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Storia e Critica

Galvagni all’università di Genova

Martedì 17marzo, in stradone Sant’Agostino a Genova, l’architetto Mario Galvagni ha incontrato gli studenti della Facoltà di Architettura. L’evento è stato organizzato da Marco Ciarlo, responsabile con Fabrizio Melano e Giampiero Negro dello studio MarcoCiarloAssociati, collaboratore da alcuni anni di Brunetto De Battè nei corsi da questi tenuti nell’ateneo genovese. Enrico Bona, docente di progettazione architettonica nella stessa università, milanese come Galvagni, ne ha introdotto la figura, definendo il contesto storico e culturale dentro il quale l’autore ha compiuto le sue ricerche e realizzato le sue opere.
Tra i convenuti Emanuele Piccardo di Archphoto.it.
Particolarmente ispirato, Galvagni ha tenuto banco per più di due ore calamitando l’attenzione del pubblico e degli studenti. Dalle opere giovanili – casa Silva a Caldonazzo (TN) del 1954, i progetti di Torre del Mare a Bergeggi (SV) degli anni ’60, casa Beretta a Brusson (AO) del 1968 – fino alle opere recenti, i presenti hanno potuto apprezzare la passione e l’impegno di un autore che, lontano tanto dalle ordinanze teoriche delle accademie che dalle lusinghe delle mode del momento, ha saputo percorrere una strada coerente e rigorosa, sostenuta da un’idea forte ma diplomaticamente scomoda, come quella che lega la forma all’architettura.
Scomoda perché l’accusa d’essere la sua un’architettura “formalista, al servizio della speculazione edilizia” ha ostacolato in più occasioni i suoi progetti, boicottandone la pubblicazione sulle riviste culturalmente più influenti, impedendone persino la realizzazione.
Accusa del tutto pretestuosa, ispirata soprattutto da ragioni di bottega, a cui gli indigeni Ordini e Collegi professionali hanno dato voce come nel caso di Torre del Mare, e paradossalmente patrocinata dai gruppi ecologisti, cioè da coloro che dalla scienza ecologica avrebbero dovuto piuttosto ricavarne una dottrina affine.
Accusa ingiusta, come dimostra il coinvolgimento in prima persona dell’architetto nei momenti critici della costruzione di alcune sue architetture, in cui egli stesso è costretto a mostrare concretamente alle maestranze come procedere nella realizzazione di particolari inconsueti e sconosciuti alla tradizione costruttiva. Chiunque conosca minimamente questo mestiere sa, invece, che la speculazione predilige la banalità, ciò che è facile, ordinario e non darà sorprese, per ovvie ragioni di profitto.
Galvagni ha sempre tenuto in massima considerazione il coinvolgimento delle maestranze locali, reali depositari e complici nella promozione e nel compimento della Gestalt Ecologia, “…perché il corpo sociale nel vivere questa situazione in modo complessivo e totale, lo intuisce, lo percepisce. Motivo? Certamente correlato al patrimonio genetico di ognuno di noi.”
Il momento più coinvolgente del convegno si è avuto durante la proiezione dei brevi filmati nei quali, con matura naturalezza, Galvagni commenta le immagini che l’occhio della telecamera riprende con dovizia e devozione strabilianti. L’interazione del mare con la battigia, della luce con il mare, del vento con gli scogli, è documentata con una dedizione estrema e un’attenzione meravigliosamente ossessive.
La naturalezza della sua voce narrante è la stessa con cui egli riesce a tenere legate in un unico filo la fisica teorica, di cui è ricercatore, la curvatura dello spazio, la poesia, la pittura, la scultura e l’architettura.
Lealtà e onestà intellettuali traspaiono spontaneamente dal personaggio e sono talmente evidenti da lasciarci perlomeno perplessi in un momento di rilassamento etico che ha coinvolto in recenti scandali alcuni architetti emergenti, accademicamente accasati proprio nell’ateneo genovese. Questa credo essere la lezione principale che è possibile ricavare dall’incontro, capace di trasmettere agli studenti principalmente quelle virtù umane che sono presupposto essenziale di ogni qualità espressiva, qualsiasi essa sia.
“Io me ne starei sdraiato in spiaggia a prendere il sole, ma è lo scoglio che mi chiama e mi dice riprendimi”.
Le cose del mondo ci parlano. Sta a noi dare ascolto.

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