Cari colleghi architetti, siamo tutti tangentari, almeno nell’immaginario collettivo dei milanesi.
La notizia arriva da Mario Botta, intervistato da Pierluigi Panza – per il Corriere della Sera (01.02.2001)- il quale, in questi termini, sintetizza le frasi dell’architetto svizzero.
Mario Botta è perentorio: “Dopo l’età dei Terragni, dei Ponti e dei Moretti, Milano è diventato terreno ostile agli architetti. Tutti, dal mio maestro Ignazio Gardella ai grandi nomi milanesi dell’architettura, come Marco Zanuso, Gae Aulenti, Vittorio Gregotti e lo scomparso Aldo Rossi, hanno dato il loro meglio fuori città”.
La frase nasconde insidie interpretative; vediamone i motivi.
Non è corretto affermare che Zanuso, Aulenti, Gregotti e Rossi abbiano dato il loro meglio lontani da Milano.
L’insidia sta nel fatto che tutte le opere costruite a Milano dai citati architetti vengano ridotte a mediocri prestazioni. Leggendo il seguito delle dichiarazioni di Botta, s’intuisce che l’eventuale colpa delle mediocrità non va però imputata direttamente agli architetti in questione. E’ Milano a non avere consentito che si esprimessero al meglio.
Milano “ostile” che umilia ed offende Gregotti, Rossi, Aulenti, Zanuso.
Dostoevski riveduto e correto da Botta.
Me ne scuso, ma non capisco. Che significa affermare che Milano è “ostile” agli architetti milanesi? L’ultimo con cui la città ha avuto feeling fu Giò Ponti. Da allora, aggiunge Botta “il rapporto tra architetti e città si è rotto”.
Chissà se Botta ha fatto un giro per Milano osservando le architetture “firmate” degli ultimi anni, quelle considerate moderne. Arrivando dalla Svizzera in autostrada, è impossibile che non abbia visto il timpano della Fiera, progetto di Mario Bellini. E’ arrivato in aereo? Se è sceso a Malpensa si sarà compiaciuto della simmetria faraonica del nuovo aeroporto – dove neanche Sottsass, negli interni ha dato il meglio di sé- ; se sceso a Linate, non può non avere notato la scenografia da “Ben Hur” escogitata da Aldo Rossi.
Avendo accennato – sempre nell’intervista- all’illuminazione del Castello, Botta avrà anche potuto riempirsi gli occhi della nuova immagine di Piazza Cadorna, della Aulenti. Ed un salto alla Bicocca? Non era il caso di farlo?
Appare pretestuosa la convinzione di Botta, soprattutto se avvalorata dall’autore dell’articolo che, riferendosi alla ostilità di cui parla Botta, afferma “Tant’è che, di recente, l’amministrazione milanese sembra rivolgersi con più frequenza anche a progettisti stranieri” e cita David Chipperfield e Jan Ritchie.
Una convinzione che riguarda anche i BBPR e Albini. Come dire che la Torre Velasca e il Monumento ai caduti non siano tra le migliori opere dei BBPR, soprattutto per i contenuti e per i significati rispetto il momento in cui vennero realizzate.
A Botta si deve dare atto di avere citato Terragni e Moretti e del loro apporto all’architettura moderna di Milano. La prossima volta che verrà a Milano, vada a vedere come è stata ridotta Casa Toninello; qualcuno ha pensato bene di chiudere la loggia superiore con una fetida serramentistica atta a creare una veranda. Chi se ne è curato? Altro che luci del Castello e polemiche a mai finire tra intellettuali di ogni genere!
Sdrammatizziamo. Botta arriva a Milano e “deve” parlarne. Milano è brutta, anti architettonica, e ciò è sotto gli occhi di tutti. A Milano hanno progettato e costruito quasi esclusivamente architetti classicisti – neo razionalisti accademici, pseudo post modernisti- , famosi e non.
L’immoralità e l’accozzaglia eclettica dei grattacieli di Porta Garibaldi è la massima espressione della decadenza architettonica di Milano. Immorale quasi quanto quella che Panza definisce tra le opere di grandi valenza di Aldo Rossi: il Teatro Carlo Felice di Genova. Accozzaglia eclettica quanto il Museo della Gare d’Orsay, della Aulenti, anche questa opera di grande valenza, sempre secondo Panza.
Conosco personalmente Pierluigi Panza e ne apprezzo il valore di interprete dell’architettura. Ciò non mi può fermare nel dire apertamente che l’articolo in questione è fuori luogo, non centra il problema dell’architettura a Milano, è palesemente pilotato da Botta a difesa delle opere milanesi di Gregotti, Aulenti, Rossi.
Incolpando i milanesi -causa poco amore per i progettisti concittadini – delle brutture di Gregotti, Aulenti e Rossi, Botta cerca invano di nasconderne la diretta responsabilità. Una dimostrazione di solidarietà senza consistenza.
Panza cita la Bicocca quale intervento “…di qualità assolutamente confrontabile con altri da lui (Gregotti) realizzati fuori città; anzi, in una prospettiva di funzionalità sociale, potrebbe risultare più riuscito del quartiere Zen di Palermo”. A dirla tutta, non è che, per fare qualcosa migliore dello Zen, ci si debba sforzare molto e mi auguro vivamente per i milanesi che la Bicocca sia migliore dello Zen di Palermo, soprattutto “in una prospettiva di funzionalità sociale”, quella che lo Zen non ha mai avuto.
Tradizione classicista, retorica, a-spazialità, simmetrie, ripetizione modulare, pasticci dei pasticci post moderni, enfasi, vitelloneria decostruttivista; la Milano del 2000 è questa.
I sintomi di ripresa che l’Amministrazione comunale sta mostrando chiamando Chipperfield e Ritche è lodevole. Stiamo a vedere se si tratta esclusivamente di “propaganda” o di presa di coscienza che anche l’architettura sta attraversando uno straordinario momento di cambiamento, interpretandolo con splendide recite in molte parti del mondo. In Italia ci sono tanti giovani architetti che spingono per abbattere il muro di ostilità nei loro confronti, ponendo in campo argomentazioni e progetti realmente moderni.
L’Amministrazione comunale di Milano – di qualsiasi colore politico sia- guardi anche e soprattutto a loro. A quel punto, il plauso sarà spontaneo e prolungato.
(Paolo G.L. Ferrara – 10/2/2001)
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