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“La vita passata che ti si ripresenta pulita e nitida con una successione cinematica di immagini nelle quali predominano quelle dell’infanzia. La vita futura immaginata e desiderata”. Prima di partire per la Russia aveva fatto testamento. Due i destinatari dei suoi beni: per due terzi la fidanzata Mariuccia Casartelli, che aveva sempre tenuta appartata dalla sua vita pubblica, il resto a Luigi Zoccoli, il fedele collaboratore.
Se i beni materiali sono per le persone più devote, semplici e amate, quelli più importanti, della sua vita, del suo lavoro sono per noi tutti.
Bisogna ricordare Antonio Sant’Elia, grande architetto comasco, ma nel panorama italiano dello scorso secolo la sua statura artistica è altrettanto preminente di quella del grande pittore e scultore Umberto Boccioni. La morte ha bruscamente interrotto l’evoluzione della loro ricerca, ma la costruzione artistica che lasciano è forte, nitida, originale.
Terragni è l’enfant prodige dell’architettura italiana: a ventiquattro anni ha realizzato il primo edificio moderno nel nostro paese, a ventinove progettato un caposaldo dell’architettura mondiale, a trentadue dimostrato che con cemento e vetro è possibile costruire poesia, a trentacinque è richiamato alle armi per morire pazzo di dolore per aver combattuto una guerra assurda in cui aveva creduto. Il Novocomum del ’28, la Casa del fascio del ’33, l’asilo Sant’Elia del ’36 sono tre opere somme della nostra cultura. È stato un uomo di fede intensa e onesta: in Dio e in un mitizzato regime, ma la sua opera sarebbe incomprensibile senza quella speranza di progresso, trasparenza, efficienza, funzionalità, purezza dello “spirito nuovo”.
In poco più di tredici anni di attività, ha praticato tutti i temi più attuali del suo momento. Se si ripercorre questa produzione, anche nei casi meno perentori e conosciuti emerge il lavoro di un progettista profondamente diverso dalle generazioni che lo hanno preceduto: i programmi rispondono a una società che si affaccia all’industria, ma soprattutto un metodo nuovo e moderno si afferma. Terragni studia le organizzazioni funzionali, l’irradiazione solare, la distribuzione, la struttura, i materiali. Certo, non sempre con successo, ma il dato tecnico-funzionale dell’architettura è il nocciolo attorno al quale il progetto si forma. La ricerca funzionale che muove il ragionamento, assolutamente scontata oggi, è invece storicamente qualificante. Tanto è vero che nei suoi scritti cercò spesso di porla in primo piano. Confrontiamo i suoi disegni, con gli schizzi che rimangono di Piacentini. Vedremo, l’accademico che ancora pensa all’architettura come episodio di facciata su un impianto i cui aspetti organizzativi sono talmente scontati e ripetitivi che la soluzione può essere lasciata ai collaboratori. Terragni li scava, li sperimenta cerca di ottimizzarli alla luce sia della loro caratteristica meccanica che del traguardo spaziale che persegue.
Non vi è un corpo di opere (eccetto, forse, le case milanesi con l’amico Pietro Lingeri) che duplichi motivi già trovati, Terragni non cristallizza uno stile, ma forti sono le forma mentis del suo lavoro. Ha un vocabolario di parole che gli deriva soprattutto dal repertorio internazionale. La citazione fa parte dei suoi meccanismi progettuali: prende il cilindro vetrato, il telaio e il corpo sollevato, la finestra a nastro, i pilotis e tanti elementi del vocabolario dell’architettura moderna o più lontana. Usa e assembla con libertà ora dall’uno ora dall’altro, inventa delle parole che si assommano al grande vocabolario collettivo ma scopre, soprattutto, dei nuovi modi di comporre: il contenitore-contenuto che cambia la dialettica purista del volume sollevato, la cattura della natura e l’esplosione delle parti, il gioco dinamico del chiaroscuro, il motivo del telaio, che nasce come elemento ordinatore di una facciata nell’Officina del gas, diventa scavo nella Casa del fascio, contenimento di tutto il volume nella Villa sul lago, parola moderna antagonista alla massa nella villa Bianca.
Terragni opera sul linguaggio architettonico con una modalità «aperta», che supera i dogmi, che è capace di recepire le sperimentazioni d’avanguardia, di combinarle ineditamente l’una con l’altra innestandovi anche le tensione verso la forma primaria che gli deriva dal suo «a priori» di architetto comasco, lombardo, italiano. Il linguaggio dell’architettura non è più l’adesione rigida a delle regole (né a quelle dei padri del moderno né tanto meno a quello dei classici) ma continua ricerca di contaminazione e di re-invenzione, ed è in questa tensione che se ne misura l’intatta attualità.
Possiede la sintesi del genio costruttore. Sintesi di opposti: figurativi o astratti, novecentisti o internazionali, volumetrici o bidimensionali. È una prova della sua capacità ricettiva ma anche del legame al dibattito, alle speranze, alla cultura e ai tentativi di una intera generazione. Anzi, senza quelli, il suo contributo non sarebbe né dato, né spiegabile: dal Gruppo 7 al Miar, da «Quadrante» a «Valori primordiali», dal Gruppo di Como alle amicizie con Bardi e Sartoris, ai contrasti con Pagano.
Giuseppe Terragni è il frutto più alto di una stagione tempestosa e d’avanguardia, di passione e di partecipazione collettiva all’architettura e all’arte. Il seme della sua intelligenza ha trovato un terreno contraddittorio, difficile e tormentato in cui è però fiorito.
Con GIUSEPPE TERRAGNI, di cui oggi celebriamo un secolo dalla nascita noi ricordiamo però, anche, una vita recisa. Ci sono centenari e centenari. C’è quello del grande e prolifico artista che vive una vita lunga e piena di successi. Pensiamo a Wright pensiamo a Michelucci, pensiamo ai grandi vecchi dell’architettura ancora oggi attivi e prolifici . Niemeyer, per esempio o anche il nostro Giancarlo de Carlo che in fondo “come sempre” rimane il più giovane avendo solo 85 anni.
Ma questi grandi, grandissimi, quando celebreremo, ce lo auguriamo con loro in vita, il centenario della nascita, celebreremo una vita di successi di riconoscimenti.
Con Terragni no. Con Terragni noi ricordiamo una vita stroncata ancora prima che raggiungesse l’inzio della maturità. Noi celebriamo la vita di un ragazzo geniale e forte, recisa, come sappiamo, all’interno della vicenda più drammatica che il nostro paese abbia vissuto nel Novecento: quella di una generazione cresciuta all’ombra dei padri e dei fratelli maggiori caduti nella Prima guerra, che crede ad un Capo, che si trova disarmata al cambiamento di clima e all’intensificarsi dei venti di sterminio, di guerra e di follia al termine degli anni Trenta e che rimane spesso oltre ogni ragionevolezza, al proprio posto, in guerra. Nel caso di Terragni sino alla perdita di sé.
La storia di Terragni ha i toni della tragedia “antica” della tragedia “greca” e credo questo sia un’ottica per guardarne l’opera oggi, soprattutto da parte dei giovani, in anni così diversi da quelli.
Ma questa mostra che si inaugura oggi, disegnata e concepita da Attlio Terragni, è anche e soprattutto una mostra vitale , che non spegne la tragedia, ma la accende dei colori del lavoro della ricerca della creatività.
Vi volevo leggere per finire, un brano che l’amico pittore Mario Radice, e che occhi e che sguardo ha “sempre” un pittore!, scrive per descrivere gli ultimi istanti di vita.
“Era in casa da solo e stava preparandosi la cena, si è sentito male, ha telefonato alla fidanzata per avvertirla ed è uscito per andare da lei, che abitava a trecento metri di distanza, lasciando tutte le luci accese il gas acceso sotto il pentolino e le porte spalancate. La fidanzata che lo aspettava sul balcone lo ha visto arrivare, gli è andata incontro subito per le scale e ha visto che cadeva battendo la testa. Terragni è caduto sul pianerottolo del primo piano e lì è morto”.
Radice coglie tutto quello che serve. Soprattutto nelle immagini che ci lascia.
La storia “personale” termina su un pianerottolo ma tutto è lasciato aperto nella sua opera.
Terragni lascia veramente il suo lavoro per noi come le porte spalancate di cui parla Radice, Terragni davvero ha lasciato per noi, se vogliamo leggere, tutte le luci accese, Terragni davvero ha bruciato la sua esistenza, ma ha lasciato il gas acceso sotto il pentolino della sua grande intelligenza architettonica.
Benvenuti a questa bellissima mostra
Le citazioni provengono dal volume di Antonino Saggio, Giuseppe Terragni
Vita e Opere, Editori Laterza, Roma-Bari 2004.
La mostra inaugurata con il discorso sopra riportato è a cura dell’architetto Attilio Terragni.
Leggi Un commento: http://www.citicord.uniroma1.it/saggio/…
(Antonino Saggio – 21/4/2004)