Ho sul tavolo due libri, di cui mi hanno chiesto recensione, e ne approfitto della casualità per mettere in relazione i due mondi cartacei che sono: “Franca Helg” (Di Antonio Piva e Vittorio Prina, Ed. Franco Angeli) ed “Arie Italiane” (della Collana IT Revolution in Architettura, diretta da Antonino Saggio per EdilStampa).
Apparentemente non c’è relazione, il primo storico e l’altro ricognitivo, ma il filo rosso guarda caso può essere la nostra professionalità vista come continuo impegno civile.
Antonio Piva & Vittorio Prina curano e presentano “La gran Dama dell’architettura italiana” in duecentoventitre pagine fitte/ fitte come sono quelle della linea Franco Angeli (che veste ancora quel taglio della collana storica di Massimo Scolari) con trentun pagine di documentazione fotografica.
Una monografia che ci voleva e contraddice la mostra in corso alla Triennale visto che l’ombra di Albini copre i collaboratori.
Saltando da un libro all’altro, come suggeriva Giuseppe Pontiggia per una liberata lettura, si scopre in Antonello Marotta & Paola Ruotolo una raccolta in novanta pagine dei “Motivi dell’architettura italiana recente” ARIE ITALIANE; finalmente un sapiente lavoro di tematiche e categorie strumentali.
E’ guardando e scorrendo l’indice per capitoli e sottocapitoli che appare evidente la rilevanza di uno studio teorico dei lavori presentati.
Perciò nessuna enfasi di parata dei più bravi e dei più belli & fortunati, ma semplicemente ricognizioni di documenti già circolanti e conosciuti ma riorganizzati in stratigrafie, immagini ed immaginari messi a prova da tensioni, derive, margini….
Credo che questo libretto mette a fuoco un divenire prossimo strumentale, superando un poco l’enfasi delle riviste che rincorrono ancora la cubolitoarchitettura o le piramidi di vetroresina.
Antonino Saggio apre introducendo alle occasioni specifiche, architettura e rivoluzione informatica, così come Bartolozzi và oltre l’Italia, altrove.
Questo libretto è tanto interessante da porre le basi sulla riflessione di prossimi strumenti da adoperare, di introdurre processi legati al design ed all’architettura degli interni a trasposizioni esterne.
Non più solo lo spazio percettivo visivo ma umorale, sensitivo coinvolgente, comunicativo informativo, dinamico.
L’innesto di materiali non materiali (immateriali).
Così risaltando al libro su Franca Helg si può scorgere questo affine passaggio della gentile leggerezza pur rimanendo ancorata alla tradizione del M.M., infatti i suoi scritti sottolineano queste tensioni al nuovo giostrando con il già costruito & tradizione abilmente suggerendo e chiamando Albini (mi pare) ad uno strappo di giovinezza (si direbbe una botta di vita).
Certo che si apre anche una finestra sul ruolo straordinario delle dame nell’architettura che con fare sapiente e liberatorio propongono ed attuano sdoganamenti di partite imbroccate su stilemi suggerendo spiragli a quella fissità che si ponevano le categorie della modernità.
Helg è gran dama e sottile intercettatrice di impercettibili disegni.
Così nelle “nuove generazioni”, dove nei componenti dei gruppi sono presenti ed emergenti, si rinnovano più che sulle nuove tecnologie di rappresentazione sul e nel rimescolare dentro l’architettura radicale rileggendo ed interpretando ai fini, non più provocatori e programmatici ma, strumentali e realizzativi.
Queste traiettorie differenti per anni e spinte progressive osservati su una rotazione di piano inclinato si allineano in anamorfosi e s’intersecano appunto su temi, dove il sensoriale emerge come tema di nuove dimensioni dello spazio.
Da tempo, spazio e architettura si è passato a spazio relativo ed ancora a cronometrie & cronologie dove spazi s’incrociano s’intersecano in collisioni di tempo.
Luoghi dimensionali dove il corpo può perdere peso, essere proiettato, ingigantito tanto da diventare edificio videoproiettato… la Musa dell’Architettura s’interroga della molteplicità degli sguardi il caleidoscopio è nuovo strumento al posto del cannocchiale (diritto e rovescio) ed altre
dimensione come lo spazio suono&luce oltre ai profumi&sapori (dimensioni dimenticate intorno al Plinio il Vecchio).
Che dire due libri significativi e importanti…
Ma non c’è due senza tre!!!
Ops ne sbuca un terzo!!!
E’ di Laura Vinca Masini: “Mario Galvagni – La ricerca silente”, e fa parte della Collana “Storie di architettura” (Clup), a cura di Paolo GL Ferrara e Sandro Lazier.
Ho incontrato Mario Galvagni ad Alba, in occasione del seminario “Architentare” in una giornata di fine settembre.
Era l’ occasione per presentare la sua monografia appena fresca di stampa .
Vergato e trattenuto il suo libro, abbiamo scambiato tra amici una traiettoria di quel poteva essere l’orizzonte critico e teorico, sia del libro che della collana.
Laura Vinca Masini, autrice del libro, ha confermato come sempre la splendida lucidità critica nel dare saggio e dando contesto ad un personaggio, che a parte Bruno Zevi, la critica aveva un po’ trascurato.
Poi perché dio solo lo sa ; quando dentro le facoltà intorno agli anni 50/70 c’erano discipline formative di ricerca formale come disegno dal vero, plastica ornamentale, decorazione etc. dove i tenenti cattedra comparivano sui tabelloni in bella vista nomi di illustri pittori o cultori di forme ma per la critica forse c’era altro.
Finalmente la riscoperta di questa figura a profilo alto e di straordinaria ricerca appariva nella stesura dell’Arte del novecento incastonata tra Aldo Loris Rossi e Costantino Dardi.
Questa storia di mano sempre della Vinca Masini anticipava questa raccolta che è un compendio concentrato in centodue pagine presentata in “storie d’architettura” e conferma la straordinaria ragionevolezza di far luce nei punti oscurati della storia e delle storie, o meglio una messa a fuoco più lenticolare e meno emergente dai processi della comunicazione.
Ferrara & Lazier, come curatori della collana hanno fatto centro con questo libro, riaprendo un capitolo che fa parte della nostra cultura sperimentale, di quel mondo pieno di ricchezze formali, di ricerca, di passione, di utopia…
Così ritroviamo d’Olivo, Soleri, Ricci, Michelucci, Sacripanti, (se vogliamo un Portoghesi)… sino ad arrivare a Pesce e Dalisi, tutti un poco emarginati e con fortune diverse.
Di Galvagni me ne parlò Giancarlo De Carlo in maniera molto interessante e interessata, chissà forse non colsi l’opportunità, forse intendeva orientarmi ad una possibile ricerca per la rivista Spazio & Società, e di lì in poi fu una mia messa a fuoco sul quel lavoro e sue opere sulla “ecologia formale”.
Ma torniamo al libro che ha il valore documentale di una guida, finalmente!!!
Che permette di stendere relazioni spazio temporali e parallelismi di ricerca. Un super concentrato di notizie, riferimenti, piante e sezioni, foto, modelli , ricchissime informazioni in una dimensione agile e non tediosa.
Lo scritto introduttivo di Laura Vinca Masini è solare, rischiara tanto da trasmettermi quella immagine pubblicitaria famosa del quotidiano “il giorno” che spalanca le finestre sui nuovi paesaggi tracciando arcobaleni che vanno da Finsterlin a Safdie e dalla pittura e ricognizioni plastiche (certe volte vicino a Scannavino) alla partecipazione di Calice Ligure.
Insomma un libro che vale per la sua particolare necessità di esistere ed aver saturato una mancanza nella sfilata delle monografie, ma vale anche per la necessità critica di fare il punto sulla ricchezza degli studi, ricerche e del patrimonio figurativo che si è prodotto sin qui senza dover inseguire (distratti) mode di volanti olandesi o sperimentatori tecnofinelici.
Mario Galvagni dimostra che si può costruire nel già costruito (senza inventare come usa oggi città solide o filosofie di rinnovo) e nel paesaggio con modernità e eleganza, articolando artificio e natura in una dialettica integrata.
E’ notevole come alcune ricerche formali nella modellazione degli spazi, nell’indagare esplorazioni spaziali tra le foglie d’agave ne risulti una corrispondenza alla realizzazioni di alcune “comuni” negli Stati Uniti, comunardi luoghi d’abitare come “eco-forme”integrate nei processi di inserirsi nel paesaggio naturale.
Una simile storia accadde a Fuller per Droop City.
Ritornando a noi e a quei momenti italiani non possiamo trascurare Luciano Baldasseri, Manfredo Nicoletti e Sergio Musmecci altri indagatori di forme…
In ultimo e finalmente il Marcello Pazzaglini (Metamorpf) inserisce il nostro Galvagni nel tascabile “Architettura italiana negli anni ’60 e seconda avanguardia”.
Bene, auguriamoci che questa collana di “Storie d’Architettura”continui questa scoperta di talenti in modo tutto trasversale ed autonomo nella critica da trincea.
(Brunetto De Batté – 19/12/2006)
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