Mi permetto questo intervento per ricordare come, da qualche anno, alla figura dell’Ingegnere Capo delle Pubbliche Amministrazioni sia stato affidato il ruolo istituzionale di professionista autonomo, responsabile quindi, in prima persona, di tutti gli atti amministrativi che gli competono. A seguito di questa epocale risoluzione, molti Comuni hanno cassato dal loro Statuto i comma inerenti la Commissione. In effetti questo Istituto, a carattere meramente consultivo, era stato promosso per offrire un parere, squisitamente tecnico, al Sindaco che, in quanto eletto dal popolo, può non avere familiarità con quanto attiene le normative cui devono uniformarsi i progettisti, a presidio dei diritti e delle esigenze della collettività.
Questa presa di coscienza civile, suggella il diritto ineludibile del cittadino a costruire, nelle aree libere da vincoli storico-ambientali, ciò che vuole, purché nel rispetto delle prescrizioni dei Piani Urbanistici e dei Regolamenti Edilizi e di Igiene. Qualsiasi altra prescrizione dovrebbe infatti risultare sinonimo di censura e, in uno Stato a conduzione democratica, di prevaricazione del potere.
Altra cosa è moderare questo grado di libertà, quando l’intervento edilizio coinvolge immobili o aree classificate patrimonio d’interesse pubblico, per la loro peculiare bellezza o in quanto testimonianza di avvenimenti storici di particolare rilievo. In questi casi, il controllo del livello di qualità dell’intervento dovrebbe essere delegato ad esperti di settore (professionisti, catedrattici e cultori).
Ma cosa si intende per controllo della qualità del progetto architettonico? Verifica del livello qualitativo del prodotto finale dell’ingegno, o vigilanza su quello degli elaborati progettuali necessari alla sua perfetta esecuzione?
La qualità del prodotto finale dell’ingegno infatti non può essere soggetta a codifiche, ne può subire controlli o censure, imperocché è prerogativa dell’artista precorrere l’evoluzione culturale dell’epoca in cui vive, infrangendo le regole e gli stilemi della cultura dominante. La ricerca poi, è alimentata dal dubbio. Codificare il dubbio è come imbrigliare la libertà.
Ma perché l’idea possa essere traslata in un manufatto che ne rispetti ogni peculiarità occorre che risulti alto il livello qualitativo degli elaborati progettuali e della gestione del cantiere. Livelli questi sicuramente codificabili.
Livelli però che, le attuali Commissioni per la difesa del paesaggio mostrano per lo più di disconoscere, quando formulano i loro pareri negativi con affermazioni che, non supportate da una elaborazione critica che ne articoli le motivazioni del giudizio, si disperdono nel blablaismo più vieto.
Frasi come queste, riprese da un verbale della Commissione Paesaggio della città di Milano:
“l’ntervento non risulta compatibile con l’intorno ed in particolare con la cortina edilizia in cui si inserisce.”
“Si invita a verificare diverse e più complesse soluzioni volumetriche.”
“Si suggerisce di considerare un impaginato di facciata libero che cerchi di coniugare gli elementi degli edifici adiacenti sono indicative di una inadeguatezza critica sconcertante e prodomi di nefandezze.”
In quel di Venezia, ad esempio, negli anni cinquanta, fu impedito a F.L. Wright di realizzare il progetto elaborato in memoria dell’allievo architetto Masieri, in quanto, secondo la Commissione giudicante, l’mmobile proposto non si inseriva, giustappunto, nel contesto ambientale, e determinava la demolizione di un edificio giudicato di rilevanza storica. L’immobile che presentava invece un’immagine assolutamente insignificante fu, poco dopo, elevato a monumento nazionale per precludere all’architetto Scarpa di realizzare, nel 1968, un suo progetto. Scarpa, costretto a operare all’interno delle vecchie mura, tentò comunque di conferire una parvenza di personalità, al banale fronte strada, modificandone lo schema compositivo, con l’inserimento di due classici camini veneti e una diversa calibratura delle superfici finestrate. La Commissione è così recare determinare un doppio danno alla città di Venezia, impedendo a Wright e a Scarpa, di offrirle una testimonianza della loro maestria, materializzando, in simultanea, un falso storico.
Vorrei inoltre ricordare come i nostri padri si comportassero nell’istituire Commissioni a tutela del paesaggio.
Racconta infatti il Vasari, nelle “Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti” che, quando a Firenze si dovette decidere dove alloggiare il Davide di Michelangelo venne formata una Commissione di 31 esperti, scelti fra le varie confraternite di artisti. Furono quindi convocati personaggi come: Andrea della Robbia, Il Filerete, Cellini, Riccio, il Ghirlandaio, Filippo Lippi, Botticelli, Giuliano e Antonio da Sangallo, Leonardo da Vinci, Pietro di Cosimo, il Perugino e via elencando.
(Alberto Scarzella Mazzocchi – 1/3/2011)