Paolo Soleri è un uomo contro. Dietro un aspetto mite, dietro i comportamenti misurati e gentili del piemontese, dietro i modi schietti e gli abiti dello scienziato vi è un uomo dalla volontà indomita, dalla forza rara e dalla visione ardita.
Era già un uomo contro quando, dopo la laurea al Politecnico nel 1946, partì “on the road” su un camioncino riattato – eravamo nel 1950 – alla scoperta di un modo diverso di vivere e di fare l’architetto. Il padre, che gli aveva trasmesso la serenità quotidiana della rinuncia, produceva ceramiche isolanti per l’elettricità e Soleri andò verso il sud e il sole che porta nel nome con il desiderio di imparare l’arte della ceramica. Approda nella stupefacente costiera amalfitana e a Vietri, oltre a imparare la tecnica, progetta e realizza uno splendido edificio per la produzione della ceramica. La concezione della fabbrica Solimene è ardita ed originale. Si tratta di un grande spazio cavo come fosse una radura o una cattedrale attraversata da alberi pilastri. Una rampa avvolgendosi sui pilastri e alzandosi a spirale, ospita i diversi spazi della produzione: in basso la vendita, poi a salire la pittura, la cottura, la modellazione, lo stoccaggio del materiale con una organizzazione, tra l’altro, di grande efficienza e di logica indiscutibile. La luce cade zenitalmente da grandi oblò e a penetrare attraverso fessure e feritoie sagomate in una specie di corteccia di tartaruga multicolore che è la facciata. E poi l’edificio si aggrappa alla roccia e organizza il paesaggio e le abitazioni della famiglia. Un capolavoro.
La sovrintendenza d’allora quasi riuscì a bloccarlo; poi, negli anni Ottanta, si rifiutò di apporvi il vincolo per il diritto d’autore, anche se l’incartamento era stato promosso da un suo funzionario, oggi però, e ne siamo tutti lieti, una grande mostra ha celebrato Soleri in Italia. Roma è stata attraversata dai suoi disegni lunghi una dozzina di metri in ben tre sedi espositive. Ci siamo andati su una 2cavalli, il mezzo più vicino al vecchio camion Leoncino di Vietri che abbiamo trovato. Soleri in macchina pensava e a volte sorrideva. Camminò poi per una Roma bagnata quasi con più forza di Luigi Spinelli e di me. Ha 87 anni e un mare di cose ancora da fare.
Ma Soleri, dicevamo, è un uomo contro. Prima di essere a Vietri era stato da Wright a Taliesin. Si pagava la retta lavorando nei campi e servendo a tavola il maestro. Era divertente, dice. Progettò allora un superbo ponte che sembra fatto oggi. “The beast” è un struttura che risolve nella forma dell’impalcato e nel suo avvitamento membranale le sollecitazioni.
Dopo Vietri, torna in Arizona e comincia pezzo per pezzo a costruire il suo universo. Sempre con pochissimi mezzi, pagando i suoi sogni con le ceramiche e le campane che costruisce. Prima realizza Cosanti, lo studio laboratorio dove mette a punto una dopo l’altra tecniche di costruzioni rispettose dell’ambiente e originali e poi, a partire dagli anni Settanta, con la costruzione della sua città Arcosanti. Molti architetti americani, studenti e non, ci sono stati per un periodo a costruire e a zappare, a coltivare la possibilità di un modo alternativo di fare e pensare l’architettura.
Perché Soleri, come ogni uomo contro insegue un’alternativa. No all’automobile, no al suburbio e allo sprawal, no all’uso indiscriminato delle risorse. Sì alla frugalità, sì all’ecologia, si alla concentrazione e alla densità di poche architetture-città.
Sin dagli anni Sessanta aveva posto chiaramente al centro della propria ricerca il tema del rapporto tra natura e architettura. Rispetto a questo nodo centrale egli ha sviluppato un’idea di urbanità forte e compatta anche se di dimensione controllata, una frugalità anti-consumistica nei dettagli, nei materiali e negli stili di vita, una tensione poetica e cosmica dello stare e moltissimi “come” tecnici e progettuali che studia, sperimenta e affina concretamente: dal tema dell’abside a quello dell’esedra, dalle modalità di costruzione per accumulo e scavo dentro la terra ai grembiuli-serra, dai sistemi di uso dell’energia solare agli effetti camino per la circolazione naturale dell’aria.
Soleri costruisce le sue architetture come fa con le proprie terrecotte: quasi con le sue stesse mani. Inframmezzate alle costruzioni in costante divenire della fondazione Cosanti e della città di Arcosanti si segnalano altre opere di Soleri come un grande progetto per la città del futuro commissionato dal MIT, o l’allestimento della propria personale al Corcoran di Washington e al Whitney di New York, o la costruzione di un teatro a Santa Fé, o uno studio per un grattacielo alto mille metri per il Giappone. Vive tra Phoenix e Arcosanti dove ogni giorno giovani volontari condividono con lui l’impegno e l’insegnamento della costruzione.
Conoscere Soleri vuol dire penetrare in un mondo che ha leggi, abitudini, diversi modi di fare tutti propri. E’ veramente un sistema solare separato dagli altri del mondo dell’architettura. Il suo essere contro non è quello della ribellione superficiale ed episodica o dello scatto d’ira ma è rappresentata da tutta una vita e una architettura costruita invece con pazienza e con rispetto. Sono proprio le sue sostanze, i temi che solleva e che porta avanti che sono contro lo spreco della fantasia, contro la follia della città diffusa e dell’automobile, contro l’opulenza capitalistica, contro le lobby professionali e politiche.
Crediamo che il libro di Luigi Spinelli che indaga il lavoro di Soleri sin nel dettaglio, che fornisce un’analitica disamina dei progetti, che illustra le varie fasi e le tecniche di costruzione e che intreccia lo sviluppo della vita di Soleri alle tappe fondamentali della sua ricerca, permetterà di conoscere e di sentire questo mondo. L’autore vi si è dedicato con grande intelligenza e una cura rara. L’efficacia del risultato vi risulterà evidente.
(Antonino Saggio – 28/6/2006)