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Storia e Critica

Storia e Critica

Cari Sandro e Paolo,
come avrete capito, io sono un neo-kantiano.
Non credo che sia potere dell’uomo scoprire come le cose siano o, peggio, siano state. Né tanto meno capire se queste abbiano una finalità. Non credo alla Storia. Quella con la S maiuscola che permette di dare risposte a domande quali: Dove andiamo? Chi siamo? Che facciamo?
La mia risposta è: e chi lo sa?
Del passato, io credo, noi non possiamo costruirci che modelli, ipotetici e intimamente fasulli come tutti i modelli. Impoverenti come tutte le costruzioni che riassumono in uno schematismo logico le complicazioni dell’essere o dell’esistenza.
Ma questa povertà è la nostra forza. E’ una povertà che ci fa scoprire che possiamo costruire simulacri. E ci fa essere creatori di un gioco affascinante. Tanto che, alla fine, corriamo il rischio di illuderci che questi siano la Realtà. Invece sono solo la nostra realtà.
Cioè, lo ripeto, modelli. Della cui fragilità ce ne accorgiamo quando li vediamo cadere uno dopo l’altro, oppure scopriamo che di uno stesso fatto sono possibili due, tre, dieci spiegazioni tutte egualmente convincenti, coerenti, esaurienti.
Vista da un punto di vista ontologico, e cioè della ricerca della verità in sé e per sé ( uso il termine in senso hegeliano), la storia è illusione. Ma non così dal punto di vista pratico. Secondo il quale la storia è esperienza, operazione indispensabile alla sopravvivenza. Ci permette, con buone probabilità, di non ripetere errori, di ritornare sui successi, di evitare di inventare ogni volta l’acqua calda.
Non solo: la modellizzazione del passato ci permette di costruirci la nostra coscienza, il nostro io, i nostri valori. Di ammirare alcuni fatti e disprezzare altri. E sulla base di queste preferenze di costruirci la volontà. Cioè un progetto di vita e di superamento. Che è ciò che ci strappa dalla animalità e ci proietta verso il futuro.
Cosa c’entra tutto questo con l’informatica?
Poco e molto. Poco perché tutte queste considerazioni sono indipendenti dal digitale. Molto perché la società elettronica ha dato un enorme sviluppo al pensare per modelli, facendoci capire quanto dietro ogni costruzione mentale si celi sempre una struttura artificialmente costruita dalla mente. Tutto nel digitale è modellizzato perché ricondotto, nella sua purezza, a un sistema di relazioni. Mai, nel digitale, ci si può illudere che si abbia a che fare con la realtà in sé e per sé. Quindi mai si può pensare, davanti a un CD, di avere a che fare con la Storia con la S maiuscola.
Perché i seguaci di Heidegger – alludo sia a quelli intelligenti che agli orecchianti del conservatorismo architettonico italiano – ce l’hanno con la società delle immagini? E con il digitale? Perché hanno intuito che l’elettronica è il punto finale di una rivoluzione del pensiero, che parte da Kant, passa per il neopositivismo logico e arriva allo strutturalismo. Un modo di vedere che ha finalmente messo in crisi la metafisica dell’Essere. Al suo posto, producendo immagini (immagine=forma=struttura=significato secondo Bateson) ha introdotto la riflessione, scientifica, sull’esserci. Quella che crede che la realtà non sia conoscibile se non attraverso sistemi di relazioni, ipotetiche, e in linea generale, formalizzabili scientificamente. In proposito è ancora illuminante lo scritto di Cassirer Sostanza e funzione, la cui conclusione è perentoria: valori e relazioni non sono interni all’Essere in sé e per sé ma il frutto della libera creazione umana. Torniamo alla storia. Se il suo compito non è la ricostruzione di ciò che è stato in sé e per sé ma è dare direzione alla nostra vita, allora servono almeno due punti. Il primo lo prenderemo dal passato, attraverso i modelli,il secondo nel futuro, attraverso la volontà. Tutto qua: ecco la critica operativa, così come io la intendo.

(Luigi Prestinenza Puglisi – 3/6/2001)

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