio Lanza, progetto assolutamente inedito, denominato “Cielo Infinito”.
Un’ idea che sembra essere talmente innovativa e geniale tanto che moltissimi mass media se ne sono occupati, persino Domus.
Idea che, considerata consona ai mutamenti che una metropoli qual è Milano deve fare propri per potere essere parte della modernità del XXI secolo, la municipalità ha creduto opportuno fare esporre il progetto all’Urban Center, in Galleria Vittorio Emanuele.
Se tanta attenzione è data alla cosa, anche sostanza ci deve essere. Vediamo.
Dice Manfrin: “Cielo-Infinito“ nasce come alternativa al cimitero classico, in considerazione sia della progressiva mancanza di spazi e superfici idonei a ospitare i luoghi di culto della memoria, sia della tradizione, ma anche dell’evoluzione dei costumi della società.
Dunque, Manfrin ha deciso che i costumi della società si sono talmente evoluti che, per starne al passo, è assolutamente normale progettare, proporre e cercare di costruire un cimitero-grattacielo.
Costumi talmente cambiati che la spazialità e la funzione del classico cimitero non hanno più motivo d’esistere: al giorno d’oggi il cimitero va pensato quale spazio multifunzionale, con annesse aree che possano ospitare eventi della vita di tutti i giorni. Insomma, visti i mutamenti sociali -tipici della metropoli- che Milano sta vivendo (e, soprattutto, quelli che vivrà nel futuro), secondo Manfrin il cimitero potrebbe benissimo essere una sorta di centro culturale ed espositivo, capace di innescare ulteriori attività, sfociando magari nel merchandising.
C’è di più. Un cimitero all’interno di un grattacielo risolverebbe il problema dell’occupazione di aree da destinare a questa funzione, aree vastissime se si pensa che a Milano muoiono in16mila ogni anno. Secondo i progettisti il loro grattacielo/cimitero sarebbe così la perfetta soluzione per ridurre l’impatto ambientale.
L’idea sembra originale tanto quanto l’architettura con cui si materializza.
Ma non è così.
Il cimitero/grattacielo ha un precedente (foto sopra) nel Memorial Nécropole Ecumenica, costruito negli anni ’80 del XX secolo a San Paolo del Brasile; 100 metri d’altezza e 30.000 posti …pardon!… loculi.
Ma Manfrin dà il meglio allorquando si tratta di esprimersi con il linguaggio dell’architettura: è talmente banale che diventa spiazzante parlarne.
Trattasi di un normalissimo grattacielo interamente di vetro, con pianta a sei braccia la cui tipologia dà vita allo sviluppo in verticale di 34 piani, concluso da una grande cupola di vetro posta in sommità del fulcro centrale.
In sintesi, il linguaggio architettonico di Manfrin è di stampo classico, al di fuori della “modernità” e ciò esclude qualsiasi spinta propulsiva che possa dare vita a mutamenti linguistici di rilievo.Il cimitero “Cielo-Infinito” è progetto talmente carente di contenuti architettonici che non vale neanche la pena di dilungarsi; chi sa leggere l’architettura potrà guardare le immagini diffuse dai mass media e farsene un’idea critica.
Ma il paradosso non sta solo nella banalizzazione del grattacielo che (pur nascendo quale luogo di vita e di produzione) diviene qui luogo di morte, ma anche nel considerare tale indirizzo quale elemento a beneficio dell’ambiente, così come si legge da Domus: La creazione di una struttura appositamente progettata, con un basso impatto ambientale e orientata alla valorizzazione delle aree verdi, può offrire tutte le garanzie e le soluzioni ottimali, coerentemente con i principi di civiltà e umanità che contraddistinguono Milano: metropoli moderna e all’avanguardia, ma da sempre sensibile al rispetto e la tutela del proprio patrimonio culturale.
“Impatto ambientale” è definizione a cui spesso ci si aggrappa per rendere più appetitoso un piatto che non lo è di suo, un po’ come quando per dare sapore a pietanze insignificanti le si copre di parmigiano o, per dirla come Popper allorquando parla di cattivi programmi tv, coprirli di spezie/audience.
Non bastasse ciò, anche dal punto di vista delle motivazioni civiche addotte le carenze sono “infinite” poiché esse non possono essere superficialmente generate da considerazioni connesse ai mutamenti dei costumi della società e alla sua conseguenziale evoluzione.
Nonostante tutte queste carenze il progetto “Cielo–Infinito” ha avuto grande risonanza attraverso i mass media, fatto su cui non si può non riflettere.
Ritorniamo a Popper: “Non ci può essere informazione che non esprima una certa tendenza. E ciò si vede già nella scelta dei contenuti, quando si deve scegliere su che cosa la gente dovrà essere informata. Per fare questo bisogna aver già stabilito in anticipo che cosa si pensa dei fatti, decidere circa il loro interesse e il loro significato. Questo basta a dimostrare che non esiste informazione che non sia “di tendenza”. Bisogna scegliere, e il nostro intendimento determina la nostra scelta.”
Pur se riferito principalmente alla televisione, il pensiero di Popper si può traslare anche agli altri mass media: quando si parla di argomenti tesi a “fare cultura” poiché direttamente riconducibili alla società, creandone così i presupposti per influenzarla positivamente, non può esserci differenza tra “informare” ed “educare”.
Dunque, parafrasando il filosofo si può affermare che la diffusione del progetto “Cielo-Infinito” da parte dei mass media significa educare alla cattiva architettura, arrecando un danno ancora più grande di quanto non faccia all’architettura lo stesso progetto di Manfrin/Lanza ,che non meritava assolutamente tutta la pubblicità avuta.
Quello dei mass media generici (ma Domus non lo è…) è atteggiamento che non fa altro che dimostrare quanta ignoranza ci sia in merito all’architettura e alla diffusone dei messaggi culturali che essa potrebbe esercitare ma che, data in pasto a giornalisti neofiti della materia diventa semplice e superficiale informazione/cattiva educazione.
Ma tant’è: quando è lo stesso Comune di Milano a presentare in pompa magna un progetto, i mass media non possono esentarsi dal darne diffusione (ciò valga per mass media generici ma non può certo valere per prestigiose riviste quale Domus è) e riportare l’entusiasmo dei politici milanesi.
Ad esempio, secondo Stefano Pillitteri –assessore ai Servizi civici- il progetto deve fare riflettere “sul futuro dei cimiteri e sui cimiteri del futuro a Milano”.
Per l’appunto, tutto sotto il segno della morte: il futuro dei cimiteri esistenti è destinato a morire poiché il cimitero del futuro li fagociterà; il futuro dei cimiteri del futuro ucciderà l’architettura dei cimiteri diventando semplicissimo business speculativo commerciale.
In effetti, visto dal punto del federalismo fiscale, che il Comune possa gestire i cimiteri anche quali centro servizi /mostre/ bar/ convegni/ ristorante è cosa buona per le sue casse. Lo è un pò meno per chi vorrà andare a pregare per chi sta dentro le casse… poiché si dovrà districare tra molte attività che non rientrano tra quelle riferibili al “valore della commemorazione” di cui parla il Presidente del Consiglio comunale Manfredi Palmeri: “Il valore della commemorazione è stato e sarà indice, frutto e seme di civiltà. Milano, città di profonda coscienza civica, è capace da sempre di rinnovarsi conservando la memoria del proprio Dna, della propria ‘Storia’ e delle singole ‘storie’ individuali: apriamo un dibattito su come tutelare le nostre radici e le nostre tradizioni, anche in relazione al culto dei morti, introducendo in quel solco elementi di innovazione alla luce delle dinamiche sociali, che impongono di dare risposte ai mutati bisogni”.
La cantonata di Palmieri è totale: se -come afferma- il valore della commemorazione deve continuare ad essere seme di civiltà ecco che l’approvare e sostenere un progetto che rinnega in toto la civiltà della commemorazione è sintomo di pressappochismo. Civiltà rinnegata perché l’andare al cimitero significa isolarsi da tutto ciò che è parte del mondo materialista, per vivere nel silenzio e nel raccoglimento i personali momenti di preghiera. E’ dunque inaccettabile la brillante idea dei progettisti di inserire, sotto forma di salette mostra e conversazione,una sorta di sale d’attesa da studio professionale adiacenti alle tombe (che poi tombe non sono: trattasi di loculi, etimologicamente “piccoli posti” dove accatastare o riporre oggetti di poco uso).
Concludo ritornando ad “Amici Miei”.
Per chi ha avuto la pazienza di andare su YouTube e riguardare la scena svoltasi al cimitero non sarà difficile immaginare che non la si sarebbe mai potuta pensare se non in quel tipo di cimitero, ove tutto rimanda al contatto diretto con la morte e a ciò che esso comporta nell’animo di chi è ancora in vita.
Ma ve li immaginate il Necchi, il Sassaroli, il Conte Mascetti e il Melandri girovagare per il grattacielo/cimitero di Manfrin? Anche a loro, che geni dello scherzo lo sono per davvero, passerebbe qualsiasi ispirazione…
A proposito, ecco cos’è “il genio” secondo Amici Miei: “ … è fantasia, intuizione, decisione e velocità d’esecuzione”.
Nulla di ciò è rintracciabile nel progetto di Manfrin/Lanza, dove il mondo dei vivi e quello dei morti non è più separato dall’Acheronte ma da vetrate e setti in muratura rifiniti in perfetto stile modaiolo contemporaneo.
Cambiano i tempi e anche Caronte si dovrà adeguare: lo troveremo al piano terra, accanto la porta dell’ascensore. Se capitasse di non trovarlo lì, si potrà provare al bar o in qualche sala espositiva. Caronte sarà sì di una “ferocia illuminata” ma -che diamine!- anche lui ha diritto ai piaceri contemporanei….
(Paolo G.L. Ferrara – 10/3/2011)