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Storia e Critica

Utilità e inutilità dell’arte

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Vilma Torselli ha recentemente pubblicato su Artonweb un interessantissimo scritto dal titolo La piazza più bella del mondo in cui sostiene l’indiscusso primato architettonico di Piazza del Campo di Siena.
Nell’articolo, l’autrice si domanda molto pragmaticamente le ragioni per cui un posto dovrebbe essere migliore di un altro, e fa una serie di ipotesi che pescano nell’armamentario culturale dell’architettura degli ultimi cent’anni. Da quella che proviene da una dimensione analitica ed astratta, che riguarda principalmente la geometria e le sue applicazioni, a quella che pesca nell’antropologia culturale e nelle sue dottrine evidentemente umanistiche, fino ad arrivare al provocatorio ribaltamento etico-estetico che lega indissolubilmente un luogo costruito al “costume” dei suoi abitanti.
Tutti questi argomenti, se sono veri in parte, in generale non lo sono. Infatti, per ognuna di queste affermazioni esiste almeno una condizione che ne determina la falsità.
Fuor di ragione non resta quindi che l’Arte per dare “ragione” appunto di qualcosa che questa qualità sembra non possedere. Così Vilma Torselli.
Ecco, allora, alcune mie riflessioni in merito.
Intanto torna alla ribalta un antico problema, tuttora irrisolto. Sono le cose del mondo che si lasciano raccontare per quel che sono, oppure il mondo è solo ciò che, illudendoci, riusciamo a raccontare?
L’Arte potrebbe aiutarci a dare una soluzione e suggerirci il come. Ma non è tutto così chiaro.
Quando sentiamo la musica, osserviamo lo strumento che la produce e cerchiamo di capire come funziona. Ma la musica non è nello strumento. Nel vuoto nessuno strumento suona. La musica è nell’aria e nelle sue vibrazioni. Analogamente, quando ammiriamo un luogo, guardiamo le sue architetture e il modo in cui sono costruite. Ma l’emozione, anche qui, non proviene dagli edifici ma dalle vibrazioni dello spazio e della nostra anima. Vibrazioni che non vediamo e non possiamo studiare con metodo logico e coerente. Vibrazioni che possiamo solo percepire e procurare con strumenti sì molto complessi e sicuramente adatti, ma il cui esito musicale è soggettivo perché dipende esclusivamente dal suonatore.
Ci sono, quindi, e si possono creare un sacco di regole per la scrittura (che è lo strumento che possiamo costruire) ma non ci sono regole per la poesia (che è ciò che vibra).

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L’arte, per sua determinazione, rompe le regole e le tradisce. Solo in questo modo riesce a far vibrare l’anima di chi partecipa.
Sono stato recentemente ad una mostra organizzata da un’associazione culturale che si rifà ai concetti dell’Art Brut e li usa per scopi terapeutici. Jean Dubuffet, pittore francese del secolo scorso, nel 1945 introdusse nel mondo dell’arte le persone, anche psicopatiche, digiune di qualsiasi cultura estetica. E fu un successo perché solo l’abbandono di una precisa coscienza artistica è capace di rinnovare profondamente l’arte. Il ricorso di vari autori a forme di annientamento della propria consapevolezza creativa – tramite l’alcool o la droga – nasce dalla profonda necessità di cercare oltre i confini della propria struttura logica e culturale, particolarmente presente nel mondo occidentale, ben costruita sulle fondamenta della logica razionale. Struttura, per noi, ovviamente fondamentale, i cui risultati sono visibili e pienamente apprezzabili nei miracoli della scienza e della tecnica ma che, al pari di ogni organismo molto complicato e quindi fragile, ha bisogno di continue dosi di anticorpi per mantenersi snello, in salute e soprattutto immune da febbri ideologiche letali.
Come si sa, gli anticorpi più efficaci della cultura li produce solo l’arte, che è tale solo se ci fa vibrare l’anima; cosa che riesce a fare solamente imbrogliando l’organismo di cui si prende cura. Sembra – e sicuramente è – una contraddizione ma funziona molto bene.
Il professor Giovanni Asteggiano, neurologo dell’università di Torino, introducendo l’inaugurazione della mostra, ci ha esposto una condivisa convinzione scientifica secondo la quale una delle forme artistiche più attuali, la pittura espressiva, ha origine nelle aree dell’informale mentale, aree di conflitto e contestazione delle regole comuni, aree che le persone generalmente sottopongono al governo inibitorio del giudizio sociale convenzionale, il quale raramente è disposto a lasciar spazio alla libertà dell’impulso creativo.
L’impulso creativo è sempre liberatorio di una condizione, quasi sempre di malessere, sia per chi il disagio lo subisce da un eccesso di regole etiche, sia per chi lo riceve da una loro patologica carenza. Questa è la ragione per cui nella mostra non c’erano differenze apprezzabili tra le opere di artisti in terapia psichiatrica e le altre, mescolate intenzionalmente in un’unica esposizione collettiva.

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C’è attesa per l’incontro di sabato 16 in casa Ceretto. I fratelli del Barolo hanno invitato nelle loro tenuta Monsordo-Bernardina alle porte di Alba due ministri (Matteoli- infrastrutture) e la neo ministra al Turismo Michela Brambilla per discutere di vino come medium di un territorio. Gli ospiti collauderanno anche il nuovo una piattaforma tipo bolla (avete presente un Lingotto in piccolo) che si protende sui vigneti e servirà da sala di degustazione piuttosto evocante. Il tetto è scopribile come una decapottabile.
Così scrive sulla Stampa di martedi 13 maggio Sergio Miravalle.
Ovviamente, abitando ad Alba, sono andato all’inaugurazione e, alla delusione del bel mondo convenuto per l’assenza della scarlatta Brambilla, ho unito la mia per la presenza di un Daniel Libeskind un po’ spaesato, giunto probabilmente per caso o per intercessione di Davide Rampello, dal 2003 presidente della Triennale di Milano, presente tra i relatori del miniconvegno sul turismo che ha preceduto l’inaugurazione.
Personalmente deluso perché nessuno dei presenti tra il pubblico ha degnato di una qualche attenzione una indiscussa star del nostro mondo. La qual cosa, nel bene o nel male, dovrebbe dare la misura dell’interesse – o disinteresse – della popolazione per l’architettura contemporanea. Al che ho salutato Libeskind, anch’io come si saluta un turista di passaggio, e cosciente della mia (e sua) completa inutilità contingente ho fatto un giro nell’anch’essa inutile ed afosa bolla di plastica che si stava inaugurando. Ne ho colto un principio: se è vero che l’arte è necessariamente inutile, non è vero che tutto ciò che è inutile sia necessariamente arte.
Ma in generale concordo con Vilma Torselli e con l’esigenza capitale di un’arte inutile.
Più inutile e sregolata è, tanto più ci è necessaria.

Nota:
L’associazione citata è Alba Per Te e l’evento è stato la rassegna artistica “Art Brut”, dal 9 al 15 maggio nella chiesa del San Domenico di Alba

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