“È un’esplosione di libertà per l’architettura: molto nobile, perché sarebbe più facile andare d’accordo con la mentalità stagnante. Gjra, Legnani, Paoletta, Caraman, Cancellotti, Michelucci, Cereghini, Frette e Rossi e altri buoni architetti non sono, per ora, compensati come dovrebbero di commissioni. Le commissioni vanno ancora in largo stile a quei maneggioni di cui abbiamo altra volta discorso.
Ma l’atletico Terragni fa vedere ai visitatori come si fa a costruire in barba alle commissioni d’ornato, nella sua Como patria di Sant’Elia.
Per concludere, questa esposizione segna il risveglio più carico di domani dell’architettura italiana. Non è possibile precisare teorie e notare delle esegesi minuziose: preso in blocco, questo sforzo giovane ed alacre si può giudicare come un principio di rinnovamento. I frutti li avremo alla buona stagione, quando la polemica per il gusto moderno avrà raggiunto gli scopi di moralità cui tende. Il fatto, per ora, è.”
Così Pietro Maria Bardi, recensendo “LA MOSTRA D’ARCHITETTURA RAZIONALISTA”, tenuta a Roma lunedì 30 marzo 1931. Ci sono riferimenti a maneggioni che si spartiscono le commissioni, al domani dell’architettura italiana e ai contenuti di moralità che la modernità aveva tra i suoi scopi principali. Ora, al di là del dato che ci dice in Italia quasi nulla essere cambiato – se non il fatto rispetto al passato che accademia e progresso ora sembrano parlare dallo stesso pulpito – mi preme fare una riflessione sul ruolo della critica rispetto ai fatti di cronaca che coinvolgono la correttezza e la moralità dei comportamenti. Un critico, per il ruolo che riveste e per la funzione che esercita, ha il dovere di vigilare sulla correttezza e onestà dei comportamenti che portano a fare l’architettura, perché solo ciò che viene costruito ha importanza e rilevanza storica. Nelle cose degli uomini, nell’architettura in particolare, conta solo ciò che si fa e che resta, sottoposto al giudizio del tempo. Purtroppo non ci sono risorse per realizzare tutte le idee. Questo è un destino che dovremmo riservare a quelle migliori e più innovative. Le idee ripetute, quelle ricalcate o rubacchiate, quelle truccate o intellettualmente false, sono solo uno spreco di tempo e di soldi, che ci rende più poveri e, a lungo, ci ruba anche la speranza. Lo sanno bene i regimi dispotici che, ovviamente, non tollerano nessun rinnovamento e nessuno strumento comunicativo che possa alimentarne il desiderio.
Ottenere commissioni barando, quindi, è oltraggio al bene collettivo più che alla giustizia privata. È una colpa grave, denunciare e condannare la quale giustifica ampiamente le risorse che una società civile deve destinare al lavoro di chi ha il compito di giudicare cosa vale realizzare e cosa no. Perché il giudizio sia efficace occorre nondimeno che i critici siano sinceri, onesti e preparati e che la competizione propedeutica alla realizzazione delle opere sia corretta e regolare. Qualità che chiamano in causa la moralità delle persone e dei comportamenti, in assenza o carenza delle quali, per converso, dovremmo trovare traccia nelle opere illecitamente realizzate o proposte per la realizzazione. Questo è il punto. Della disinvoltura etica con cui certi maneggioni fronteggiano concorsi, colleghi, incarichi e carriera è possibile trovare riscontro nelle loro architetture?
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