E’ notizia di pochi giorni fa l’assegnazione del premio dell’Unione Europea per l’architettura a Rafael Moneo, scegliendo a tale scopo l’edificio Kursaal, a San Sebastian (Spagna).
Ne avevo letto – nel numero di Domus del marzo 2000- la recensione di Luis Fernandez Galiano.
Rileggo l’articolo e m’incuriosisce questo passaggio : “in contrasto con il Guggenheim di Bilbao che fa sporgere la sua tempesta di titanio sull’asse delle strade che vi si dirigono, il Kursaal separa i prismi perché tra loro s’insinui la vista sul mare dell’unica via che si scontra con il complesso, mentre i due cubi di cristallo fanno capolino verso i due immediati incidenti geografici, i monti Urgull e Ullia con sensibilità paesaggistica, con discrezione e quasi in sordina”.
L’esame architettonico di quest’opera di Moneo si riduce al “contrasto” con il museo di Gehry; verrebbe da chiedersi come mai, descrivendo le architetture contemporanee, molti critici sentono la necessità -quasi incontrollabile- di paragonarle con il Guggenheim di Bilbao. Nello specifico, l’autore avrebbe dovuto precisare che è la diversità del rapporto con l’intorno ad essere la base dell’impostazione progettuale dei due architetti. Se il Bilbao lo si considera solo quale oggetto, si fa opera pretestuosa, occultandone i profondi radicamenti con il sito -scelto dallo stesso Gehry- e l’operazione di urbanscape (il termine è di A.Saggio) che ne sorge.
Luis Fernandez Galiano tralascia -quasi totalmente- di parlarci in termini di lettura spaziale dell’opera di Moneo e questo atteggiamento esclude, a priori, qualsivoglia tipo di -pur se forzato- paragone con Bilbao, dove non si può assolutamente cogliere il significato se non per mezzo di una lettura spaziale della complessità edificio-città-territorio
Lettura spaziale che su Domus è sommariamente descritta, e ridotta in giochi di definizioni quali “Moneo fa oscillare il nuovo Kursaal tra il sapiente gioco dei volumi e la docile dipendenza dal caso degli incastri […]il Kursaal si è trasformato nella pietra angolare del dibattito politico sulla modernità in architettura. La prima immagine del Kursaal è radicale. Pur tuttavia le sue forme apparentemente aggressive, per l’asprezza geometrica dei suoi spigoli e per l’ermetismo inquietante dei suoi piani inclinati, si dissolvono appena varcata la soglia”.
Facciamo ordine ed iniziamo ad esaminare l’eventuale contrasto con il Gehry di Bilbao. Come detto, la diversità d’impostazione tematica dei due progetti non consente assolutamente di metterne in risalto “contrasti”, soprattutto se ridotti esclusivamente al rapporto instaurato con le vie stradali, che in essi sboccano. Cambia la lettura linguistica, cambiano i possibili rapporti di sinergia/contraddittorio con il contesto.
Il tutto, non tralasciando il tema della diversità spaziale anche rispetto il rapporto con l’esistente edificato e con la morfologia dei luoghi.
Moneo progetta due edifici che vivono di se stessi, intendendo con ciò il loro porsi quale monoblocchi sul fronte mare, e trancianti la continuità morfologica dell’edificato, che si estende lungo il versante opposto, ove ritroviamo il mare .
Rispetto la morfologia assolutamente dinamica, a porsi quali “incidenti” sembrano più i due blocchi angolarmente definiti al tecnigrafo ( non basta inclinare i fronti per dinamizzare) che non i monti Urgull e Ullia.
Né basta la ricerca di trasparenza nei rivestimenti della facciata, dalla quale, che sia giorno o notte, traspare la regolarità del telaio strutturale.
Che significato dobbiamo dare alla definizione “sapiente gioco dei volumi e la docile dipendenza dal caso degli incastri”?
Dove sono gl’incastri? La marcata zoccolatura perimetrale in ardesia trancia ogni possibilità d’incastro dei volumi in vetro nel terreno, rendendo evidente l’appoggiarsi del citato telaio strutturale su di essa. E’ la zoccolatura che definisce gli angoli dei volumi e non la loro estensione in verticale – in bande orizzontali di vetro- ; oltre ogni ” asprezza geometrica dei suoi spigoli”, l’architettura di Moneo non inquieta per nulla: “l’ermetismo inquietante dei suoi piani inclinati” non scalfisce minimamente la percezione di regolarità che sta alla base della tematica di progetto; la perfetta riquadratura delle aperture/bucature (non proprio casuali) riporta alla regolarizzazione dell’invaso interno, dove la musica è nuovamente suonata con le sette note canoniche, mentre l’accenno dodecafonico delle volumetrie esterne si perde nelle ben definite spazialità interne.
Spogliata della sottile pelle satinata, l’architettura di Moneo ripropone il suo vero seme: volumetrie materiche di perfetta regolarità e spessori murari interni in evidenza.
L’attenta distribuzione funzionale risalta nella regolarità angolare delle singole destinazioni d’uso (vedi piante) e le poche digressioni sembrano più delle conseguenze di spazi di risulta, dettati dalla bidimensionalità del lotto , che non volute ricerche spaziali (corpi scala, sala rinfreschi, sala esposizione).
Parlare di “avventura plastica” sembra alquanto eccessivo, se è vero che mancano scatti dinamicamente inverati in terza e quarta dimensione, e tali da suggerire il continuo rimando da un punto ad altri dell’insieme architettonico.
Non una critica a Moneo, ma al contorto modo di enfatizzare l’architettura da parte di chi è chiamato ad esprimerne parere critico. Perché, dunque, rendere la semplicità del Kurssal contorta e ridondante?
(Paolo G.L. Ferrara – 23/5/2001)
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