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Auguri 2009

Diciamoci la verità. Negli ultimi due anni ci siamo annoiati, sbirciando inutilmente qua e là per vedere se le archistars onnipresenti e super impegnate del pianeta avessero qualcosa di nuovo e concreto da dire. Inutilmente, appunto.
Vi giuro che l’amarezza conseguente la noia è stata tale che più volte mi sono chiesto se valesse ancora la pena dedicare tempo ed energie a una battaglia che poteva solo essere persa per mancanza di esempi credibili.
Modelli che antithesi aveva promosso con entusiasmo, quando pareva che nuova linfa provenisse dall’architettura di strada, presa nei sobborghi, dall’arte trovata cercando nel mondo delle cose e non in quello delle idee.
Modelli senza più visioni che ora, nelle loro inutili repliche, sono finite nel tritacarne dell’ideologia del profitto proponendosi come vetrina dello spreco e dello sfarzo, esibendo gli attributi come avide puttane di lusso, contraddicendo la ragione stessa del loro essere tali.
L’arte di strada, delle bestemmie innalzate a poesia, ha bisogno di un contesto etico imperativo, senza il quale le bestemmie restano offese e la volgarità finisce in vomito. Il valore delle cose non è nelle cose in sé, ma nel contesto etico che richiamano. Le parole volgari non sono volgari in quanto parole; lo sono quando appartengono a frasi disgustose. Le frasi possono essere volgari; non le parole. Questa è la stata la lezione della Pop-Art e di tutto quello che ne è seguito, ultime archistars comprese. Ergo, senza contesto etico, il messaggio va a farsi fottere.
S’è dovuta aspettare la Biennale 2008 e la capitolazione finanziaria di fine anno per farsi un’idea delle ragioni di un tale disastro. “Andando a ripassare quel che si è visto quest’anno nella XI Biennale di Architettura di Venezia, si scopre così che il castello di carta della finanza era già lì in bella mostra, sotto gli occhi di tutti. Un’architettura fatta di apparenze, dove la parola “edificio” non ha alcun significato tanto da identificarsi nella tomba stessa dell’architettura, come ha fatto il curatore della Biennale Aaron Betsky.” Così Philippe Daverio su RAI3 – Passepartout – Edifici di carte (vedi la puntata–>), in onda domenica 30 novembre 2008 alle 13,20.
Difficile dargli torto e impossibile ignorare il fatto che probabilmente siamo giunti alla fine di un capitolo tanto breve quanto importante della storia e dell’architettura contemporanea. Quello a cui abbiamo assistito in quest’ultimo decennio non è un punto di partenza; è un punto d’arrivo. Questo nuovo a cui tutti abbiamo creduto, sorto dalle ceneri della spazzatura postmoderna, mostra inesorabilmente il suo limite teorico che sta proprio nella sua spregiudicata natura effimera, ipotetica, fiabesca. In un attimo, delusi dalle promesse un po’ infantili del profitto per tutti, ci siamo resi conto che forse un buon vino vale e va pagato per quel che è e non per quel che sembra. Ci siamo illusi di fare facili affari e l’architettura ci ha dato una mano. Questo sembra dirci Daverio.
Ma Zevi diceva l’architettura essere quintessenza di civiltà. Se è vero, come credo fermamente, allora bisogna cambiare. Come? Semplice. Cercando e rovistando nella metà del secolo scorso. Di là tutto è iniziato e tante strade sono rimaste ignote perché chiuse dalla necessità ideologica di un pensiero unico.
Un’ultima considerazione su quanto sta avvenendo nel nostro bel paesello.
Non è una sorpresa che vengano a galla imbrogli e intrallazzi. In Italia la concorrenza leale è pura utopia, dai tempi delle corporazioni medievali fino ai fasci del trentennio, per giungere ai giorni nostri governati da ordini, collegi, e altre armate per la tutela dei privilegi. Ciò che sorprende è che il sistema concorsuale per l’aggiudicazione dei lavori, così come vige attualmente, convinca i più d’essere strumento garante di giustizia e qualità. Sembra che sia sufficiente fare un concorso regolare per garantire la qualità del risultato. Purtroppo, siamo talmente carenti di quell’aspetto formale che è la regolarità della competizione, che non mettiamo minimamente in dubbio l’efficacia dello strumento. Eppure non è difficile capire che la qualità di un risultato dipende dalla qualità dei giurati. Giurati mediocri o ideologicamente programmati promuoveranno progetti mediocri o ideologicamente programmati, anche se tutto avviene nella massima regolarità. Tutto questo lo sanno molto bene i nostri bravi architetti presi con le mani nella marmellata. Sono talmente convinti d’essere bravi che, siccome il concorso per senso comune premia i migliori, ritengono un loro preciso diritto aggiudicarselo in un modo o in un altro, senza tante storie sulla lealtà e per il bene dell’architettura. In effetti, non sanno neppure loro se vincono i concorsi perché sono bravi o se sono ritenuti bravi perché vincono i concorsi. Si chiama sindrome del coglione. Ne sono afflitti i vecchi benestanti che stanno con giovani ballerine. Per questa ragione truccare i concorsi non conviene.
Ma non m’interessa ora entrare nel merito di questi. Mi preme invece portare la riflessione su un aspetto diverso, che è quello che riguarda le connivenze tra ordini, architetti e università. Il sistema, se di sistema si tratta come appare dall’inchiesta giudiziaria, non può assolvere nessuno dei soggetti senza i quali non è possibile in Italia fare la professione. Senza queste fondamenta da noi non puoi nemmeno far richiesta di cambiare le piastrelle del bagno.
In cima alla piramide c’è un sacco di gentaglia? Scuotiamo le fondamenta: nessun valore legale per le lauree e abolizione degli ordini professionali. Libera competizione. Non è poi così difficile.
Infine un augurio a tutti per un 2009 che disattenda le premesse e rispetti le promesse.
Un augurio particolare a Paolo G.L. Ferrara. E un ringraziamento per aver saputo tenere in piedi antithesi, contrariamente a me, credendoci. Con la sua convinzione e sagacia è un esempio per tutti noi e merita tutta questa pubblica dichiarazione di stima.


Postilla
A puro scopo dissauasivo di termini come qualunquismo, pressapochismo, grillismo e altre ingiustificate accuse che potrebbero venire da ulteriori commenti non appena si tocca il tema degli ordini e dell’università, di seguito propongo i seguenti link di approfondimento:
Ordini professionali contro l’architettura di Beniamino Rocca – 29/7/2003
La qualità dell’architettura per legge – di Sandro Lazier – 8/8/2003
Abolire l’ordine degli architetti – di Sandro Lazier – 2/11/2003
Ancora sull’abolizione dell’ordine degli architetti – di Sandro Lazier – 26/11/2003
Sulla riforma dell’ordinamento professionale – di Alberto Scarzella Mazzocchi – 19/10/2006

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