“E’ una superstizione perbenista quella
che pretende che non sia “comme il faut”
parlare di ciò che ti tocca personalmente.
Al contrario: di cos’altro possiamo parlare
fino in fondo e “pour cause”? Inoltre vi
sono parole e azioni di tale impudica
protervia, di così miserabile ipocrisia che,
per quanto minimo sia il loro raggio
d’azione, si qualificano subito come
crimine estetico contro l’umanità. Il
lasciarle correre può essere perciò anche
peggio di un’omissione e virare
impercettibilmente verso la complicità:
bisogna farsene carico a costo del
ridicolo”
Cornelius Lathbury
Domenica 16 novembre ero a pranzo da mia sorella.
C’erano: mia zia, le mie cugine, mia madre, l’altra mia sorella, mio figlio piccolo e mia moglie. Abbiamo mangiato: anelli al forno (senza le melanzane perché a una delle mie cugine non piacciono) involtini alla palermitana, insalata, una torta al cioccolato, pistacchio e nocciola e dei deliziosi tranci alla ricotta e alla mousse di pistacchio.
Avevo appena finito la torta che sento la suoneria del cellulare.
E’ un amico: “Capisco che è domenica e tu sei a pranzo, ma questa non te la puoi perdere. Accendi la tv, rai uno, Domenica in. Subito. Ciao.”
E, misteriosamente, riattacca.
Un pranzo in famiglia non è un pranzo di gala; certe deroghe all’etichetta si possono pure fare. Perciò mi scuso e, incuriosito, mi alzo da tavola e mi porto a tre metri di distanza, dove c’è la televisione. Accendo e sintonizzo su rai uno.
La prima faccia che appare è quella di Stefano Zecchi.
Già questo mi provoca disturbi alla digestione.
Insomma, non è certo il dopopranzo che avevo preventivato. Io già mi disponevo ad accomodarmi sul divano con un bicchiere di Jack Daniel’s e, magari a fare (finta) di giocare una partita a scacchi con mio figlio.
Tuttavia mi dispongo all’ascolto e alla visione, rassegnato.
Lo Zecchi è uno che parla di tutto, perciò non si può certo desumere, dalla sua sola presenza, l’argomento della discussione. Si potrebbe parlare dei miracoli di Padre Pio, dei tradimenti dell’isola dei famosi e di qualsiasi altro anello della catena di sant’Antonio che congiunge questi due estremi, passando attraverso le tragiche vicende della principessa del popolo e le battute di spirito di qualche coglione sull’abbronzatura dei neri. Dopo sei parole capisco che non si chiacchiera di nessuno di questi fondamentali argomenti (probabilmente se n’è trattato prima). Il tema della discussione, invece, è oggi quello dei raccomandati e delle raccomandazioni. Dopo Zecchi intervengono, infatti, anche Mario Giordano (direttore di un giornale veramente indipendente che appartiene ai Berlusconi ma, per equanimità, prende anche i soldi dello Stato) Pippo Baudo e Bruno Vespa (un altro noto libero pensatore). Tutti pratici, si capisce, di raccomandazioni. Cazzo, penso, Davide (l’amico che mi ha telefonato) la sua dose di Jack Daniel’s deve essersela già fatta fuori: perché mi ha chiamato? Che me ne frega di Zecchi che parla dei raccomandati con Bruno Vespa?
A un tratto ecco che i pixel dello schermo si dispongono magicamente mettendo a fuoco una faccia che mi è nota in un modo diverso da quello delle altre facce che ho visto fino ad ora. Faccio mente locale e realizzo che io, quella faccia, l’ho già vista da qualche parte, quando, sotto la faccia, appare una scritta: “Maurizio Oddo, architetto e ricercatore universitario”.
Ecco chi è: abbiamo fatto il concorso per ricercatore insieme!
Anche lui è un esperto di raccomandazioni? Evidentemente sì, perché, se no, che ci sta a fare lì?
Lui puntualizza: “Io rappresento un’eccezione eccezionale, avendo vinto il concorso per ricercatore, eccezionalmente, senza raccomandazione, dopo ben tredici anni”.
Tredici anni di che?
Di raccomandazioni andate a vuoto? No.
Tredici anni e basta. Tredici anni a prescindere.
Lui, insomma, è eccezionalmente presente nella veste di quell’eccezionale eccezione che dopo tredici anni (forse bastava arrivare a quindici e lo nominavano d’ufficio) ha vinto un concorso per ricercatore universitario.
Allora capisco il senso della cifra e di quella faccia: lui è uno che sarebbe dovuto diventare ricercatore tredici anni fa, ma, per via di raccomandazioni mancate o andate a vuoto, ingiustamente non lo divenne. Lo è divenuto, eccezionalmente, adesso, perché il tempo è galantuomo.
Il dibattito prosegue, ma io mi fermo lì.
Mi avvento sulla bottiglia di Jack Daniel’s lascio perdere gli scacchi (facendo un favore a mio figlio che può così dirottarsi sul computer) e faccio sì che i pensieri si dispongano in fila per uno.
Questo signore, dunque, io lo conosco personalmente.
E’ uno di quei formidabili compilatori di schede progettuali altrui che, raccolte in tomi si accumulano fino a divenire monografie, e che vengono poi commentate da periodi le cui tracce si perdono nelle azzurre lontananze di una fiabesca e imperscrutabile sintassi.
A titolo di esempio ne voglio riportare qui uno, espressivo, con cui l’architetto Oddo sintetizza il contenuto del libro che, a tutt’oggi, rimane il suo capo d’opera: “Pur senza addentrarsi nelle futili diatribe degli storici dell’architettura su inutili specificità, che nell’economia di un quadro complessivo non servono, accettando la divisione in decenni del secolo appena trascorso, secondo una operazione semplificatrice che tende a prolungare gli effetti di singoli fenomeni su un arco temporale più ampio rispetto al loro primo manifestarsi, nelle pagine che seguono sarà descritta e analizzata, nell’arco di tempo considerato, l’architettura in Sicilia com’è davvero, anche nei suoi turbamenti profondi, senza incorrere in facili provincialismi, lontana dall’ossessione dell’originalità che, come scrive Alvaro Siza nel sottolineare l’importanza del regionalismo critico – a cui faremo costante riferimento – è atteggiamento incolto e superficiale.”
(Architettura contemporanea in Sicilia, M. Oddo, pag. XXVII).
E’ evidente che chi scrive d’architettura in questa maniera si raccomanda da solo: perché mai qualcuno dovrebbe prendersi la briga di raccomandarlo?
Una volta, accoratamente, l’Oddo mi chiese un pezzo (da lui definito “straordinario”, in tempo reale a pag. XXV del medesimo volume, il che conferma la sua propensione all’uso dei superlativi) proprio per questo incunabolo triste e ponderoso sull’architettura contemporanea in Sicilia.
Pezzo che, malauguratamente, scrissi e che oggi si trova incastrato tra un pensoso pistolotto di Franco Purini e quel periodare dissenterico e acquerellato di cui ho fornito un breve esempio (il libro, per saperlo, consta di 862 pagine, di cui 59 scritte da Oddo e il resto da altri, fra i quali, come ho detto, quel povero testa di minchia del sottoscritto).
Il volume era stato, infatti, messo insieme giusto in tempo per “fare titolo” al concorso per ricercatore universitario al quale anch’io, come un coglione, mi avventurai a partecipare.
L’architetto Oddo, infatti, vinse il concorso ed io mi trovai, come mi capita più spesso di quanto sarebbe auspicabile, ad aver contribuito, alacremente, alla mia medesima defenestrazione.
Il concorso si svolse il 14, 15 e 16 maggio 2008, ma il 27 maggio alle ore 20.10 ricevo una bella mail dall’arch. Oddo nella quale, fra le altre cose, c’è scritto (cito testualmente…l’uso del congiuntivo e della punteggiatura non fanno parte del bagaglio culturale richiesto a un vincitore di concorso, quindi non fateci caso):
“Tu penso non abbia nessun problema, a parte la tua preparazione e la tua bravura, il tuo nome girava da tempo immemorabile nella facoltà palermitana.
I problemi – direbbe un siciliano doc, cazzi sua – sono del secondo candidato di cui, anche in questo caso, qualcuno conosce il nome o gioca alla roulette russa.”
Il mio nome, dunque, “Girava da tempo immemorabile nella facoltà palermitana”…ma tu pensa come se la sono presa nel culo i bookmakers!Dirò per dovere di cronaca (i posti in palio erano due, come s’è capito) che quel “secondo candidato” (o primo, non saprei…) il quale, caso ancora eccezionale, si aggiudicò la famosa roulette russa si chiama Marzullo Calogero.
Costui, sembra, ha prodotto, eccezionalmente, un volume (di cui non posso citare nulla perché non è rintracciabile) così intitolato: “Sequenze. Caratteri distributivi degli edifici. La abitazione”. Tale volume però recava, sempre in via eccezionale, una prefazione scritta, appunto, dal professore ordinario che si trovava, eccezionalmente, a presiedere la commissione del concorso di cui stiamo parlando: l’Arch. Prof. Ord. Marcello Panzarella.
Questo però non deve meravigliare, giacché si dà il caso, sicuramente eccezionale, che il Marzullo Calogero era assistente del Panzarella.
Eccezionalmente parlando.
Se nessuno lo conosce non ha importanza: lo conosceva bene il saggio che doveva conoscerlo e giudicarlo. Siamo, come sempre, su un piano perfettamente, correttamente, infattamente e quantamente, salomonico.
Ma, dal momento che il concorso era dedicato alla progettazione architettonica oltre alla scrittura contava, si dirà, l’architettura.
Giusto.
E infatti, in via sempre eccezionale, dell’architetto Oddo è noto un progetto (non finito: una casetta per vacanze) e, dell’architetto Marzullo Calogero, nessuno. Non solo. Tuttavia, visto che si trattava di progettazione architettonica, anche i titoli accademici dovevano avere il loro peso: infatti l’architetto Oddo detiene sì un dottorato, come parecchi di noi poveri minchioni che si partecipava ingenuamente al concorso, ma contrariamente agli altri e al sottoscritto (il cui dottorato era, come avrebbe dovuto essere ovvio, in “progettazione architettonica”) il suo era stato conseguito, in via eccezionalmente eccezionale, in “storia dell’architettura”. Evidentemente, l’essere specializzati in storia dell’architettura dovendo insegnare invece progettazione architettonica non è cosa che guasta il sangue a nessuno, gli studenti si adattano e la commissione di concorso pure.
Anche ad un cardiochirurgo andrebbe benone essere specializzato in storia della medicina: il paziente, tanto, pazienta. Per definizione.
Però Dura lex, sed lex, e l’Arch. Prof. Ord. Marc. Panz., presidente della commissione, ha fatto bene a non guardare in faccia nessuno: né chi ha pubblicato decine di progetti in riviste di non secondaria importanza (italiane e non), né chi, da dieci anni, sta nel comitato di redazione di una delle riviste di architettura più importanti del mondo e ci ha scritto parecchie volte e neppure chi, avendo all’attivo parecchie decine di pubblicazioni (sia cartacee sia in rete, nonché qualche libro) protervamente osava candidarsi non certo a un posto di ordinario, ma a un semplice posto di ricercatore. Egli è andato per la sua strada ed ha, invece, assegnato il posto a chi di dovere. Un professore integerrimo e tutto d’un pezzo. Cos’altro potrebbe meglio provare la sua incorruttibile incorruttibilità?
Non dimentichiamo, inoltre, che qui si parla di galantuomini, via.
Anche il presidente della commissione, Arch. Prof. Ord. Marc. Panz. è, infatti, un caso eccezionale.
Perché neanche lui è mai stato raccomandato.
Da nessuno al mondo.
Nevermore.
Non ci pensate nemmeno.
Da ordinario annovera tra i suoi titoli un solo libro interamente a suo nome, di circa sessanta pagine (la metà occupate da figure) pubblicato negli anni ottanta e intitolato “Diario di architettura”. Purtoppo, com’è naturale, non ce n’è più traccia, ed è un vero peccato perché, da quel che ricordo, se ne potrebbe stralciare un istruttivo florilegio.
Ma, si dirà, l’Arch. Prof. Ord. Marc. Panz. insegna progettazione, non teoria e neppure storia dell’architettura. Tiene, appunto, laboratori di progettazione.
Certo.
Di questo architetto sessantenne le cronache, effettivamente, riportano un’opera di architettura. Essa se ne sta, malinconica, sul corso principale di Cefalù abbacchiata da trent’anni di abbandono, libresca e polverosa quasi quanto il suo autore: che se gli dai una pacca amichevole sulle spalle la tosse viene a te e non a lui.
La sua monografia comincia e si conclude con quella.
Non importa.
Ciò che importa è che, finalmente e dopo tredici anni, in via eccezionalmente eccezionale, l’Oddo e Marzullo Calogero non erano raccomandati.
Tant’è che Oddo è andato, per ogni buon conto, a metterlo seriamente e fieramente in chiaro a Domenica In, che, com’è noto, è oramai la sede accademica adatta a dirimere le questioni inerenti all’università italiana dibattendone assieme a Bruno Vespa, Pippo Baudo e Mike Bongiorno al quale, del resto, non manca la laurea ad honorem.
I miei complimenti, dunque, all’eccezionalmente eccezionale ricercatore Maurizio Oddo che non è stato raccomandato da nessuno (anche se devo tirargli le orecchie affettuosamente perché s’è dimenticato di precisare che neanche Marzullo Calogero è stato raccomandato).
I miei complimenti all’eccezionalmente eccezionale Arch. Prof. Ord. Fut. Pres. Fac. Arch. Marc. Panz. che non solo non è mai stato raccomandato, ma non ha mai permesso che gli fosse raccomandato qualcuno.
Infine i miei complimenti a chi ha invitato Maurizio Oddo a quella trasmissione come simbolo della giustizia trionfante ed eroe dei nostri tempi.
Evviva l’Università, evviva la Ricerca, evviva la Televisione, evviva la Patria: rendiamo lode per esser nati e vivere in questo meraviglioso paese.
Andate in pace.
Amen.
(Ugo Rosa – 21/11/2008)