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Storia e Critica

L’inciucio decostruttivista

Mi piacerebbe sentire dire :”Abbiamo scherzato”.
Mi aspetterei che i critici, gli architetti/ scrittori e molti professori facessero un po’ di ordine nel groviglio di citazioni, catalogazioni, suddivisioni rispetto il Decostruttivismo. Incombe il pericolo che tutto venga impastato senza dosare gli ingredienti. Il sottile errore è già stato fatto in merito al Movimento Moderno e, oltre qualsiasi ipotesi di dolo, il cammino per compierne un ulteriore rispetto il decostruttivismo è cosa in atto. Inutile girare intorno al problema: il Decostruttivismo è comunemente indicato quale linguaggio al cui uso si affiliano una serie di architetti, Eisenman, Gehry, Libeskind, Hadid, Tschumi e chi più ne ha più ne metta.
Non vi è progetto che non presenti angoli retti che non venga ascritto al decostruttivismo. Sospetto: che anche Haring e Scharoun fossero decostruttivisti…(?).
Le possibiltà non sono molte e la giusta coniugazione del loro pensiero nelle opere progettate è la cartina di tornasole della veridicità della differenza tra tutti. Eisenman è uguale a Gehry quanto Bernini lo era a Borromini.
Chi conosce l’architettura capisce ciò che si vuole dire. L’appropriazione indebita dell’architettura non conosce tribunali. Confondere la democratizzazione dell’architettura ed il suo affrancamento dall’accademismo razional/classicista esclusivamente etichettandola con il termine “decostruttivista” significa ricatalogare, sistematizzare ciò che, per sua natura, non può esserlo. Intanto, gli studenti d’architettura s’adeguano: negli anni ’80 imperavano Botta e Rossi e giù a copiarli; oggi impera il Decostruttivismo, e la storia si ripete, non capendo quanto fianco scoperto si espone ai critici accademici, pronti a catalogare qualsivoglia progetto che, non avendo radici nel loro pensiero, viene definito opera di sartoria, quindi opera formalista. Abbiamo una grande occasione nel progettare finalmente un’architettura che sia realmente svincolata dall’apparato di regole enfatiche ed anacronistiche della rigidezza funzional/razionalista. Non sprechiamola facendoci trovare impreparati nei concetti e tacciati di formalismo. L’arma è a portata di mano: indagare la storia e comprendere che la grandezza di Eisenman, Gehry, etc, potrebbe essere nell’avere riaperto tematiche lasciate in sospeso od occultate dalla riduzione dell’intero M.M. nel solo funzionalismo e nel fallimento di quest’ultimo. Finchè si continuerà ad etichettare l’architettura e catalogarla in diversi momenti, perdendo il senso logico della concatenazione e sovrapposizione degli stessi, non si farà cultura progettuale ma si daranno esclusivamente le coordinate sul come copiare. Capiterà che qualcuno di questi scopiazzatori abbia l’occasione di costruire, ergendosi a rappresentante della “nuova tendenza” , e tutti a pensare che sia un ” grande”…. Peccato non potergli parlare, chiedergli della Sua preparazione, di quanto ha capito in quello che ha fatto. C’è già chi, accademico sino a due/tre anni orsono, presenta oggi progetti simil anticlassici; sarebbe interessante capire il percorso che lo ha condotto al cambiamento, un cambiamento che non può esentarsi dalla profondità di contenuti che sono in esso insiti. L’ignoranza sull’architettura non fa arrossire nessuno, soprattutto gli architetti, più propensi a vendersi nel mercato effimero delle mode e delle tendenze che non a sforzarsi di capire i significati della storia dell’architettura e della sua.

(Paolo G.L. Ferrara – 10/7/2000)

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