Gente che -da sempre- convive con la cultura del “non finito”, da intendere però tutt’altro che in senso michelangiolesco. Gente dell’Italia meridionale.
Il non finito meridionale è sconcertante perché è come se “finito” lo fosse, nel senso che ci si abitua a convivere con le costruzioni abbandonate. Non è importante che siano costruzioni spontanee o architetture firmate da progettisti conosciuti.
Consultando pochi giorni fa un numero di “Casabella” del 1982, ho provato un profondo senso d’irritazione leggendo l’articolo intitolato “I volumi in cemento del teatro Popolare di Sciacca sono oggi finalmente pronti a funzionare”.
In realtà, quest’articolo lo avevo già letto diciannove anni fa, ma la mia reazione si limitò ad una risatina ironica, tipica da studente del primo anno d’architettura: in fondo, erano passati “solo” quattro anni dall’inizio della costruzione…e, nonostante la notizia fosse stata data da Casabella con troppa superficialità, non era poi così scandaloso che i lavori fossero ancora in corso.
Oggi, quell’affermazione assume toni platealmente improntati alla falsificazione di notizie di cronaca.
Siamo sicuramente fuori tempo per potere criticare ” Casabella” -oggi diretta e gestita da altri responsabili-, ma resta il fatto che una rivista internazionale d’architettura pubblicò una notizia falsa. I perché non li sapremo mai, ma poco c’interessano. Resta però il dubbio sul funzionamento delle redazioni di alcune riviste; gli allora responsabili, piuttosto che propagandare il falso, avrebbero dovuto – in rispetto del loro ruolo e dei lettori- evidenziare i motivi per i quali il Teatro popolare di Sciacca versava in stato d’abbandono. Quella che, del resto, è la realtà odierna, rappresentata da un’opera architettonica che, da ventiquattro anni, attende di essere completata.
Sicuramente, chi ha partecipato al banchetto dello sperpero, non è nell’attesa dei bonifici bancari da tutto questo tempo.
Certo è che di soldi ne sono stati sborsati parecchi per mandare in scena “L’Incompiuta”, prodotta dalla Regione Sicilia, per la regia di Amministrazioni pubbliche varie, su progetto di Giuseppe ed Alberto Samonà.
Quella di Sciacca è opera che si colloca nella fase progettuale finale di Giuseppe Samonà e, per tale motivo, ha in sé una serie di concetti, che il maestro siciliano meditò e revisionò criticamente per trenta anni. Concetti che, a causa dello stato di abbandono in cui versa il Teatro, non hanno avuto la possibilità di esprimersi pienamente: una qualsiasi opera che si presenti in veste di architettura incompiuta, perde ogni potenzialità e, suo malgrado, diventa oggetto deturpante.
Le polemiche iniziarono contestualmente all’approvazione del progetto (siamo circa nel 1975), incentrate sulla localizzazione scelta per la costruzione; si tratta di un’area assolutamente particolare, sia dal punto di vista morfologico – un vero e proprio gigantesco scoglio peninsulare, a strapiombo sul mare-, sia da quello del contesto architettonico – il parco delle Terme e lo stabilimento termale, progettati negli anni ’20 in stilemi Liberty-.
La prima colata di cemento coprì queste polemiche, sostituendole però con altre, per certi versi, più violente, frutto dello scontro politico tra le amministrazioni al potere gestionale e quelle all’opposizione. Ogni qualvolta necessitava tirare fuori qualche scheletro, da mostrare all’avversario politico per accusarlo di inaffidabilità, ecco che il Teatro riprendeva a fare parte delle questioni cittadine. Poi, subito dopo le strette di mano che sancivano la pace degli equilibri, il Teatro poteva essere rimesso nell’armadio.
A Sciacca, Samonà sviluppa la ricerca spaziale già in nuce nello studio di un teatro a Gibellina, arrivando a realizzare alla scomposizione-addizione volumetrica.
Tracciati bidimensionalmente sul suolo un cono ed una piramide, i volumi geometrici -che tridimensionalmente ne sarebbero scaturiti- sono mozzati da un enorme parallelepipedo che, appoggiandosi al suolo sul lato maggiore, ne diventa elemento ordinatore.
La compattezza dell’insieme, nonostante l’uniformità data dal trattamento dei tre corpi in cemento faccia/vista, è negata, lasciando che ogni singolo volume sia individuabile singolarmente.
L’uso del cemento faccia/vista è riportato anche nell’incavo delle figure geometriche, evidenziando il loro “essere vuote” e facendo sì che la scomposizione volumetrica si fonda in un tutt’uno all’interno, pur lasciando che le singole figure geometriche restino anche in questo caso percettibili.
A Sciacca, volontà espressiva e tecnica costruttiva sono strettamente interdipendenti, ed il cemento faccia/vista risulta fondamentale per entrambe. Invasi spaziali di matrice wrightiana e richiami agli studi di Le Corbusier sui volumi puri, trovano nella ricerca di Samonà un momento d’applicazione di grande valenza.
Tralascio la descrizione dello stato di degrado in cui, oggi, versa l’opera, e non mi azzardo a calcolare quanti miliardi ci vorranno, ancora prima di completarla, per risanarla.
Ultimamente, ci sono state molte polemiche per le costruzioni abusive nella Valle dei Templi di Agrigento, e tanti proclami sono stati fatti.
Sciacca è a 50 km da Agrigento.
Sciacca ed il suo teatro sono l’esempio -eclatante- che l’abusivismo “popolare” del “fai da te” non è l’unico male siciliano.
Qui è tutto in regola: progetto, approvazioni di edificabilità, finanziamenti; nulla è abusivo.Fatto sta che l’abuso c’è comunque. Abuso di potere verso la collettività.
Doppio sconcerto: così com’è, il teatro deturpa il paesaggio, poiché immagine di luogo abbandonato inserito in un contesto naturale molto suggestivo; abbandonare la costruzione ha significato sperperare i soldi per dare vita al nulla, senza produrre un servizio allo sviluppo della collettività, quale un impianto teatrale potrebbe essere.
La collettività ne esce danneggiata, cornuta e bastonata.
La ricerca di Giuseppe Samonà ne esce azzoppata, senza colpe personali.
Aberrante, ma non bisogna stupirsene. Come dicevo all’inizio, la gente si abitua a convivere con le opere incompiute, quasi le metabolizza.
In fondo, le recite teatrali si possono “ammirare” durante i comizi elettorali, ove si assiste a tutti i generi dell’arte del teatro. Tranne che al “dramma”: quello è esclusiva della collettività, quando il periodo elettorale termina.
Pietro Germi ambientò a Sciacca il suo film “Sedotta e abbandonata” – protagonista la Sandrelli- forse perché intuì che tutto il popolo siciliano vi si potesse identificare: sedotto dai politici e poi, a risultato acquisito, da questi abbandonato. La Sandrelli veniva “sedotta e abbandonata” una sola volta; il popolo siciliano è stato sedotto e abbandonato innumerevoli volte, senza mai capire che si riduceva a fare la figura della puttana.
Sia chiaro: il teatro di Sciacca è solo uno degli esempi che avremmo potuto fare, ma la gravità della pubblicazione di “Casabella” lo rende paradossale.
Il Ministero dei beni culturali, incentivando l’architettura contemporanea, sembra si sia dato una scossa.
Bene, ma allo stesso Ministero rivolgiamo una richiesta: che si prenda in considerazione anche l’architettura abbandonata, scavando a fondo sui motivi che ne hanno causato tale stato. La tutela del paesaggio non è solo restauro e risanamento di edifici storici. Essa deve necessariamente passare anche per il censimento delle opere abbandonate, veri e propri ruderi moderni.
Nel caso di Samonà, ad esempio, non si tratta di una semplice costruzione, ma di un’opera che rispecchia l’instancabile ricerca del maestro siciliano.
A chi ha la coscienza dell’onestà, poco dovrebbero interessare i famigerati “problemi burocratici”, quelli che fanno da salvacondotto al momento di doversi assumere precise responsabilità.
Salvacondotto che, spesso, si trasforma in arroganza, celando dietro tale atteggiamento i sospetti di compromissioni cui i fatti, in modo ineludibile, parrebbero condannare i nostri amministratori.
(Paolo G.L. Ferrara – 22/2/2001)
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